venerdì 16 maggio 2014

Sud di Roma. indiani sikh nell'agro pontino costretti a drogarsi per lavorare 15 ore al giorno nei campi

Indiani sikh nell'agro pontino costretti a drogarsi per lavorare 15 ore al giorno nei campiLa nuova frontiera della schiavitù invisibile, a due passi da Roma. A denunciare lo sfruttamento è un dossier della onlus In Migrazione, che ha intervistato i braccianti indiani della zona agricola in provincia di Latina.


ROMA - Un esercito di braccianti costretto a doparsi per lavorare. Centinaia di indiani sikh che ingoiano capsule d'oppio, per poter resistere 12 ore sui campi. "Per la raccolta delle zucchine stiamo piegati tutto il giorno in ginocchio - racconta K. Singh - troppo lavoro, troppo dolore alle mani. Prendiamo una piccola sostanza per non sentire dolore". È la nuova frontiera della schiavitù invisibile, a due passi da Roma, nell'Agro pontino.
Gli indiani di Latina. A denunciare lo sfruttamento è un dossier della onlus InMigrazione, che ha intervistato i braccianti indiani della zona agricola in provincia di Latina. Quella dell'Agro pontino è infatti la seconda comunità sikh d'Italia. La richiesta di forza-lavoro non qualificata da impiegare come braccianti nella coltivazione delle campagne ha incentivato la migrazione e convinto molti sikh a stabilizzarsi nelle provincia di Latina. Secondo le stime della Cgil, la comunità arriva a contare ufficialmente circa 12mila persone, anche se è immaginabile un numero complessivo di 30mila presenze.


Schiavi e padroni. "Un esercito silenzioso di uomini piegati nei campi a lavorare a volte tutti i giorni senza pause. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 12 ore al giorno filate sotto il sole, chiamano "padrone" il datore di lavoro, subiscono vessazioni e violenze di ogni tipo. Quattro euro l'ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul lavoro mai denunciati e "allontanamenti" facili per chi tenta di reagire", denuncia il dossier In Migrazione.

Droghe e antidolorifici. "Queste persone, per sopravvivere ai ritmi massacranti e aumentare la produzione dei "padroni" italiani, sono costrette a doparsi con sostanze stupefacenti e antidolorifici che inibiscono la sensazione di fatica e stanchezza. Una forma di doping vissuto con vergogna e praticato di nascosto perché contrario alla loro religione e cultura, oltre a essere severamente contrastato dalla propria comunità. Eppure per alcuni lavoratori sikh si tratta dell'unico modo per sopravvivere ai ritmi di lavoro imposti, insostenibili senza quelle sostanze".

La vergogna di Singh. "Io mi vergogno troppo perché la mia religione dice di no a questo  -  racconta L. Singh  -  No buono per sikh. È vietato da nostra bibbia. Ma padrone dice sempre lavora e io senza sostanze non posso lavorare da 6 di mattino alle 18 con una pausa sola. Io so che no giusto ma io ho bisogno di soldi. Senza soldi io no vivo in Italia. Tu riusciresti? Padrone dice lavora e io prendo poco per lavorare, meglio non sentire dolore e fatica perché io devo lavorare. Tu mai lavorato in campagna per 15 ore al giorno?".

Lo spaccio parla italiano. Le sostanze dopanti sono vendute al dettaglio anche dagli indiani e alcuni di loro sono stati recentemente arrestati dalle forze dell'ordine. Dalle storie che In Migrazione ha raccolto emerge, però, come il traffico sia saldamente in mano a italiani variamente organizzati con collegamenti anche con l'estero. "Viene un italiano che porta tanta droga a gruppo di indiani che prendono per lavoro  -  conferma Singh  -  No buono così. Italiano prende soldi e indiano sta male. Già indiano non viene pagato dal padrone, poi dà anche soldi a italiano per droga".

Nessun commento:

Posta un commento