Anna Lombroso
Proprio come è successo in passato quando la critica di cittadini esacerbati verteva sui costumi dissipati del puttaniere più che sul conflitto d’interesse, anche in questo caso l’anatema è lanciato più per l’organizzatore no-mask e assembramenti che contro l’aspirante golpista cacciato perfino dall’Arma per le sue intemperanze.
Altrettanto dicasi per le forze dell’ordine accusate di due metri e due misure sulla qualità del distanziamento, da parte di chi non solleva un sopracciglio per ben altre repressioni e ha solidarizzato con quella istruita contro le inopportune manifestazioni promosse da lavoratori nei primi di marzo, costretti alla ressa doverosa nei posti di lavoro e nei mezzi pubblici.
Certo, l’arruffapopolo è davvero impresentabile, dei suoi adepti sappiamo poco, perché per una volta nessun organo di stampa ci ha illuminati sulla natura del loro volgare ribellismo, spregevole in quanto ignorante, rozzo, xenofobo (si sa i cacciati da Capalbio succede che vengano conferiti nelle loro discariche periferiche), animalesco, quindi oggetto di sacrosanta e giustificata riprovazione, la stessa che ha costretto a consegnare da anni il malcontento disonorevole della pancia nelle mani della destra: misura dolorosa ma necessaria avviata da chi possedendo qualche residuo di garanzia e sicurezza, vanta una superiorità morale da difendere e da esercitare contro quei fermenti animali che si alzano dai margini della civiltà.
Invece, come mi è capitato di scrivere a caldo, sarebbe utile capire cui prodest, visto che certe macchiette finiscono sempre per essere funzionali ai disegni di chi comanda: in questo caso togliere valore e credibilità a qualsiasi forma di critica alla gestione delle crisi sanitaria e economica in nome di una obbligatoria unità nazionale tenuta insieme da un esecutivo di “salute pubblica”. Ma anche, come effetto non secondario, rendere accettabili, per appartenenza alle élite e rispetto dei requisiti riconducibili alle regole di bon ton diventate imperativi etici, altri figuri in realtà più dannosi, visto che sono affidati a loro settori strategici della cosa pubblica.
Proprio in coincidenza con la disdicevole manifestazione degli irriguardosi irresponsabili senza mascherina, il responsabile del nostro patrimonio culturale si è espresso come dinamico coach per una «grandiosa Ricostruzione».
“Abbiamo davanti un’occasione incredibile“, ha proclamato dalle pagine del Corriere, la crisi scoppiata con il coronavirus può trasformarsi in un’opportunità “perché per la prima volta dopo più di trent’anni un esecutivo può spendere risorse per il Paese invece di tagliarle. Sospeso il patto di Stabilità, ci sarà il Recovery fund, c’è il Mes che prenderemo…”. Anche se agisce all’interno di coalizione “politicamente fragile ” Dario Franceschini confida in questo “jackpot che potrebbe cambiare le sorti del Paese“. Dicendosi sicuro che passata l’emergenza, “il turismo in Italia ricomincerà a crescere impetuosamente”, quindi bisogna puntare sui nostri luoghi più ricchi di bellezze paesaggistiche e artistiche e finora più trascurati: il Sud.
E come? Collocando i 150 milioni del decreto Rilancio “per la riqualificazione della nostra offerta alberghiera e con un piano di recupero e rilancio dei borghi…. spesso abbandonati o trascurati”, grazie alla realizzazione di “hotel diffusi, cammini, ciclabili, ferrovie storiche, cibo, natura, arte”.
Ma prioritario per l’avvio di questa strategia di valorizzazione sarà il prolungamento fino il Sicilia della rete dell’Alta velocità al servizio di un turismo qualificato. E magari prendendo in considerazione l’ipotesi del Ponte, “perché”, come osserva l’Illuminato, “ i treni ad alta velocità dovranno pur attraversare lo Stretto”.
Ecco basta girare gli occhi per guardare il termometro, distogliere l’attenzione per lavorare in regime di storm working, per far fare ai figli, avendo Internet, i compiti con la didattica a distanza, per istruire la pratica per la cassa integrazione, per farsi dare l’elemosina in qualità di Partita Iva, che come un saltapicchio vien fuori dalla scatola delle meraviglie il genietto delle macchine da corruzione, il fantasmino dell’alta velocità dove non ci sono i treni per i pendolari e se ci sono si scontrano in un binario unico, dove c’è una stazione nella più volte nominata Capitale della Cultura in compenso non c’è la ferrovia.
