Il suo ‘profilo’ pubblico, e quindi la pagina ‘internettiana’ dal titolo Blog di una bocconiana redenta,
la descrive in maniera perentoria e senza alcuna possibilità di
mediazione. Eppure, Ilaria Bifarini aveva costruito negli anni un
esemplare Curriculum Vitae da economista preparata e pronta a maturare
importanti esperienze professionali, così come realmente ha fatto, sia
nel pubblico che nel privato. Licenza liceale classica, laurea col
massimo dei voti in Economia alla Bocconi, perfezionamento alla Scuola
Italiana per le Organizzazioni Internazionali di Roma e al Corso di
Liberalismo presso l’Istituto “Luigi Einaudi” (sempre di Roma), si è
infine progressivamente discostata dal suo ‘milieu culturale’ tanto da
diventare tra le più feroci critiche del liberismo e delle politiche
economiche ad esso correlato.
Il suo primo libro Neoliberismo e manipolazione di massa (2017) ha avuto un notevole successo ed ora pubblica I coloni dell’austerity. Africa, neoliberalismo e migrazioni di massa (Youcanprint, p.200) che allarga su un fronte anche sociologico e culturale la critica al modello attuale.
Lei scrive: «Le misure imposte dal
Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale ai paesi del
Terzo Mondo sono le stesse oggi riproposte agli Stati dell’Unione
Europea».
Esattamente. A seguito della crisi del
debito del Terzo Mondo (1982) questi Paesi hanno subito un processo
inarrestabile di rimozione dei dazi commerciali, liberalizzazioni,
accordi di libero scambio, privatizzazioni e misure di riduzione della
spesa pubblica destinata ai già carenti servizi locali. Con decenni di
anticipo, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale
attraverso i cosiddetti «Piani di aggiustamento strutturale» hanno
attuato in Africa ciò che la Troika ha realizzato in Grecia. Gli effetti
disastrosi sono sotto gli occhi di tutti.
Prima ancora delle questioni
prettamente economiche mette, però, in primo piano le conseguenze e le
relazioni tra immigrazione e demografia.
È stato previsto che entro il 2050 la
popolazione africana raddoppierà, passando da 1,2 a 2,5 miliardi di
abitanti. Nel Continente Nero non si è riusciti a realizzare quel
processo di transizione demografica in grado di traghettare paesi poveri
verso uno stadio di sviluppo. L’Africa, al contrario, si trova
invischiata nella cosiddetta «trappola maltusiana», un circolo vizioso
di esplosione demografica e povertà endemica causato da politiche
economiche inadeguate e fallimentari. Per tentare di uscirne si fa
ricorso all’emigrazione che, al contrario, non fa altro che aggravare la
situazione economica dei paesi di origine, privati così della forza
lavoro più giovane e intraprendente.
Lei collega tutto ciò facendo un
lungo viaggio dal colonialismo classico fino alle sue nuove forme. Da
ciò che scrive paiono mutate le forme mentre permangono immutate le
strategie di fondo di una certa ossessione imperialistica.
Il nuovo colonialismo rispecchia l’essenza
del modello neoliberista universale. Non sono più gli Stati in quanto
tali a esercitare il loro dominio, bensì gli interessi delle
multinazionali e della finanza internazionale che specula e si
arricchisce sul rimborso del debito, così come da noi.
Ecco perché parla di «finanziarizzazione della disperazione».
Proprio così. Esistono organizzazioni non
governative specializzate nel «prestito» all’emigrazione, indicata e
propagandata come modello di crescita per i paesi del Terzo Mondo.
Vengono concessi prestiti alle famiglie per far emigrare i propri figli,
che a loro volta dovranno poi inviare a casa denaro per rimborsare il
debito. Inoltre, esiste un fiorente business dietro tali trasferimenti
di denaro (le cosiddette rimesse economiche) cui vengono applicate
provvigioni molto elevate dalle società operanti nel settore. Un
business assai fiorente che specula sulla miseria umana.
E così scopriamo che l’austerity,
termine tanto inviso ai popoli mediterranei (Grecia, Spagna e Italia su
tutti), è concetto che oramai appartiene anche alle logiche di politica
economica del continente africano.
