In realtà, sappiamo molto meno delle questioni che sono di
fondamentale importanza per analizzare il tardo neoliberalismo ed il
relativo malcontento, come:
· Movimenti in periodi di crisi, i.e. quando la protesta è scatenata più da minacce che da opportunità
· Movimenti in periodi straordinari, ovvero movimentati, quando l’azione cambia le relazioni
· Movimenti come processi, i.e. come produttori delle proprie risorse e fonte di empowerment
L’attività di ricerca in economia politica ha indicato alcune caratteristiche generali del neoliberalismo: l’emergenza di un libero mercato come ideologia, che indirizza le politiche non verso il ritiro dello stato dal mercato, bensì verso la riduzione degli investimenti nei servizi sociali che diminuiscono le disuguaglianze, e porta protezione al posto del capitalismo finanziario; la privatizzazione dei beni pubblici ed il salvataggio delle banche; la flessibilizzazione del mercato del lavoro, affiancato però a forti attività di regolamentazione, che aumentano le opportunità di trarre vantaggi speculativi.
Questi sviluppi hanno chiare conseguenze sulle basi sociali della politica del conflitto contemporanea. Entrambe le ondate di protesta del 2011 e del 2013 hanno infatti causato nuove tensioni nelle basi sociali della politica del conflitto. Nel 2011, i manifestanti sono stati generalmente considerati, per la maggior parte, come membri di una nuova classe precaria, che era stata fortemente colpita dalle politiche di austerità. Diversamente da quelli del 2011, le proteste del 2013 sono state interpretate come fenomeni del “ceto medio”.
Le informazioni collezionate sul background sociale dei manifestanti non hanno confermato in modo inequivocabile ne’ la tesi della mobilitazione di un nuovo precariato, ne’ quella di un movimento della classe media. In tutte le manifestazioni sono rappresentati una vasta gamma di background sociali: dagli studenti ai lavoratori precari, dai lavoratori manuali e non manuali alla piccola borghesia e ai professionisti. Maggiormente popolate da giovani e figure di elevata istruzione, le manifestazioni hanno anche osservato la partecipazione di altre coorti di età.
Le varie proteste coinvolgono diverse classi sociali, ma non sono un fenomeno tra classi. Tendono piuttosto a riflettere alcuni cambiamenti nella struttura delle classi sociali che hanno caratterizzato il neoliberalismo e la sua crisi: in particolare, la proletarizzazione delle classi medie e la precarizzazione dei lavoratori. Quanto al primo fenomeno, molti studi indicano il declino del potere della classe media, con le tendenze alla proletarizzazione di a) la piccola borghesia indipendente (come ad esempio la trasformazione delle strutture commerciali che portano all’eliminazione dei negozianti indipendenti a favore delle multinazionali); b) i liberi professionisti (attraverso processi di privatizzazione dei servizi, creazione di aziende oligopolistiche e de-professionalizzazione attraverso la Taylorizzazione dei compiti); c) i dipendenti pubblici (attraverso la riduzione dello status e del salario, e attraverso la flessibilizzazione del contratto, etc.).
Per quanto riguarda quest’ultima, la precarizzazione colpisce i dipendenti privati nei settori industriali (attraverso la chiusura dei tradizionali settori fordisti, oltre alla flessibilizzazione delle condizioni lavorative), come nel settore terziario, con l’aumento del lavoro informale, di lavori scarsamente retribuiti, e di condizioni di lavoro precarie.
In sintesi, anziché mobilitare una singola classe sociale, le manifestazioni hanno mobilitato cittadini con diversi background sociali. I movimenti degli anni 2000 sono stati infatti visti come segni di comune opposizione alla mercificazione degli spazi pubblici, in un tentativo di costituzione comunitaria.
Nella mobilitazione di queste vaste e variegate basi sociali, i movimenti sociali in tempi di crisi devono far fronte a specifiche sfide, tra cui la simbolica sfida della costruzione di un nuovo soggetto; la sfida materiale di mobilitare risorse limitate; la sfida strategica di influenzare un sistema politico estremamente chiuso.
