venerdì 27 marzo 2015

Per essere degni ci vuole come minimo un reddito.


Nuovo Welfare. Oggi il tweet bombing della campagna “reddito di dignità” promossa da Libera di Don Ciotti, il Bin – Basic income network-italia e il Cilap alla quale ha aderito Landini (Fiom). Le differenze con la campagna per il “Reddito di inclusione sociale” (Reis) alla quale ha aderito anche la Cgil di Camusso. Sul reddito le sinistre, e il sindacato, sono spaccati come una mela. Ecco perché.
 
Il Manifesto Roberto Ciccarelli
Man­cano 87 giorni, e  43 mila firme su change.org , per chie­dere al Par­la­mento una rapida discus­sione e appro­va­zione di una legge sul «red­dito minimo o di cit­ta­di­nanza». «Una misura neces­sa­ria, con­tro povertà e mafie» sosten­gono le asso­cia­zioni pro­mo­trici: Libera di Don Ciotti, il basic income network-italia e il Cilap. A que­sta cam­pa­gna ha ade­rito anche la Fiom di Lan­dini. Per tutta la gior­nata di oggi è pre­vi­sto un «tweet-bombing» ai capi­gruppo di Camera e Senato, oltre che sul plu­ri­ber­sa­gliato account twit­ter del pre­si­dente del Con­si­glio Mat­teo Renzi.  I mate­riali della cam­pa­gna pos­sono essere sca­ri­cati da que­sto sito web . Ad oggi le firme rac­colte sono 57 mila. L’obiettivo è rag­giun­gerne 100 mila in 100 giorni.
Mal­grado le riso­lu­zioni dell’Unione Euro­pea abbiano inco­rag­giato dal 1992 a defi­nire una soglia di red­dito minimo garan­tito, l’Italia (insieme alla Gre­cia) non ha una legge che garan­ti­sca una pro­te­zione eco­no­mica per chi è disoc­cu­pato, pre­ca­rio o in povertà. La cam­pa­gna «red­dito per la dignità» sol­le­cita uno dei Wel­fare più arre­trati d’Europa a recu­pe­rare 23 anni di ritardo e pro­muove una misura ispi­rata ad un prin­ci­pio con­so­li­dato: il red­dito minimo è sta­bi­lito almeno al 60% del red­dito mediano dello Stato mem­bro.

