mercoledì 5 dicembre 2012

Pc da 30 euro, è già boom

Si chiama Raspberry Pi, cioè 'torta di lamponi'. Costa veramente poco, è grande come una carta di credito e non semplicissimo da usare. E in Gran Bretagna è il nuovo oggetto di culto degli adolescenti.

l'espresso di Francesca Sironi
Il Raspberry Pi, pronunciato "pie", come "torta di lamponi", è un computer minuscolo, che costa solo 25 sterline (una trentina di euro) ed è stato inventato da una fondazione per far rinascere nei ragazzi la voglia di smanettare con la tecnologia in modo meno passivo rispetto ai tablet commerciali. I primi ordini in Gran Bretagna hanno superato le 500 mila unità e a Natale sarà il regalo numero uno per i figli di nerd e non solo: i produttori contano di arrivare a un milione di pezzi.

Cosa rende affascinante questo piccolo computer, grande quanto una carta di credito, completamente nudo, con goffe porte che si aprono ai lati per connettere le varie periferiche (tastiera, schermi, lettori Sd, cavi di rete)? «E' uno strumento che scatena la fantasia», racconta Danilo, che insieme al coinquilino, Claudio, ha portato il Raspberry Pi in Italia: «I campi applicativi sono tantissimi e nessuno è precluso. Basta continuare a usarlo per farseli venire in mente».

I produttori del Raspberry, tutti o quasi ex ingegneri informatici, sono partiti da un'osservazione: troppo abituati a computer, telefonini e tablet che permettono di fare tutto senza impegno, i ragazzi si stanno disamorando dalla tecnologia. Lo dimostrerebbero gli iscritti in calo nei corsi di informatica e un'utenza generalmente più ignorante di quella che quindici anni fa aveva a che fare con macchine lente che andavano programmate ogni volta per ottenere quello che si desiderava. Così hanno inventato il Rasperry Pi, un computer piccolo, essenziale, con un sistema operativo open source, in cui ogni azione che si voglia compiere dev'essere scritta, riga dopo riga di codice.

«E' difficile descriverlo in un'unica forma», dice Claudio, appassionato di elettronica oltre che di computer: «Proprio perché è così versatile non riuscirei a trovare una definizione che si addica a tutte le sue funzioni. Per l'uso che ne faccio io, ad esempio, il Raspberry Pi è un ponte fra l'informatica e il mondo reale». Claudio lo usa infatti per azionare tutte le luci di casa con un solo comando, ad esempio, per far funzionare illuminazioni led, per creare installazioni luminose a tempo di musica o anche banalmente per connettere tutti i computer di casa a una sola stampante, o ancora organizzare un media center tra pc, stereo e tv.

«Davvero, è solo una questione di fantasia», commenta: «Essendo un computer completo permette di lavorare con quello che si vuole senza dover passare da un pc». Condividendo il desktop, Danilo mostra la sua versione personalizzata della distribuzione di Linux installata sul Raspberry: «Se lo collegassi a un monitor sarebbe lo stesso. Grazie al fatto che è open source, ho potuto modificare il sistema operativo a mio piacimento, installando pacchetti di software che ho trovato in rete e modificando il tema», spiega. «E' come se il Raspberry fosse un pezzo di lego. Ognuno di costruisce quello che vuole, e grazie alle periferiche i più abili possono realizzare anche un castello».

I lego sono la metafora giusta. Il Raspberry infatti è pensato per i bambini, gli studenti delle scuole elementari e medie. Per loro, si tratta più che altro di vedere per la prima volta un computer "smontato", dove monitor, tastiera e mouse si devono collegare manualmente.

Ogni videogioco poi dev'essere programmato per poter funzionare. Il linguaggio è fra quelli più di moda, il Phyton, che permette di iniziare con poche righe di codice e ritrovarsi dopo poco pronti a scrivere software. Ma in terza elementare i bambini iniziano con comandi semplici: "se faccio così allora il gatto attraversa lo schermo", e via dicendo. In Inghilterra le scuole si stanno già attivando per l'acquisto, e la BBC produce dei video per spiegare come funziona. A far amare il Raspberry Pi è anche il fatto che chi lo produce e commercializza è una fondazione no profit, che con questo progetto non vuole diventare milionaria ma semplicemente mettere in circolo una nuova idea di tecnologia e un approccio non mediato all'informatica.

L'ordine, sul sito, si può fare subito, anche se richiede almeno sei settimane per arrivare. In molti sperano che il Raspberry Pi diventi anche un mezzo per diminuire il divario tecnologico dei Paesi in via di sviluppo, grazie ai costi contenuti, al consumo di energia minimo e alla sua portabilità. Nel frattempo, per conoscere come funziona e provare a smanettarci, ci sono le Jam (nome scelto non a caso), eventi in cui appassionati di ogni livello si riuniscono per confrontarsi sugli usi e le possibilità dello strumento. Il prossimo, in Italia, sarà il 18 dicembre, a Roma.

Nel mondo ne spuntano ogni dove: al Cern di Ginevra, nei sobborghi di Londra, al centro di Delhi o di New York. «Sono occasioni importanti, anche perché fa parte del movimento open source l'idea che la tecnologia non sia alienazione, ma un modo per fare community, per incontrarsi, per cambiare», spiega Claudio, attivista del gruppo Usolab della capitale, che si incontra ogni settimana sulla Prenestina per diffondere la conoscenza in vari campi dell'informatica. Alle Jam, dicono, non ci vanno solo i fanatici, ma anche persone che grazie al Raspberry Pi sono entrate per la prima volta in contatto con la programmazione, e ne hanno scoperto gli orizzonti. In attesa che anche nelle nostre scuole, dove le aule d'informatica sono quasi un miraggio, entri questo piccolo attrezzo low cost pronto a trasformarci in geni del computer.

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