Anche se non totalmente limitate da esse, le risposte del movimento alla crisi sono infatti strutturate sulla base delle risorse materiali esistenti (come succede nelle reti di movimento), e anche da risorse simboliche (espresse come cultura del movimento). Questo implica una limitazione delle opzioni disponibili, ma scatena un processo di apprendimento in termini di lezioni dal passato.
Anche se certamente limitati dalle strutture esistenti, una caratteristica dei movimenti nei periodi di crisi è la loro capacità di creare risorse attraverso l’invenzione di nuove strutture, nuovi sistemi organizzativi e nuove forme di azione. In questo senso, per capire le condizioni per l’azione di conflitto, l’attenzione deve spostarsi a ciò che è stato individuato come divenire : non esistono ancora le identità, né sono state costituite; le reti si sono riformate attraverso il superamento di vecchie scissioni. In periodi straordinari, a causa della rottura di vecchie identità e di vecchie aspettative, emerge un nuovo spirito: i movimenti sociali esprimono allora, prima di tutto, il diritto di esistere.
Lo sviluppo di uno spirito nuovo è stato osservato nelle piazze occupate, che hanno caratterizzato il nuovo repertorio di proteste. Esse rappresentano infatti spazi per la formazione di una nuova soggettività, basata sulla ricomposizione di precedenti scissioni e l’emergenza di nuove identità. Le manifestazioni sono quindi da vedere come produttrici di entità emergenti, che vanno al di là dei propri elementi costitutivi. L’attenzione sul divenire affiora attraverso le pratiche che sottolineano l’importanza degli incontri – infatti, viene celebrata nelle varie piazze la diversità delle persone.
In questo senso, come indicato dal percorso evolutivo di Grecia e Spagna, anche se apparentemente in ritirata, le ampie ondate di protesta hanno un carattere costitutivo, e sospendendo vecchie regole ne creano di nuove. In questo modo la democrazia si è evoluta nelle strade.
(traduzione di Alessandro Castiello D'Antonio)
· Movimenti in periodi di crisi, i.e. quando la protesta è scatenata più da minacce che da opportunità
· Movimenti in periodi straordinari, ovvero movimentati, quando l’azione cambia le relazioni
· Movimenti come processi, i.e. come produttori delle proprie risorse e fonte di empowerment
L’attività di ricerca in economia politica ha indicato alcune caratteristiche generali del neoliberalismo: l’emergenza di un libero mercato come ideologia, che indirizza le politiche non verso il ritiro dello stato dal mercato, bensì verso la riduzione degli investimenti nei servizi sociali che diminuiscono le disuguaglianze, e porta protezione al posto del capitalismo finanziario; la privatizzazione dei beni pubblici ed il salvataggio delle banche; la flessibilizzazione del mercato del lavoro, affiancato però a forti attività di regolamentazione, che aumentano le opportunità di trarre vantaggi speculativi.
Questi sviluppi hanno chiare conseguenze sulle basi sociali della politica del conflitto contemporanea. Entrambe le ondate di protesta del 2011 e del 2013 hanno infatti causato nuove tensioni nelle basi sociali della politica del conflitto. Nel 2011, i manifestanti sono stati generalmente considerati, per la maggior parte, come membri di una nuova classe precaria, che era stata fortemente colpita dalle politiche di austerità. Diversamente da quelli del 2011, le proteste del 2013 sono state interpretate come fenomeni del “ceto medio”.
Le informazioni collezionate sul background sociale dei manifestanti non hanno confermato in modo inequivocabile ne’ la tesi della mobilitazione di un nuovo precariato, ne’ quella di un movimento della classe media. In tutte le manifestazioni sono rappresentati una vasta gamma di background sociali: dagli studenti ai lavoratori precari, dai lavoratori manuali e non manuali alla piccola borghesia e ai professionisti. Maggiormente popolate da giovani e figure di elevata istruzione, le manifestazioni hanno anche osservato la partecipazione di altre coorti di età.
