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Con una politica apparentemente innocua ma fortemente competitiva,
fatta di prestiti a tassi bassissimi con il fine di conquistare tutti i
settori strategici e i ricchi giacimenti di risorse naturali, il Dragone cinese sta occupando l’intero continente africano.
Forte di un passato che non presenta la macchia
dell’imperialismo coloniale, la Cina può sperimentare e affinare
indisturbata in Africa il proprio colonialismo di mercato, con
il beneplacito della popolazione locale, che spera e si illude di
trovare nei conquistatori cinesi dei salvatori dalla propria condizione
di sottosviluppo e miseria endemica.
Senza nessuna pretesa di esportare modelli di democrazia universale
né alcun bisogno di riconoscimenti e glorie in ambito umanitario, l’ex
Impero Celeste trova nello sterminato territorio africano quello spazio
vitale necessario alle proprie esigenze demografiche e di mercato.
L’intero continente è stato sventrato per l’estrazione di diamanti e
oro: gigantesche miniere cinesi pullulano di nuovi schiavi africani che
estraggono minerali preziosi in condizioni disperate. Non solo non viene
posto alcun riguardo per i diritti dei lavoratori, ma gli stessi
diritti umani vengono calpestati, in nome della logica spietata del
profitto. Amnesty International ha segnalato la presenza di oltre 40
mila minorenni, a partire dai sette anni, che lavorano per 12 ore al
giorno a 2 dollari per datori di lavoro cinesi.
Pechino negli ultimi anni ha superato Washington quale principale partner commerciale in Africa:
il commercio della Cina ha raddoppiato quello degli USA, che sono così
stati relegati al terzo posto, dopo il Dragone e l’Unione europea. Come
afferma lo scrittore congolese Mbuyi Kabunda, “l’Africa è diventata il nuovo oro per la Cina.”
Attraverso la sua politica di credito accomodante e d’investimento lungimirante, il colosso asiatico è riuscito a ottenere il controllo dei principali settori economici e strategici:
i cinesi detengono ormai più del 65% dei contratti di infrastrutture e
amministrano le grandi imprese minerarie, petrolifere, di
telecomunicazioni ed energetiche in gran parte dei paesi africani. Nel
solo 2016 gli investimenti diretti non finanziari delle imprese cinesi
in Africa sono cresciuti a un ritmo del 31%.
Lamido Lanusi, il governatore della Banca Centrale della Nigeria, in un’intervista al Financial Times ha dichiarato: “La
Cina si impadronisce delle nostre materie prime e ci vende prodotti
finiti (…) Questa è proprio l’essenza del colonialismo. L’Africa sta
spalancando le sue porte a nuove forme di imperialismo (…) La Cina, per
esempio, ormai non è più una economia sorella del mondo sottosviluppato
ma è la seconda economia più forte del mondo, un gigante capace di
esprimere le stesse forme di sfruttamento che ha adottato l’Occidente
nel passato… servono scelte coraggiose, dobbiamo produrre in Africa e
allo stesso tempo respingere importazioni cinesi frutto di politiche
predatorie”.
testo estratto da “I Coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni
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