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Passeggiando per Caracas, si nota la differenza tra i mercatini di
quartiere (ripieni di ogni ben di Dio di prodotti locali) ed i
supermercati, privi di tutto o con pochissime cose e a prezzi
esorbitanti. La spiegazione è molto semplice: i prodotti che
scarseggiano perché di importazione – data la situazione del Paese – non
sono accessibili; quelli locali sono limitati – come tipologia – ma
rappresentano cosa si deve fare per riavviare l’economia.
Vale a dire, aumentare l’offerta di beni locali: i produttori possono
emettere una loro moneta che serva solo agli scambi, superando la
limitatezza del baratto. Ma se qualcuno pensasse ad una moneta avente
valore intrinseco, finalità di risparmio o convertibilità, bloccherebbe
il processo sul nascere.
In Italia, apparentemente, abbiamo la situazione opposta: un eccesso
di prodotti anche a basso prezzo, nei supermercati, che sembrano più
convenienti delle produzioni locali; in effetti, in Italia, scarichiamo
tutto sulla disoccupazione: i produttori locali sono spiazzati dalle
catene internazionali che non guadagnano tanto sulla differenza tra
fatturato e costi (molte volte artificiosamente bassi), ma sulla
gestione finanziaria del cash flow. Paradossalmente, anche in Italia, se
volessimo rilanciare l’occupazione locale, dovremmo sostituire
importazioni e, in questo, una moneta dei produttori (complementare) ci
aiuterebbe molto: così i consumatori si troverebbero in tasca anche
questa moneta “cattiva” – con cui si possono comperare solo prodotti
locali ovvero del consorzio dei produttori – la quale verrebbe
utilizzata per prima.