mercoledì 29 agosto 2018

Festival del cinema di Venezia. Alessandro Borghi: "Mentre recitavo avrei voluto urlare 'aiuto' al posto di Cucchi". Il film conquista il Lido.

Oggi al Lido Alessandro Borghi, protagonista nei panni di Cucchi nel film 'Sulla mia pelle' di Alessio Cremonini passato oggi in apertura della sezione Orizzonti a Venezia.

 

Angelo Turetta/Netflix
SULLA MIA PELLE
Quando Stefano Cucchi morì nelle prime ore del 22 ottobre del 2009, il suo fu il 148esimo decesso in carcere e al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiunse la quota incredibile di 176 decessi, trenta morti in più in soli due mesi. Come è potuto accadere che in uno Stato di diritto come il nostro, sotto la sua tutela e in un luogo come il carcere da esso governato, un ragazzo di soli trent'anni accusato di spaccio di sostanze stupefacenti, sia stato prima picchiato da uomini in divisa, poi trasferito da un ospedale all'altro della Capitale e, infine, tenuto nascosto alla sua famiglia in un'angusta stanza del Regina Coeli per un'intera settimana, per sette lunghissimi giorni, non permettendo loro di sapere in che condizioni di salute fosse? Dov'era lo Stato quando accadeva tutto questo e come mai molte delle persone che lo visitarono, che lo ascoltarono e lo interrogarono ripetutamente, nonostante gli evidenti segni di violente percosse, non fecero nulla e finirono sempre col credere alla sua versione, ovviamente non veritiera, "di essere caduto dalle scale"?
I registi, gli sceneggiatori e gli attori raccontano storie e normalmente, dovrebbero fare domande come ha fatto Alessio Cremonini con il suo film, "Sulla mia pelle", presentato oggi in anteprima alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti e in uscita il 12 settembre prossimo in contemporanea sulla piattaforma Netflix e nelle sale per Lucky Red.
Il regista ha scelto Alessandro Borghi per il ruolo di Cucchi e Jasmine Trinca per quello di sua sorella Ilaria e mai scelta fu più azzeccata. Il risultato "è una storia che chiama alla responsabilità", come l'ha definita l'attrice romana, "un film che non giudica ma che racconta", le fa eco il regista. "La cosa che mi ha sconvolto di più, oltre all'aver perso diciotto chili per calarmi nella parte, è stata l'assenza della magistratura, il far finta di non capire, la voglia di Stefano di non dire la verità e di non denunciare nulla", spiega Borghi.

"La sua omertà – aggiunge - deriva da una forma mentis della borgata: non si parla, non si fa la spia quando ci sono di mezzo le guardie perché se parlo, come dice lui nel film a un medico, quelli per dieci anni mi fanno le carte". Considerate lo shock che ha dovuto subire quel ragazzo e alla paura di dover condividere la vergogna di essere stato pestato: non è che non parlava, si nascondeva, sottovalutando il suo stato e non ascoltando affatto il suo corpo". "Mentre giravamo e ripetevo le battute – precisa Borghi – ho pensato spesso a tutto questo e al fatto che Cucchi non abbia parlato perché era convinto di farlo una volta fuori dal carcere, ma più volte volevo strillare "aiuto" io al suo posto".
Il film "è un atto dovuto", precisa la Trinca, che conobbe Ilaria Cucchi anni fa, dopo aver recitato un passo dell'Antigone durante una commemorazione in onore di Stefano. "Attraverso lei, una sorella molto severa ma che nella severità nascondeva un grande amore nei confronti del fratello – aggiunge - ho voluto interpretare al meglio, raccontandola, una vicenda privata ma paradigmatica per ognuno di noi, la storia di uno ma anche la storia di mille". Tutti loro, nel film, sono entrati "come in un'idea di appartenenza, avendo ferma l'idea comune di giustizia".
"Sulla mia pelle" mostra una verità ed è fondamentale farlo in un momento come quello che stiamo vivendo in cui si cerca di convincere le persone che il nostro benessere è legato alla negazione dei diritti degli altri", spiega Ilaria Cucchi prima di entrare alla proiezione ufficiale. "Assumersi una responsabilità non è di moda in questo Paese", aggiunge Borghi, "succede con tutti, anche in un condominio, figuriamoci con i migranti. C'è la tendenza a occuparsi solo delle cose proprie, ma per fortuna ci sono tante persone che fanno molto per gli altri".
La cosa assurda – conclude il regista, che come gli interpreti definisce il caso Cucchi "un omicidio di Stato" – è che nessuno dei carabinieri ci ha dato nulla per questo film e abbiamo dovuto ricostruire tutto, non ci hanno dato i permessi, nemmeno per girare fuori il carcere di Regina Coeli". "Le violenze che accadono ogni giorno nelle carceri non si giustificano, ma spesso ci si dimentica delle difficili condizioni in cui versano quelle strutture e in cui lavorano migliaia di persone, bisogna intervenire subito".


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