A quel che
si legge, nell’inchiesta su Ischia c’è tutto. Il politico che rimane
a galla trasmigrando da una sponda all’altra; i partiti di
successiva appartenenza che abbracciano il suo pacchetto di voti;
i funzionari compiacenti che firmano le carte partecipando al
maltolto; i parenti; il fangoso rapporto tra politica,
amministrazione, denaro; l’impresa, per di più ammantata di una
storia antica e persino un tempo nobile; il politico potente, magari
un po’ decaduto. E soprattutto l’omertà di tanti, che certamente
sapevano o sospettavano, e hanno valorosamente taciuto.
È l’Italia di oggi. Un remake con un
copione nemmeno originale, che non ci insegna nulla di nuovo. Ma ci
dà l’ennesima prova di quanto debole sia l’argine che la politica
vorrebbe costruire. Il disegno di legge contro la corruzione
arranca in senato, e va ancora ricordato che il disegno di legge AS 19
a firma di Grasso e altri fu presentato il 15 marzo 2013, all’avvio
della legislatura. Sono passati due anni, e non più di un mese fa
venne negata l’urgenza.
La lotta alla corruzione arranca,
mentre continuano le fibrillazioni sulla questione della
prescrizione. Il punto è che una parte della maggioranza considera
la corruzione come un peccatuccio, da confessionale piuttosto
che da galera. La riluttanza di pezzi della politica verso
interventi drastici riflette il pensiero di pezzi del paese che con
la corruzione vivono senza problemi. Perché ne approfittano,
perché la tollerano, perché pensano che non li riguarda.
Combattere la corruzione è ovunque
difficile, perché è un reato in cui è difficile distinguere un
carnefice e una vittima. Corruttore e corrotto sono
indissolubilmente legati dall’interesse a coprire il reato,
e manterranno entrambi il silenzio se appena potranno.
E può essere anche difficile dare la
prova, che spesso richiede di smantellare apparenze ben nascoste.
Leggiamo che i proventi della corruzione sarebbero nella specie
venuti anche da consulenze — meccanismo ben noto e ormai sospetto
in principio — e dalla messa a disposizione di camere di albergo per
i dipendenti della impresa coinvolta. E qui un po’ di fantasia c’è.
Per questo la via di un contrasto
efficace è più nella prevenzione che nell’inasprimento della
sanzione penale. Bisogna stimolare chi è fuori del disegno
corruttivo a riconoscerlo, darne notizia, rendere visibile ciò
che non lo è. Dando nuova vitalità ai meccanismi di
responsabilità politica e istituzionale, agli strumenti di
controllo sociale, alla consapevolezza che la corruzione è in
senso tecnico un costo. Certamente occulto, ma non meno reale. Anche
se è difficile quantificarlo, è un pacco di miliardi che viene
sottratto al bene comune.
Ma proprio gli elementi del romanzo
prima elencati ci dicono che la via è lunga. Non basta un tocco di
bacchetta magica. Come ripulire la politica senza ricostruirla dalle
fondamenta? Quella che abbiamo è fondata sulla
personalizzazione estrema, sul successo commisurato ai
pacchetti di voti di cui si dispone, su partiti disgregati che
veicolano falsi riti pseudodemocratici come le primarie. Né si
ritrovano strumenti efficaci di responsabilità politica senza
rivitalizzare le assemblee elettive regionali e locali, oggi in
larga parte occupate da ectoplasmi di nuovo notabilato attenti solo
al proprio consenso. Né ancora si rinsalda una gestione corretta
del denaro pubblico se non si ripensa a fondo la separatezza tra
politica e amministrazione costruita a partire dagli anni ‘90.
È probabile che, secondo le regole, il sindaco di cui si parla non
abbia firmato alcuna carta. Ma lo avrà fatto un funzionario da lui
nominato, o da lui lasciato sulla poltrona già occupata. Di sicuro
non il portatore di una diversa concezione di vita.
Quel che preoccupa è che le storture
in atto andrebbero corrette con riforme opposte a quelle che il
governo porta avanti: sulla Costituzione, sul sistema elettorale,
sulla Pa, senza dimenticare le intercettazioni e la
responsabilità dei magistrati. In specie, un’occhiuta vigilanza
e il ripristino dell’etica pubblica si ritrovano con una
partecipazione democratica effettiva e diffusa, e un sistema
solido di checks and balances.
Al contrario, le proposte in
discussione riducono la rappresentatività e concentrano il
potere in poche mani. Mentre la lotta alla corruzione non guarda alla
prevenzione, ma si riduce a un disegno sanzionatorio penale che
soffre di salute parlamentare cagionevole. Non è un caso che
rimaniamo sul fondo delle classifiche internazionali sulla
corruzione. Mentre si affida ancora alla logica del deus ex machina —
Cantone e autorità anticorruzione — il messaggio che il paese
risale la china. È falso, e non dipende dalle persone. Qualunque
autorità può solo intervenire in pochi casi emblematici, a danno
già prodotto. Non cura la malattia diffusa ed endemica.
La cautela è d’obbligo. Dunque non
distribuiamo condanne, e con la formula usuale auspichiamo che la
magistratura faccia in fretta e bene. Ma intanto notiamo che
è passato appena qualche giorno dall’esortazione di Mattarella a che
la Pubblica amministrazione operi con tenacia e trasparenza
contro la corruzione. E non c’è dubbio che qualcuno si muova con
tenacia: ma contromano.
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