Le varie proteste coinvolgono diverse classi sociali, ma non sono un fenomeno tra classi. Tendono piuttosto a riflettere alcuni cambiamenti nella struttura delle classi sociali che hanno caratterizzato il neoliberalismo e la sua crisi: in particolare, la proletarizzazione delle classi medie e la precarizzazione dei lavoratori. Quanto al primo fenomeno, molti studi indicano il declino del potere della classe media, con le tendenze alla proletarizzazione di a) la piccola borghesia indipendente (come ad esempio la trasformazione delle strutture commerciali che portano all’eliminazione dei negozianti indipendenti a favore delle multinazionali); b) i liberi professionisti (attraverso processi di privatizzazione dei servizi, creazione di aziende oligopolistiche e de-professionalizzazione attraverso la Taylorizzazione dei compiti); c) i dipendenti pubblici (attraverso la riduzione dello status e del salario, e attraverso la flessibilizzazione del contratto, etc.).
Per quanto riguarda quest’ultima, la precarizzazione colpisce i dipendenti privati nei settori industriali (attraverso la chiusura dei tradizionali settori fordisti, oltre alla flessibilizzazione delle condizioni lavorative), come nel settore terziario, con l’aumento del lavoro informale, di lavori scarsamente retribuiti, e di condizioni di lavoro precarie.
In sintesi, anziché mobilitare una singola classe sociale, le manifestazioni hanno mobilitato cittadini con diversi background sociali. I movimenti degli anni 2000 sono stati infatti visti come segni di comune opposizione alla mercificazione degli spazi pubblici, in un tentativo di costituzione comunitaria.
Nella mobilitazione di queste vaste e variegate basi sociali, i movimenti sociali in tempi di crisi devono far fronte a specifiche sfide, tra cui la simbolica sfida della costruzione di un nuovo soggetto; la sfida materiale di mobilitare risorse limitate; la sfida strategica di influenzare un sistema politico estremamente chiuso.
Anche se non totalmente limitate da esse, le risposte del movimento alla crisi sono infatti strutturate sulla base delle risorse materiali esistenti (come succede nelle reti di movimento), e anche da risorse simboliche (espresse come cultura del movimento). Questo implica una limitazione delle opzioni disponibili, ma scatena un processo di apprendimento in termini di lezioni dal passato.
Anche se certamente limitati dalle strutture esistenti, una caratteristica dei movimenti nei periodi di crisi è la loro capacità di creare risorse attraverso l’invenzione di nuove strutture, nuovi sistemi organizzativi e nuove forme di azione. In questo senso, per capire le condizioni per l’azione di conflitto, l’attenzione deve spostarsi a ciò che è stato individuato come divenire : non esistono ancora le identità, né sono state costituite; le reti si sono riformate attraverso il superamento di vecchie scissioni. In periodi straordinari, a causa della rottura di vecchie identità e di vecchie aspettative, emerge un nuovo spirito: i movimenti sociali esprimono allora, prima di tutto, il diritto di esistere.
Lo sviluppo di uno spirito nuovo è stato osservato nelle piazze occupate, che hanno caratterizzato il nuovo repertorio di proteste. Esse rappresentano infatti spazi per la formazione di una nuova soggettività, basata sulla ricomposizione di precedenti scissioni e l’emergenza di nuove identità. Le manifestazioni sono quindi da vedere come produttrici di entità emergenti, che vanno al di là dei propri elementi costitutivi. L’attenzione sul divenire affiora attraverso le pratiche che sottolineano l’importanza degli incontri – infatti, viene celebrata nelle varie piazze la diversità delle persone.
In questo senso, come indicato dal percorso evolutivo di Grecia e Spagna, anche se apparentemente in ritirata, le ampie ondate di protesta hanno un carattere costitutivo, e sospendendo vecchie regole ne creano di nuove. In questo modo la democrazia si è evoluta nelle strade.
(traduzione di Alessandro Castiello D'Antonio)
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