«Red­dito minimo o di cit­ta­di­nanza»
In par­la­mento esi­stono due pro­po­ste di legge pre­sen­tate da Sini­stra Eco­lo­gia e Libertà sul «red­dito minimo» (nata da una pro­po­sta di legge popo­lare) e dal Movi­mento 5 Stelle sul «red­dito di cit­ta­di­nanza», oggi incar­di­nate nella com­mis­sione Lavoro del Senato dove sono in corso le audi­zioni. La cam­pa­gna «Red­dito per la dignità» pro­pone media­zione miglio­ra­tiva tra pro­po­ste non pro­prio coin­ci­denti: «Red­dito minimo o di cit­ta­di­nanza». In tutta evi­denza, si tratta di misure diverse: il red­dito minimo è con­di­zio­nato alla scelta di un lavoro con­gruo, quello di cit­ta­di­nanza è rivolto a tutti i resi­denti. Da pre­ci­sare che la pro­po­sta dei Cin­que Stelle non cor­ri­sponde ad un «red­dito di cit­ta­di­nanza», ma è in realtà un red­dito minimo sog­getto a limi­ta­zioni ispet­tive e lavo­ri­ste. Alla base di que­sto equi­voco c’è una con­fu­sione ter­mi­no­lo­gica in cui tutto il sistema media­tico si è fatto tra­spor­tare in modo acritico.
La pro­po­sta
La pro­po­sta di Libera, Bin e Cilap invoca un accordo sulla base di quat­tro prin­cipi: il red­dito dev’essere indi­vi­duale, suf­fi­ciente, con­gruo rispetto alle com­pe­tenze al red­dito e al lavoro pre­ce­dente e riser­vato a tutti i resi­denti. La cam­pa­gna pro­pone inol­tre un dop­pio passo in avanti. Il red­dito minimo non va con­si­de­rato come una misura alter­na­tiva al sus­si­dio di disoc­cu­pa­zione (la «Naspi» o il «Dis-Coll» pre­vi­sti dal Jobs Act) e, tanto meno, un sus­si­dio con­tro la povertà asso­luta. Dev’essere invece con­si­de­rato anche uno stru­mento oppo­sto a chi pensa che un red­dito deve essere accet­tato in cam­bio di un lavoro «pur­ché sia». Sono ele­menti utili per pre­fi­gu­rare una riforma del Wel­fare in senso uni­ver­sa­li­stico, ben diversa da quella con­te­nuta nel Jobs Act per il solo lavoro dipendente.
I costi
Il costo del red­dito minimo soste­nuto dalla cam­pa­gna «Red­dito per la dignità» varia tra i 15 ai 26 miliardi di euro. L’incertezza deriva anche dal fatto che nel nostro paese esi­stono misure fram­men­tate e incoe­renti che andreb­bero sem­pli­fi­cate e gra­dual­mente accor­pate. Una buona parte di que­sti fondi potreb­bero essere rica­vati da una ridu­zione strut­tu­rale delle spese mili­tari, da una impo­sta sui grandi patri­moni e da una mag­giore tas­sa­zione dei gio­chi d’azzardo.
Ipo­tesi ormai di senso comune, nella società e in una larga por­zione dell’opposizione par­la­men­tare, che non ha ancora tro­vato una sponda nel governo che ha pre­fe­rito l’erogazione a piog­gia del bonus Irpef da 80 euro per il lavoro dipen­dente con un costo di 10 miliardi all’anno. Soldi che avreb­bero potuto essere usati in maniera più effi­cace e uni­ver­sale, senza cedere a ten­ta­zioni popu­li­sti­che ed elet­to­ra­li­sti­che come invece ha fatto Renzi.
Le sorti delle pro­po­ste di legge sul red­dito restano comun­que incerte. Non rap­pre­sen­tano, al momento, una prio­rità per il governo impe­gnato in un “cro­no­pro­gramma” che intrec­cia le esi­genze impo­ste dalla famosa let­tera della Bce con le idio­sin­cra­sie di Renzi. Le audi­zioni in com­mis­sione —  oggi è pre­vi­sta quella del Basic Income Net­work  - sono inte­res­santi per­ché mostrano le dif­fe­renze tra i sog­getti della “società civile” impe­gnati nell’ardua bat­ta­glia per imporre in Ita­lia alcuni stan­dard mini­mali di civiltà.
Che cos’è il “Red­dito di inclu­sione sociale” (Reis)
La cam­pa­gna “red­dito di dignità” per il red­dito “minimo o di cit­ta­di­nanza” si dif­fe­ren­zia da quella sul “Red­dito di inclu­sione sociale” (Reis) soste­nuto dall’Allenza con­tro la povertà pro­mossa sin dal 2013 dalle Acli e dalla Cari­tas. A que­sta cam­pa­gna ade­ri­scono, tra gli altri, la Comu­nità di Sant’Egidio e i sin­da­cati con­fe­de­rali Cgil Cisl e Uil. Le ipo­tesi soste­nute sono molto diverse, come anche gli obiet­tivi. Solo in parte coin­ci­denti. La diver­genza non è solo tra “cat­to­lici” e “laici” o “sini­stra”, ma spacca a metà le sini­stre e il mondo sin­da­cale. Il Movi­mento 5 stelle cerca di restare nel mezzo, con­fon­dendo i ter­mini dei pro­blemi e, come sem­pre, annac­quando la radi­ca­lità delle solu­zioni, oppure peg­gio­rando quelle avan­zate dopo anni di lavoro.