Sì, studi autorevoli fanno risalire
l’origine delle politiche neoliberiste, e dunque delle correlate misure
di austerity, proprio all’Africa post coloniale. È impressionante come
proprio quei paesi in cui i piani di riduzione del debito hanno avuto
maggior successo sono quelli di principale emigrazione. Un esempio è la
Nigeria, paese di provenienza di gran parte degli immigrati che sbarcano
nelle nostre coste: qui il debito pubblico è stato abbattuto fino
all’attuale 15%, valore tra i più bassi al mondo. Situazione analoga per
Eritrea, Gambia, Costa d’Avorio e altri.
Oltre alla corruzione, ad
evidenti interessi geopolitici di non poche potenze internazionali, ci
spiega quali sono stati gli errori fondamentali e quelli che ancora si
continuano a commettere?
In realtà, la corruzione rappresenta una
conseguenza piuttosto che una causa della situazione africana. I
dittatori e le élite locali non sono altro che rappresentanti e garanti
degli interessi economici e finanziari transnazionali. La Banca mondiale
e il Fondo monetario internazionale utilizzano la questione della
corruzione per giustificare I fallimenti delle politiche economiche da
essi imposte. Ma è proprio la loro ingerenza e l’applicazione di un
modello economico inadeguato che ha impedito e represso ogni possibilità
di sviluppo dell’economia e dell’industria locale.
Ad un certo punto cita la storia di Thomas Sankara.
Thomas Sankara è uno dei personaggi più
importanti della storia dell’Africa. Con straordinaria lucidità e
lungimiranza, più di 30 anni fa, aveva smascherato il piano egemonico
messo in atto dai poteri finanziari internazionali attraverso lo
strumento del debito, lo stesso che oggi opera in Europa e di cui
l’Italia è vittima. Ebbe il coraggio di denunciarlo apertamente durante
l’assemblea dell’Unione Africana in un discorso memorabile e
impressionante per la sua attualità. Pagò il suo coraggio con la vita:
venne assassinato da quello che sarà il suo successore, appoggiato dalle
potenze internazionali. Dopo la sua morte, il Burkina Faso, che durante
la presidenza di Sankara aveva avviato un percorso di sviluppo
dell’economia locale e di miglioramento dei servizi nazionali, seguirà
fedelmente il tracciato neoliberista imposto. A oggi è uno dei paesi più
poveri al mondo.
La sua ricetta sembra essere
quella che riportata in uno degli ultimi paragrafi: «Più Stato per
garantire il Mercato!». Un ritorno al passato?
Sì, un passato ancora recente, quello del
“Trentennio glorioso” che, attraverso l’applicazione di politiche
keynesiane, ha consentito all’Occidente e persino al Terzo Mondo uno dei
periodi più floridi della storia moderna. La stigmatizzazione
neoliberista dello Stato come fonte di tutte le inefficienze in nome
della deificazione del mercato non trova alcun fondamento scientifico né
empirico. È infatti provata l’esistenza di una correlazione positiva
tra l’esposizione al commercio estero di una nazione e la dimensione del
suo settore pubblico. Affinché il libero mercato possa funzionare è
fondamentale che lo Stato svolga il suo ruolo di tutela dei cittadini
più svantaggiati e di redistribuzione della ricchezza per contenere la
disuguaglianza, principale fonte di corruzione.
Ritiene le ricette sovraniste,
seppur variegate e diverse (Trump, Putin, Le Pen, Salvini), una risposta
credibile e soprattutto concreta?
Molte di queste ricette vanno nella
direzione giusta. L’attuale modello dell’Unione Europea è quello
neoliberista collaudato nei paesi del Terzo Mondo e le sue politiche di
«austerity», attraverso privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica che
impoveriscono i cittadini e li privano dello Stato sociale. Lo stesso
Fondo Monetario ha affermato in un suo studio interno che le misure di
consolidamento del debito («austerity») provocano un aumento del livello
di disoccupazione e del tasso di disuguaglianza tra la popolazione. È
dunque necessaria e improrogabile un’inversione di rotta. Come insegna
il caso africano, la tutela della sovranità e della democrazia degli
Stati sono una condizione indispensabile per avviare un nuovo percorso,
capace di riportarci alla crescita e al benessere su scala nazionale e
mondiale. Occorre però tener conto dei cambiamenti economici e sociali
avvenuti rispetto al passato e avere chiaro un modello di sviluppo
alternativo a quello fallimentare e ormai arrugginito del neoliberismo.
Proporre soluzioni vecchie a scenari nuovi è sempre sbagliato.
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