Ci sono quelli già crollati, come il viadotto Himera sulla A19 in Sicilia, quello sull’A14 ad Ancona,  il cavalcavia ad Annone Brianza, in provincia di Lecco, e quello sulla tangenziale di Fossano, in provincia di Cuneo. Poi ci sono quelli che destano qualche preoccupazione solo a guardarli: i due che uniscono Milano a Meda, quelli sulla A6 tra TorinoSavoia, una serie di viadotti in Calabria e alcuni in Campania. Quindi ci sono quelli che sono talmente pericolanti da essere stati chiusi prima di un eventuale frana: come ad Agrigento, dove da 16 mesi rimane chiuso un altro ponte progettato dall’ingegner Riccardo Morandi, finito sotto accusa a 30 anni dalla morte e a 50 dall’inagurazione del ponte caduto ieri a Genova.
Il ponte gemello di Agrigento chiuso da 2017 – Il 4 settembre del 1967 in Liguria era arrivato persino il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, a inaugurarlo, accompagnato dai ministri Paolo Emilio Taviani, Giacomo Mancini e Giorgio Bo. “Genova ha risolto il problema del traffico”, titolava trionfante la Domenica del Corriere, pubblicando in prima pagina una foto di quel ponte a cavalletto bilanciato. Era il secondo di quel tipo progettato da Morandi. Il terzo sarebbe stato costruito nel 1970 in Sicilia, per collegare la città dei Templi a porto Empedocle. Chiuso nel marzo del 2015 e riaperto due mesi dopo ma ridotto a una sola corsia e vietato ai mezzi pesanti. Due anni dopo, però, i video diffusi da un’associazione ambientalista mostrano copiosi fiotti d’acqua che escono dai pilastri: il ponte viene chiuso per “interdizione finalizzata a consentire il più celere avvio dei lavori per interventi di manutenzione già programmati”. Sedici mesi dopo è ancora sbarrato e per ricostruirlo occorreranno trenta milioni e tre anni di lavori.

Il precedente in Venezuela e le critiche a Morandi –  Non ha avuto fortuna neanche il primo esemplare di ponte Morandi, inaugurato a Maracaibo, in Venezuela, nel 1962 ma franato già due anni dopo, quando una petroliera in avaria urtò due pilastri dfacendo crollare tre campate.  “Ci furono sette morti. Morandi non mise in conto che una nave potesse sbagliare campata. Era un ingegnere di grandi intuizioni ma senza grande pratica di calcolo”, dice al Corriere della Sera l’ingegnere Antonio Brencich, professore associato di Costruzioni in cemento armato all’Università di Genova, e storico critico del viadotto sul Polcevera crollato la vigilia di Ferragosto. “Quel tipo di ponte, a cavalletto bilanciato, ha un’ estrema vulnerabilità al degrado – spiega – I lavori di manutenzione iniziarono già negli anni Novanta. Gli stralli furono affiancati da cavi di acciaio. Indice che già a quel tempo fu rilevato un degrado tale da provare a correre ai ripari. Tanti genovesi poi si ricordano cosa succedeva all’ inizio passandoci sopra: era tutto un saliscendi. Morandi aveva sbagliato il calcolo della deformazione viscosa, quello che succede alle strutture in cemento armato nel tempo”. Difende l’ingegnere romano, invece, un suo ex allievo. “C’erano conoscenze all’epoca limitate, che si sono andate arricchendo. Stando così le cose, è chiaro che ci fosse bisogno di una manutenzione molto più attenta di quanto si faccia con i ponti costruiti dopo. Allora le conoscenze sui materiali erano molto modeste, erano i primi esempi di ponti di quel tipo che si facevano nel mondo. È chiaro che la parte critica sono gli stralli, le funi che tengono sospesa la travata. A quel tempo erano abbastanza semplici, ora sono molto più sofisticati, principalmente per quel che riguarda la protezione contro la corrosione. Quel ponte aveva sicuramente problemi di manutenzione degli stralli che erano corrosi”, dice Mario Paolo Petrangeli, che oggi è uni più noti ingegneri progettisti civili italiani, intervistato dall’agenzia Lapresse.
Cnr: “Molti pont hanno superato i 50 anni d’età” – Ma al netto del dibattito sulle qualità di Morandi, considerato uno specie di genio finché era in vita, a perplimere in queste ore successive alla tragedia genovese sono soprattuto le condizioni degli altri viadotti italiani. “La sequenza di crolli di infrastrutture stradali italiane sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante regolarità“, avverte in una nota l’Istituto di tecnologia delle costruzioni (Itc) del Cnr. “L’elemento in comune è l’età (media) delle opere: gran parte delle infrastrutture viarie italiane (i ponti stradali) ha superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra (anni ’50 e ’60)”, continua l’Istituto. In pratica “decine di migliaia di ponti in Italia hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti”.
Non esiste un censimento dei ponti – Di quali ponti parla l’Istituto di tecnologia delle costruzioni? Difficile dirlo, visto che in Italia – come segnala la Stampa – non esiste un censimento di ponti e cavalcavia.  Una mancanza legata probabilmente la fatto che tutte le infrastrutture dello Stivale sono gestiti da enti diversi. L’Anas gestisce 25.500 chilometri di strade e 24.241 chilometri di strade statali. I concessionari hanno la titolarità di 7.123 km di autostrade, 686 gallerie e 1608 viadotti. Le Regioni governano 155.000 chilometri  mentre ai comuni spetta il grosso delle strade italiane: 1,3 milioni di chilometri.
I precedenti: quattro crolli in due anni – E visto che non esiste un anagrafe dei viadotti, la via più breve per ricostruire la mappa del disastro è quella di affidarsi alla cronaca. Prima della tragedia di Genova, infatti, ben quattro ponti sono caduti facendo vittime in soli due anni. Nel 2017 sono crollati nell’ordine: il cavalcavia sull’A14 ad Ancona (due morti), il viadotto della tangenziale di Fossano, quello di Fiamara Allaro, in Calabria. Nel 2016 , invece, in Lombardia viene giù il viadotto che passa sopra la Valassina (Milano – alta Brianza) e uccide una persona. 
La mappa dei ponti a rischio – Non sono crollati, ma potrebbero farlo – segnala la Stampa – due dei quattro ponti sulla superstrada Milano-Meda, in Brianza, e il viadotto dei Lavatoi, in provincia di Como. In Piemonte allerta per i viadottidi Stura di Demonte, Ferrania e Chiaggi. In Abruzzo danno qualche preoccupazione i viadotti danneggiati dal terremoto sulla A24/A25. In Campania occchio al viadotto di Ariano Irpino, mentre in Sicilia dà qualche preoccupazione il ponte sulla statale 18 tra Gioia Tauro e Palmi e quello sulla stata 107. In Sicilia l’elenco dei viadotti interrotte, crollate o franate è sterminato. Si va dalla provincia di Caltanissetta, dove i crolli cominciano nel 2009, quando sulla strada Statale 626 (Caltanissetta-Gela) il viadotto Geremia si spezza in due. Nell’estate del 2016 frana il viadotto Petrulla sulla strada tra Licata e Ravanusa, mentre il viadotto Verdura (Agrigento – Sciacca) era collassato nel 2013. Nello stesso anno crolla un pezzo del ponte ferroviario tra Caltagirone-Gela.  La panoramica 28 di Enna inizia a franare nel 2009 e continua a cedere fino al 2015. Un anno che chiude con il famoso crollo del viadotto Scorciavacche, noto non solo per le foto ma anche per le ire via twitter dell’allora premier Matteo Renzi. Ho chiesto il nome del responsabile. Pagherà tutto. È finita la festa”.