Per molto, molto tempo, l’umanità si è cullata su un mito consolatorio: quello del “progresso”. Esso si fondava sulla credenza che la storia dell’uomo andasse sempre più “dritta” e sempre più in alto. E quindi verso più democrazia, giustizia e libertà. Quest’idea, un po’ ingenua, forse troppo ottimista, ha fatto convergere la fiducia e la speranza di milioni di persone.
Partiti e movimenti di sinistra ne hanno fatto, in modi macroscopicamente diversi ma “uguali” nell’ispirazione, una bandiera. Ora, se una persona “progressista” e “di sinistra” guardasse dove è arrivato il mondo, avrebbe di che (motivatamente) preoccuparsi. Perché il mondo è andato, sta andando, nella direzione specularmente opposta rispetto a quella desiderata e propagandata da centinaia di generazioni illuse. Questa è l’era dei Bill Gates e dei George Soros. Cioè di multimiliardari i quali da un lato hanno accumulato una smisurata ricchezza e dall’altro esercitano una illimitata capacità di condizionamento sulle masse.
Con ciò violando, in un colpo solo, le due prerogative irrinunciabili di ogni “discorso” progressista: la giustizia e la democrazia. È moralmente inaccettabile che un solo uomo detenga ricchezza per 110 miliardi di dollari (Gates). Ed è eticamente spregevole che uno speculatore conclamato e recidivo, definito come “filantropo” dalla stampa di sinistra, possa dichiarare nell’indifferenza generale: “Fondamentalmente sono lì per fare soldi. Io non posso preoccuparmi delle conseguenze sociali derivanti da quello che faccio”.
Forse ci stiamo impegnando troppo in battaglie di retroguardia tipo i piani di “rinascita”, i progetti di “rilancio”, le strategie di “crescita”. Forse dobbiamo ricominciare dalle basi. E cioè dalla banalità del bene: sognare una civiltà più umana e meno digitalizzata, più giusta e meno competitiva, più libera e meno controllata, più democratica e meno “taskforcing”. Una civiltà dove “fenomeni” come le concentrazioni di ricchezza e di potere di Gates e di Soros non siano più legalmente possibili.
Altrimenti, dopo aver sperimentato gli infami totalitarismi “pubblici” del Novecento, assaggeremo forme di totalitarismo (privato) persino peggiore. Per farlo dobbiamo liberarci dalla leggenda metropolitana secondo cui le nostre sorti sono inesorabilmente “magnifiche e progressive” e che “andrà tutto bene”.
Abbiamo davanti agli occhi l’evidenza del contrario: la Storia tende, per inerzia, verso il peggio. E Gates e Soros non sono le cause, ma i sintomi di una malattia contro la quale c’è un solo vaccino: una presa di coscienza individuale e collettiva, e la riaffermazione dei valori immateriali, e immortali, sui “valori” materiali e mortiferi della contemporaneità.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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