giovedì 19 marzo 2015

Cof­fe­rati: «Landini scelga il coordinatore. Così stoppa i sospetti su di lui»

Fonte: il manifesto | Autore: Daniela Preziosi

La segre­ta­ria della Cgil Susanna Camusso chiede a Mau­ri­zio Lan­dini di «can­cel­lare qual­siasi ambi­guità» dall’iniziativa della coa­li­zione sociale per­ché il sin­da­cato «non può essere con­fuso con la costru­zione di movi­menti poli­tici». Lui, Lan­dini, risponde pic­che, anzi chiede alla Cgil di par­te­ci­pare alla coa­li­zione sociale. Nella Cgil siamo ai ferri corti. Il 28 marzo a Roma è con­vo­cata una mani­fe­sta­zione Fiom «sospet­tata» da molti, anche nella Cgil, di essere la prima della neo­nata crea­tura lan­di­niana. E invece per Ser­gio Cof­fe­rati, euro­de­pu­tato, ex pd ma soprat­tutto sto­rico lea­der Cgil, «è una mani­fe­sta­zione impor­tante e di carat­tere espli­ci­ta­mente sin­da­cale, come i disa­stri indu­striali dimo­strano ampiamente».

Cof­fe­rati, ha ragione Camusso o ha ragione Landini?
La pro­po­sta di un’alleanza sociale è giu­sta e inte­res­sante per­ché risponde ad un’esigenza vera che c’è nella società ita­liana. La lun­ghis­sima crisi ha accen­tuato le povertà e l’esclusione, ha reso fra­gile e pre­ca­ria una quota enorme di lavoro, non ha creato nuovo lavoro per i gio­vani e anzi ha ridotto le tutele e le pro­te­zioni di chi è già impie­gato. Riu­ni­fi­care que­sto mondo è indi­spen­sa­bile. È ovvio che la coa­li­zione sociale non è e non dev’essere l’anticamera di un sog­getto par­ti­tico. È un’associazione di asso­cia­zioni. Ma che il suo fon­da­mento sia la poli­tica, nel senso nobile del ter­mine, è fuor di dub­bio. Non è utile per nes­suno con­ti­nuare a vivere di sospetti e timori sulla pos­si­bi­lità che quest’associazione possa diven­tare altro da ciò che è dichia­rato. E poi biso­gna cre­dersi. Se non ci si crede reci­pro­ca­mente, salta il più ele­men­tare prin­ci­pio del rispetto.
Ma Camusso sem­bra pro­prio non fidarsi. Come se ne esce?
La solu­zione è sem­plice: la coa­li­zione si dia un gruppo di coor­di­na­mento con un respon­sa­bile che non sia Lan­dini e che assuma il com­pito di gestire l’iniziativa. Così tutti i sog­getti lì rap­pre­sen­tati con­ti­nue­ranno a svol­gere le loro fun­zioni pre­ce­denti oltre­ché a lavo­rare insieme al pro­gramma dell’associazione. E così vedremo che la Fiom con­ti­nuerà a fare il sin­da­cato dei metal­mec­ca­nici e si supe­rano dubbi e sospetti. Aggiungo che sarebbe molto impor­tante una pre­senza diretta della Cgil nella coalizione.
Sem­bra dif­fi­cile, per usare un eufe­mi­smo, che Susanna Camusso possa aderire.
Ma la pre­senza diretta della Cgil risol­ve­rebbe alla radice i sospetti e darebbe effi­ca­cia al lavoro della coa­li­zione. Il sin­da­cato ita­liano, a dif­fe­renza di quello di altri paesi euro­pei, è con­fe­de­rale, cioè rap­pre­senta inte­ressi gene­rali. Que­sta matrice diversa da quella ogget­ti­va­mente cor­po­ra­tiva dei sin­da­cati di sola cate­go­ria è la parte più nobile della sto­ria sin­da­cale ita­liana, e un rap­porto costante fra que­sta dimen­sione e le altre forme di rap­pre­sen­tanza sarebbe un ele­mento di grande novità anche nel pano­rama europeo.
Quindi non c’è alcuna «ambi­guità» nel pro­getto di Landini?
Io non ne vedo. Biso­gna distin­guere la forma-partito dalla poli­tica. Nes­suno dei pre­senti alla riu­nione di sabato (alla Fiom, ndr) ha ipo­tiz­zato la nascita di un par­tito. I sin­da­cati con­fe­de­rali, da quando sono nate le camere del lavoro nel lon­tano 1891, hanno sem­pre fatto poli­tica. Il sin­da­cato fa poli­tica: era poli­tica il Piano del lavoro di Giu­seppe Di Vit­to­rio, era poli­tica la lotta con­tro la mafia negli anni ’50 e con­tro il ter­ro­ri­smo negli anni ’80, lo era l’accordo sulla poli­tica dei red­diti che ha sal­vato que­sto paese dalla cata­strofe all’inizio degli anni ’90, altri­menti altro che Gre­cia. Oggi molti degli obiet­tivi stret­ta­mente sin­da­cali hanno biso­gno di un aggre­gato più largo del sin­da­cato stesso. Fac­cio un esem­pio: è aumen­tata la povertà, il sin­da­cato può pen­sare di affron­tare que­sto tema senza un rap­porto stretto con quelli che si occu­pano di ridurre le sof­fe­renze dei poveri? Sarebbe miope. È pos­si­bile pen­sare che la sal­va­guar­dia dell’ambiente passi solo dalla pur fon­da­men­tale con­trat­ta­zione delle poli­ti­che indu­striali? Que­sto può essere una parte di una poli­tica sin­da­cale nuova. Affron­tia­mola senza timori. Ma basta esami a chi vuole farlo. In que­sto discorso i par­titi non c’entrano.
