La notizia
di Salvini indagato dalla procura di Agrigento per aver fatto il suo
lavoro di ministro è molto bella. Bella soprattutto per i sostenitori di
Salvini più che non per i suoi detrattori, e la spiegazione è semplice.
Questa strepitosa news – che pare troppo grottesca per non essere una
fake, ma che invece è proprio vera pur essendo più assurda di una fake –
rappresenta una rivoluzione copernicana nel rapporto tra politica,
magistratura e cittadinanza, un capovolgimento dei ruoli e delle parti
in commedia. Pensateci.
Di
solito, funziona così: il magistrato indaga, il politico viene
indagato, il magistrato incrimina, il politico nega. Poi ci sono gli
elettori e sodali del politico che si difendono negando e i
giustizialisti di passaggio che contrattaccano affermando. Nessuno dei
due fronti, però – quantomeno finora –, aveva messo in discussione il
predetto format: il giudice è dalla parte retta e il politico da quella
storta, perchè il primo addebita al secondo un contegno illecito (nel
migliore dei casi) o spregevole (in quello peggiore).
Abbiamo avuto
quello che riceveva tangenti e lui e i suoi strepitavano di aver sentito
parlare di tangenti solo all’ora di matematica alle superiori. Abbiamo
avuto quello che concorreva, dall’interno o dall’esterno, a qualche
associazione mafiosa e lui e i suoi spergiuravano di conoscere la mafia
giusto grazie ai film di De Niro. Abbiamo avuto quello che stornava i
fondi pubblici a scopi privati, ma era sempre colpa del cassiere
lazzarone. E ne abbiamo avuti a bizzeffe, di altri casi consimili, dove
l’unica regola d’oro era sempre quella dell’amante sorpreso in
flagrante: ricusare sempre, ricusare tutto.
In
altri termini, sia l’accusato che l’accusatore concordavano sul fatto
che il fatto addebitato era un reato e – se anche non era un reato – era
quantomeno un peccato, politicamente parlando, di cui vergognarsi.
Oggi, per la prima volta, con la trasmissione del ‘caso Salvini’ al
Tribunale dei Ministri, succede l’opposto. Non solo l’indagato non
smentisce, ma riconosce. E non solo non manifesta vergogna per l’azione
imputatagli, contestandola di averla compiuta, ma la rivendica con
fierezza, in nome proprio e del popolo sovrano. Con la fierezza, più che
legittima, di un Ministro dell’Interno che – questa sì è una news da
prima pagina – dopo decenni di latitanza istituzionale, presidia
l’interno dei nostri confini. Mentre l’intellighenzia mediatica non ha
trovato nulla da ridire, per anni, su centinaia di migliaia di sbarchi
illegittimi e si straccia le vesti, ora, per il niet – legittimo – allo
sbarco di cento soltanto.
Non
è che Salvini stia facendo grandi cose, si badi bene. Fa solo il suo
dovere costituzionale di ministro, il minimo sindacale per chi è – come i
suoi dimenticati predecessori – a libro paga degli italiani. Con la
messa in stato d’accusa di Salvini, in definitiva, assistiamo al
paradossale ribaltamento di un cliché: per la prima volta da tempo
immemore, di fronte a un politico messo alla gogna, il cittadino di buon
senso non prova vergogna per il politico, ma per la gogna a cui lo
hanno sottoposto.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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