È stato pubblicato a metà Luglio il
Global Innovation Index 2018. Rapporto che non si capisce come mai non
ha goduto della giusta attenzione da parte dei media, come invece
sarebbe dovuto avvenire visto che si tratta di una pubblicazione di
assoluta rilevanza.
datamediahub.it
Il Global Innovation Index 2018, giunto
quest'anno alla sua undicesima edizione, viene co-pubblicato dalla
Cornell University, università statunitense da tempo nella "top 20"
mondiale, INSEAD, la celebre business school a Fontainebleau, in
Francia, e dalla World Intellectual Property Organization. Il nucleo del
rapporto consiste in una classifica delle capacità e dei risultati
dell'innovazione delle economie mondiali. Nel 2018 comprende 126
economie, che rappresentano il 90.8% della popolazione mondiale e il
96.3% del PIL globale.
Il rapporto mira a catturare le
sfaccettature multidimensionali dell'innovazione attraverso l'analisi di
sette macro-aree: Istituzioni, Capitale Umano e Ricerca,
Infrastrutture, Complessità del Mercato, Complessità Aziendale,
Produzione di conoscenza e Tecnologia, e Produzione di Creatività. Aree
che a loro volta sono composte da 80 indicatori.
Ciò che emerge dal rapporto del 2018
è che l'innovazione e la ricchezza sono componenti di un circolo
virtuoso che si rafforza: l'innovazione può portare a una maggiore
produttività, una maggiore produttività significa che lo stesso input
genera un output maggiore, una maggiore produzione spesso si traduce in
più innovazione.
Per l'ottavo anno consecutivo la Svizzera è il numero uno
del Global Innovation Index, mantenendo la leadership dal 2011 a oggi.
Seguono Olanda, Svezia, Regno Unito, Singapore, Stati Uniti, Finlandia,
Danimarca e Germania, e Irlanda, che ha battuto Hong Kong nel 2015. Da
allora nessun paese è entrato o uscito dai primi 10.
L’Italia si posiziona al 31esimo posto,
perdendo due posizioni rispetto al 2017.
29esima posizione che
mantenevamo stabilmente dal 2013, il che significa che tra il 2017 ed il
2018 abbiamo rallentato la marcia, già non eccellente, diciamo,
rispetto alle altre nazioni.
Il nostro Paese è praticamente ultimo tra
le grandi nazioni industrializzate avanzate, ad eccezione della Russia
che si trova al 46esimo posto.
Se già questo la dice lunga sull'arretratezza complessiva dell'Italia a livello di innovazione, entrando nel dettaglio delle sette macro-aree succitate, se possibile, la situazione peggiora ulteriormente.
Per quanto riguarda l'apporto delle
istituzioni all'innovazione scendiamo in 32esima posizione, alle spalle
di Paesi come il Brunei, e gli indicatori specifici di quest'area ci
vedono al 42esimo posto per efficienza governativa, scivolando al
53esimo posto per le norme di legge, in particolare su la qualità della
tutela dei contratti, dei diritti di proprietà, della polizia e dei
tribunali, e sprofondando addirittura in 56esima posizione per la
facilità di iniziare un'attività imprenditoriale.
Non va meglio per quanto riguarda
capitale umano e ricerca. Area nella quale, anche in questo caso
siamo in 32esima posizione. Ancora una volta alcuni indicatori specifici
di quest'area fanno rabbrividire.
Siamo 50esimi per l'educazione
scolastica, e addirittura 76esimi per quanto riguarda gli investimenti
statali [come percentuale del PIL] in spese per l'istruzione.
Le infrastrutture sono l'unica macro-area in cui l'Italia va un po'
meglio posizionandosi al 18esimo posto, ma nell'uso dell'ICT torniamo in
38esima posizione, e scendiamo alla 42esima per accesso all'ICT.
La complessità del mercato ci vede
sprofondare in 44esima posizione, alle spalle, ad esempio, di nazioni
come Ruanda, Vietnam o Tajikistan, con la facilità di ottenere credito
che ci vede al 88esimo posto, oppure gli indicatori sugli investimenti
che ci collocano 99esimi su 126 nazioni.
Va un po' meglio, ma siamo comunque
34esimi al mondo, per quanto riguarda l'area della complessità
aziendale, ma anche in questo caso su alcuni indicatori specifici, quali
l'assimilazione della conoscenza crolliamo al 49esimo posto. Vedendo,
come abbiamo evidenziato più volte, la differenza tra la grammatica e la
pratica, tra il dichiarato ed il realizzato, non si resta neanche un
po' sorpresi al riguardo, ahimè.
Risaliamo 24esimi per produzione di
conoscenza e tecnologia, ma entrando nel dettaglio degli indicatori
specifici si vede come si tratti prevalentemente di aspetti formali e
non sostanziali.
Infine, riscendiamo in 38esima
posizione per quanto riguarda la produzione di creatività, crollando al
50esimo posto, dietro, tra gli altri, a Camerun e Tanzania, per quanto
riguarda stampa, pubblicazioni e altri mezzi di comunicazione.
Anche in
questo caso, al di là dei dati specifici, ce ne eravamo accorti da
tempo, purtroppo.
È singolare, per così dire, che questi
temi, che rappresentano il presente ed il futuro del Paese siano spesso
riservati agli addetti ai lavori mentre restano perlopiù estranei dal
dibattito generale e dall'agenda politica.
Su DataMediaHub non diamo spazio alla politica se non in termini di comunicazione o, appunto, di innovazione,
ma, seppure sia evidente che la fotografia impietosa del Global
Innovation Index 2018 sia il frutto di scelte del passato, remoto e non,
permetteteci di dire che ci piacerebbe davvero molto se vi fosse la
giusta attenzione, e relativa azione, da parte di quello che si
definisce "il governo del cambiamento", poiché crediamo davvero che senza innovazione il cambiamento non possa che essere peggiorativo.
Al riguardo confidiamo che a quanto dichiarato in una recente intervista:
«È necessario immaginare fin da ora un serio piano di investimenti per
l'innovazione, razionalizzando le risorse che pure esistono ma sono
parcellizzate in mille bandi locali, regionali, di settore senza un vero
progetto complessivo che invece è più che necessario, è fondamentale e
non più prorogabile», seguano il prima possibile le relative azioni da
implementare.
Come recitava la celeberrima prima pagina del quotidiano di Confindustria del 10 Novembre 2011, fate presto!
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