Per que­sto Lan­dini ha escluso i rap­pre­sen­tanti dei par­titi dalla riunione?
Penso di sì. Non è spoc­chia, ha fatto bene, i par­titi hanno una fun­zione diversa. Lan­dini non si pone il tema di riu­ni­fi­care la galas­sia fram­men­tata della sinistra.
Il suo tema è cam­biare il sin­da­cato?
Il sin­da­cato ha pro­blemi di orga­niz­za­zione interna. La dimen­sione fede­rale oggi deve porsi nuove que­stioni: il lavoro for­di­sta con­cen­trato nelle grandi fab­bri­che, o quello brac­cian­tile, era più sem­plice da orga­niz­zare. Oggi, con il lavoro dif­fuso, è tutto più dif­fi­cile. E non solo sotto il pro­filo dell’adesione: quando la con­trat­ta­zione col­let­tiva guarda sog­getti che lavo­rano in realtà pic­cole e dif­fuse, a volte invi­si­bili, è molto dif­fi­cile da eser­ci­tare. Per que­sto è impor­tante una legge sulla rap­pre­sen­tanza. La Cgil non aveva mai con­di­viso l’idea di una legge sulla rap­pre­sen­tanza con l’obbligo alla vali­da­zione degli accordi attra­verso il refe­ren­dum in cui votano tutti. Ma così si dà senso all’applicazione erga omnes (nei con­fronti di tutti, ndr) del con­tratto. Oggi lo appli­chi a tutti ma viene valu­tato da pochi. E que­sto è un limite alla democrazia.
Oggi Renzi dice di essere inten­zio­nato a fare una legge sulla rappresentanza.
Che voglia fare una legge è un fatto posi­tivo. Il titolo è buono, i con­te­nuti li giu­di­che­remo quando arriveranno.
Renzi accusa Lan­dini di fare poli­tica: in pra­tica è la stessa obie­zione di Camusso.
Se vanno avanti così lo faranno diven­tare un capo poli­tico con­tro la sua volontà. Penso che le dichia­ra­zioni di Lan­dini vanno prese sul serio. Da tutti.
Però non è che non se ne siano visti, da noi, di sin­da­ca­li­sti che hanno fatto il ’salto’ in poli­tica. Come tanti, come lei.
Ma chi l’ha fatto ha lasciato il sin­da­cato ed è entrato in un par­tito. Negli anni ’40 e ’50 alcuni sin­da­ca­li­sti erano con­tem­po­ra­nea­mente par­la­men­tari. Poi giu­sta­mente si è intro­dotto il vin­colo dell’incompatibilità.
Camusso riven­dica l’autonomia della Cgil. Ma a sua volta è stata una grande elet­trice di Ber­sani. E que­sto, secondo alcuni, ha inciso sulla scarsa con­flit­tua­lità della Cgil ai tempi del governo Monti. È andata così?
Il sin­da­cato ha l’obbligo di eser­ci­tare auto­no­mia, ma que­sto non vieta ai sin­da­ca­li­sti di avere un’appartenenza poli­tica. Però gli iscritti sono molto liberi nel voto, lo dimo­strano le sta­ti­sti­che. Quanto al governo Monti, no, la man­canza di con­flitto su alcuni temi è nata da una sot­to­va­lu­ta­zione dei prov­ve­di­menti. Quel governo è stato l’origine di gran parte dei nostri pro­blemi di oggi, basta pen­sare a quello che ha fatto il mini­stro For­nero sulle pen­sioni e sul mer­cato del lavoro.
È un dato ogget­tivo che la coa­li­zione di Lan­dini ha spiaz­zato, anche un po’ agi­tato, chi cerca di creare una casa comune della sini­stra. Secondo lei per­ché? Non c’era modo di fare diversamente?
La sini­stra ha un pro­blema di rap­pre­sen­tanza poli­tica. Deve ripar­tire dai valori, e secondo me è inu­tile che cer­chi scor­cia­toie in aggre­ga­zioni tem­po­ra­nee. Deve fare un per­corso lungo e fati­coso che è quello di guar­dare ai valori.
La sini­stra Pd a sua volta vive con dif­fi­coltà il con­flitto fra Cgil e Fiom.
La sini­stra Pd fa tre riu­nioni in una set­ti­mana e alla fine resta tutto come prima. Non dà un segnale confortante.
Per­ché non fa quello che dice?
Per­ché non fa.

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