Col­pi­sce la dif­fe­renza di posi­zio­na­mento tra la Fiom e la Cgil, in par­ti­co­lare. Per Lan­dini, infatti, avere scelto la cam­pa­gna “red­dito di dignità” signi­fica avere abbrac­ciato que­sta idea: per com­bat­tere disoc­cu­pa­zione, pre­ca­rietà e povertà biso­gna atti­vare l’individuo e pro­muo­vere la sua auto­no­mia. Camusso, e gli altri sin­da­cati, pen­sano invece di rag­giun­gere gli stessi obiet­tivi pri­vi­le­giando misure a soste­gno delle fami­glie pove­ris­sime. Da un lato, c’è l’aspirazione a costruire un Wel­fare uni­ver­sa­li­stico, sia pure con misure imper­fette. Dall’altro lato, si rischia di imporre un work­fare pater­na­li­stico e cari­ta­te­vole. Una volta rice­vuto que­sto Reis, infatti, tutti i mem­bri della fami­glia tra 18 e 65 anni rite­nuti abili al lavoro devono atti­varsi alla ricerca di un impiego; dare dispo­ni­bi­lità a ini­ziare un’occupazione offerta dai Cen­tri per l’impiego e a fre­quen­tare atti­vità di for­ma­zione o riqua­li­fi­ca­zione professionale.
Que­sta misura è inte­stata ai capo­fa­mi­glia, e non ai sin­goli. Se rea­liz­zata, verrà raf­for­zata l’immagine di un wel­fare maschile, fon­dato sul fami­li­smo, in con­te­sti di povertà e depri­va­zione. E lo Stato rischia di diven­tare un cen­sore, o un pre­fetto che con­trolla la vita delle per­sone che devono rispet­tare l’impegno a dimo­strarsi dispo­ni­bili a qual­siasi offerta di lavoro.
In più il Reis rischia seria­mente di spo­sarsi con l’idea del mini­stro del lavoro Poletti secondo il quale biso­gna met­tere la gente al lavoro anche nel volon­ta­riato, o nei lavori social­mente utili, in cam­bio di un sus­si­dio di povertà. Poletti le chiama “atti­vità a bene­fi­cio delle comu­nità locali”, un’idea che fa il paio con quella di tagliare le vacanze estive e man­dare gli stu­denti mino­renni a “sca­ri­care cas­sette ai mer­cati gene­rali” . Un “modo per ren­dersi utili” agli occhi della “comu­nità” tipico di una visione dove la dif­fe­renza tra la carità e l’autoritarismo è sottile.
Non è detto che il governo Renzi non scelga que­sta strada. Sem­pre che voglia fare qual­cosa con­tro la disoc­cu­pa­zione e la povertà.
La distanza tra Lan­dini e Camusso
In que­sto sce­na­rio di bat­ta­glia cul­tu­rale, e poli­tica, sul red­dito emerge la distanza tra Lan­dini e Camusso sul red­dito. Sia pure in maniera ancora par­ziale, e scar­sa­mente argo­men­tata, Lan­dini si è più volte sof­fer­mato sulla valenza di un red­dito minimo in un con­te­sto di disoc­cu­pa­zione strut­tu­rale e di lavoro povero. Sem­bra avere supe­rato le reti­cenze, e le cen­sure, del lavo­ri­smo della sua cul­tura di pro­ve­nienza per la quale chi non lavora non può avere un red­dito. Nel caso di Camusso, que­sto impe­ra­tivo resta inscal­fi­bile. Ad esso si aggiunge un altro, deci­sivo per il futuro di un sin­da­cato che pro­tegge i fon­da­menti di una società for­di­sta, rica­vata sullo stan­dard del lavoro sala­riato e dipen­dente. Camusso crede, infatti, che oggi que­sta fun­zione vada restau­rata e il sin­da­cato deve man­te­nersi auto­nomo dalla poli­tica. Quando, invece, Lan­dini parla di “coa­li­zione sociale” rico­no­sce che il sin­da­cato non è più auto­suf­fi­ciente e deve met­tersi al cen­tro di una rete sociale e poli­tica molto più ampia se vuole ini­ziare  una nuova sta­gione di “nego­zia­zione sociale” che includa il quinto stato .
«Quando il sin­da­cato è pre­sente —  ha detto Camusso com­men­tando uno stu­dio del Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale  -  i risul­tati di pro­te­zione eco­no­mica sono molto mag­giori di qual­siasi altro stru­mento, sia esso il red­dito di cit­ta­di­nanza o il sala­rio minimo deciso dalla politica».
Una pie­tra tom­bale sul ten­ta­tivo (anche di una parte della sini­stra e dei movi­menti sociali, oltre che dei Cin­que Stelle) di isti­tuire un red­dito minimo in Ita­lia.
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Leggi il dos­sier sul red­dito minimo “o di cittadinanza”

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