Non
solo i palestinesi e i loro (pochi) alleati si battono contro il piano
Trump, madre del progetto di annessione unilaterale a Israele di un 30%
di Cisgiordania che il premier Benyamin Netanyahu vorrebbe avviare il
primo luglio.
Una
levata di scudi contro l’Accordo del Secolo, così come è nota la
proposta fatta dal presidente Usa, viene dai coloni israeliani. Per
motivi opposti a quelli dei palestinesi. Questi ultimi contestano un
piano palesemente finalizzato a relegarli in bantustan.
Secondo
i coloni la Palestina storica non è altro che la biblica Eretz Israel
(la Terra di Israele) e appartiene solo agli ebrei. E la popolazione
indigena, i palestinesi, non ha alcun diritto su di essa.
Per
questo centinaia di coloni e attivisti israeliani di estrema destra
hanno lanciato una campagna contro il piano Trump e per impedire che sia
costituito uno Stato palestinese seppur privo di sovranità reale e
sotto il controllo di Israele.
Il
nome della campagna «È tutto nostro» non lascia spazio ad
interpretazioni. Prevede tre fasi. La prima, già in corso da giorni,
vede centinaia di «giovani delle colline» – coloni poco più che
adolescenti noti per le loro scorribande nei villaggi palestinesi e per
la creazione di avamposti coloniali – e studenti delle scuole religiose
più nazionaliste, distribuire migliaia di volantini e affiggere
manifesti lungo le strade della Cisgiordania occupata che mettono in
guardia contro «il pericolo della divisione di Eretz Israel».
La
seconda prevede raduni di protesta. Nella terza dovrebbero sorgere
altri avamposti anche, avvertono i coloni, nelle zone B e C della
Cisgiordania amministrate dall’Anp del presidente palestinese Abu Mazen.
L’obiettivo è superare i confini attuali degli insediamenti coloniali e
stabilirsi in quei pezzi di territorio cisgiordano che verrebbero
lasciati ai palestinesi.
«Siamo
di fronte a una sfida e a una opportunità. Se la proposta di Trump ci
assegna il 30% del territorio, noi diciamo che anche il 70% ci
appartiene, perché è tutto nostro», spiega ai giornalisti che vanno ad
incontrarlo Yedidya Shapira, 25 anni, della colonia di Beit El e
promotore della campagna «È tutto nostro». Shapira rivela che nei mesi scorsi sono state effettuate «esplorazioni» per stabilire su quali terreni palestinesi saranno create le «nuove comunità», con o senza l’approvazione del governo israeliano.
Un’altra campagna, caratterizzata da grandi manifesti di Netanyahu e Trump con la scritta «Sovranità – Fallo nel modo giusto!», è guidata da David ElHayani, presidente di Yesha, il consiglio che racchiude le colonie ebraiche in Cisgiordania. ElHayani è insediato nella Valle del Giordano, il territorio che Netanyahu nelle ultime due campagne elettorali ha promesso di annettere a Israele poiché, dice, rappresenta «il confine orientale di Israele».
ElHayani perciò dovrebbe essere soddisfatto degli sviluppi che si annunciano dopo il 1 luglio. Invece è a capo della protesta più dura contro il piano Trump. «Non accetteremo mai la creazione di uno Stato palestinese», avverte il capo dei coloni che ha dietro di lui quasi 140 insediamenti. Sarebbero solo una dozzina le colonie che appoggiano senza riserve il programma del premier e il piano Trump.
Netanyahu ha promesso che non darà mai il suo consenso alla nascita dello staterello palestinese. ElHayani non si fida ed esorta il governo: «Che Israele estenda la sovranità legale su tutta la Cisgiordania, controlliamo già tutto il territorio, il piano Trump ci crea solo inutili problemi».
* da www.ilmanifesto.it
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