contropiano
La
polizia turca attacca la protesta delle »madri de del sabato«. Le
famiglie per la 700° volta chiedono la verità sui loro parenti
assassinati
Con
idranti, pallottole di gomma e lacrimogeni la polizia turca sabato a
Istanbul ha attaccato una manifestazione delle cosiddette madri del
sabato. Le donne volevano riunirsi per la 700° volta per il loro sit-in
di protesta davanti al liceo Galatasaray per chiedere la verità sul
destino dei loro parenti assassinati negli anni ’80 e ’90 dalle squadre
della morte. Il Ministro degli Interni Süleyman Soylu aveva fatto
vietare la manifestazione con la motivazione che sarebbe stata
pubblicizzata su Internet da pagine che sarebbero vicine al Partito dei
Lavoratori del Kurdistan (PKK).47 partecipanti all’azione di protesta, sostenuta da deputati dei partiti di opposizione HDP e CHP, sono stati arrestati, ma poi nuovamente rilasciati. »La Turchia è diventata un Paese nel quale si ha paura del grido delle madri. Noi continueremo la nostra lotta«, ha spiegato la co-presidente dell’HDP Pervin Buldan. Suo marito Savas nel 1994 è stato sequestrato da ignoti e giustiziato con spari alla testa.
La polizia tra gli altri ha prelevato l’82enne Emine Ocak. Dopo l’assassinio per tortura di suo figlio Hasan, un insegnante di sinistra, con la sua famiglia e i suoi avvocati aveva manifestato per la prima volta con un sit-in davanti al liceo il 27 maggio 1995. Dalla protesta di alcune dozzine di persone è nata l’azione di disobbedienza civile di più lunga durata in Turchia, alla quale poi si sono uniti a migliaia. La stampa diede alle madri, sorelle, mogli e figli, che si incontravano sempre di sabato alle 12 con immagini dei loro parenti »spariti«, il nome »madri del sabato«.
Come le »madri della Plaza de Mayo« a Buenos Aires in Argentina, conosciute internazionalmente, le manifestanti chiedono la verità sul destino dei loro parenti, l’accertamento dei responsabili e la punizione giuridica dei crimini. Durante la »guerra sporca« in Kurdistan, oltre alle sistematiche distruzioni di villaggi da parte dell’esercito, vennero impiegati squadroni della morte per isolare i combattenti del PKK dalla popolazione. La contro-guerriglia dell’JITEM, i servizi segreti della polizia militare illegali perfino secondo la legge turca, era reclutata tra seguaci dei Lupi Grigi fascisti e islamisti. Si stima che 17.000 civili, politici, giornalisti, attivisti per i diritti umani e sindacalisti siano »spariti« negli anni ‘90. I loro cadaveri vennero gettati in fosse comuni segrete all’’interno di basi militari, ma anche in discariche o nei pozzi.
Tre anni fa l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Ahmet Davutoglu in campagna elettorale aveva minacciato che le »Toros bianche« sarebbero tornate, se il partito AKP al governo fosse caduto. Le auto Renault bianche erano considerate un segno distintivo dell’JITEM. »L’AKP non è caduto, le ›Toros bianche‹ sono state sostituite da ›furgoni neri‹«, scrive Can Dündar, l’ex caporedattore del quotidiano Cumhuriyet, che vive in esilio in Germania, in un editoriale pubblicato su die Zeit la scorsa settimana. »Dove non c’è diritto, cambiamo i modelli delle auto e i colori. Ma il metodo della repressione resta sempre lo stesso.« Così lo scorso anno ripetutamente seguaci del movimento Gülen sono stati trascinati in dei furgoni neri e sequestrati in pieno giorno. Anche nelle città curde furgoni con i vetri oscurati e senza targa diffondono angoscia e paura.
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