Eccolo il bravo ragazzo, così intriso dei valori della tradizione familiare da aver voluto fare della casa avita un bel B&B aperto a visitatori paganti ancorchè esclusivi. È una vocazione la sua, così potente da farne la sua mission istituzionale in modo da trasformare tutto il Paese con preferenza per il Mezzogiorno proverbialmente parassitario e indolente, in un gran parco tematico delle civiltà morte del Mediterraneo, con i viventi non emigrati in qualità di figuranti in costume, in veste di osti, locandiere, inservienti, guide e intrattenitori, proprio come raccomandano quei sacerdoti della fruizione turistica e culturale, Farinetti che chiede di convertire il Sud nella Sharm el Sheik europea o Briatore pronto a trasformare la noiosa Valle dei Templi in un più profittevole Billionnaire.
Tutto così sarà Very Bello, come postulava una delle sue campagne pensate per vendere il Bel Paese all’estero proprio come tocchi dell’analogo formaggio: si è confermato il suo disegno di adibire a uso puramente turistico il patrimonio culturale, anche grazie al “riaccorpamento” di Beni culturali e Turismo, giustamente divisi dal Conte 1, col ripristino della direzione generale ad hoc, con la vigilanza sull’Enit e l’elaborazione del piano strategico, a sancire che il tesoro d’arte e storia e memoria che abbiamo avuto in prestito e che dovremmo restituire intatto alle generazioni a venire, che abbiamo mantenuto sia pure non al meglio con le nostre tasse, è vocato e destinato allo sfruttamento turistico.
Come è confermato dalla proliferazioni creativa di auguste pensate immaginifiche, gladiatori e giochi d’acqua con tanto di triremi nel Colosseo allagato, navi invitate a tornare nella Serenissima e plauso all’alta velocità fiorentina, campi da golf sparsi in Trinacria, rilancio dei musei grazie a direttori/manager addestrati in Mc Donald’s, assenso alla trasvolata di preziosi reperti comprese due guglie del Duomo a corredo dell’esposizione di salami e mortadelle del norcino reale approdato negli Usa e pure alla gita dei Bronzi di Riace all’Expo provvidenzialmente impedita dalla sovrintendente.
E tante altre in qualità di autore della famosa iniziativa del Mibact chiamata “Circuitazione di opere icone”, che permise alla Velata di Raffaello di Palazzo Pitti di transitare per mesi in tutta l’America più profonda tra Oregon, Wisconsin, Nevada a bordo di un camion; che fece sì che durante una mostra al Colosseo cadesse per il vento la statua ellenistica della Fanciulla di Anzio o che durante la mostra su Costantino al Palazzo Reale di Milano si frantumasse un prezioso cratere in marmo.
Ma lui è fatto così, proprio non gli sta bene che si sprechino delle buone occasioni, che non si colgano le “opportunità”, come sa fare lui: lo ha dimostrato il piglio imprenditoriale con cui raccoglie fondi per l’Ales Spa.
Ales S.p.A, è la società in house del Ministero che ne detiene il 100% del pacchetto azionario che fa quindi capo a lui stesso, e per la quale è riuscito a reperire nel mese di marzo, dicono fonti ben informate, ben 5 milioni e rotti di contributi pubblici. Una “ditta” che ha tutte le caratteristiche di una società per azioni, quindi di natura privatistica, impegnata da oltre quindici anni in attività di supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e di supporto agli uffici tecnico – amministrativi del Socio Unico, che, hanno denunciato i sindacati dei lavoratori dei Beni Culturali, “il Mibact avrebbe potuto espletare da solo e attraverso i suoi uffici, e che in tutti questi anni ha utilizzato per le proprie attività solo personale completamente esterno al dicastero, bypassando in maniera assoluta le regole delle assunzioni pubbliche tramite concorso”.
Ormai sappiamo che la bellezza non si mangia in mezzo a due fette di pane. E che nemmeno ci salverà, troppo impegnata a dar da mangiare a loro.
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