Maglioni, Autostrade, Autogrill, Eurotunnel e salotti buoni. Breve storia dell’impero Benetton e delle sue molte operazioni di potere, tra profitti (pochi) e rendite (molte).
Con queste brevi note non vogliamo entrare nei dettagli della vicenda del crollo del ponte, peraltro il decimo che precipita in Italia in dieci anni, simbolo sin troppo facile da richiamare per un paese che sembra ormai arrivato al capolinea. Sulla vicenda specifica sono usciti in questi giorni molti articoli anche significativi (si veda quello di Anna Donati in questo stesso sito), mentre il comportamento sia del gruppo che del governo ci è apparso nel merito del tutto esecrabile. Vogliamo invece ricordare la vicende per così dire “imprenditoriali” della famiglia Benetton dagli inizi ad oggi.
Avvio e crisi della Benetton
Ricordo che nella seconda metà degli anni sessanta in diversi venimmo a conoscenza dell’esistenza di una fabbrica di maglioni dal nome Benetton, azienda fondata nel 1965 da tre fratelli veneti, attraverso una serie di modesti annunci pubblicitari dell’azienda che comparivano sulla rivista per giovani “Linus”.
Quella piccola realtà crescerà poi rapidamente secondo una formula imprenditoriale abbastanza nuova ed originale e sembrava destinata a grandi successi; molto presto comincia l’espansione anche all’estero in Europa e nella Americhe. Il fenomeno Benetton darà adito, ad un certo punto, per la sua apparente novità e rilevanza, anche a diversi studi e ricerche e verrà discusso nelle università.
Ma ad un certo punto, abbastanza presto, la macchina si blocca e non gira più. Uno dei primi segnali che ricordiamo a tale riguardo fu la rivolta di molti concessionari americani che smisero di vendere i prodotti Benetton protestando.
La Benetton diventerà così una dei più clamorosi fallimenti strategici della storia economica italiana recente, per alcuni aspetti anche il simbolo di un’Italia imprenditoriale che non ce la fa a reggere il mercato internazionale e le grandi dimensioni relative. I proprietari tenteranno apparentemente di tutto per farla riprendere, dal decentramento produttivo all’estero, con la chiusura anche di qualche impianto in Italia, a programmi di riduzione dei costi, alla delega dei poteri di gestione a dei manager esterni, a processi di scorporo e scissione delle varie attività, ma con risultati sempre molto scarsi.
A dimostrazione che si trattava in effetti solo di incapacità a stare dignitosamente il un business specifico sta il fatto che nel frattempo altri due gruppi europei, la spagnola Zara e la svedese H&M, portando avanti una strategia di mercato non molto dissimile da quella dei Benetton, crescevano e prosperavano a dismisura. Oggi, mentre l’impresa veneta, che aveva raggiunto diversi anni fa, se ricordiamo bene, un fatturato intorno ai 2,0 miliardi di euro, arranca intorno al 1,3 miliardi, il gruppo Zara è sui 17 miliardi di dollari (dati 2017) e il gruppo H&M fattura addirittura intorno ai 25 miliardi sempre di dollari (dati 2016).
In questi mesi dovrebbe essere in atto l’ennesima stanca ristrutturazione del complesso.
Le privatizzazioni
Ma, ad un certo punto, il fallimento strategico delle compagnia si incrocerà con un altro clamoroso fallimento,questa volta politico, quello dei processi di privatizzazione portati avanti dai governi di centro-sinistra.
Ci raccontavano allora che bisognava privatizzare per contribuire a risanare il bilancio pubblico, per immettere nuova linfa imprenditoriale in un corpo economico debilitato, perché i privati avrebbero gestito meglio del pubblico e così via.
Sostanzialmente falliti come imprenditori privati, i Benetton riannodano così con i fasti di una tempo facendo il loro ingresso nel tranquillo mondo delle concessioni e della riscossione dei pedaggi, una gallina dalle uova d’oro che non richiederà grandi fatiche imprenditoriali. E i Benetton non saranno poi i soli a farlo.
Così nel 1999 le autostrade del gruppo Iri vengono privatizzate ed esse verranno assegnate per una modica cifra all’unico gruppo che parteciperà alla contesa, gruppo guidato dalla famiglia. Inoltre, se ricordiamo bene, i debiti fatti per l’acquisizione verranno poi scaricati nelle capaci casse dell’azienda acquisita.
Seguiranno così molti tranquilli anni di rendita, resi anche più tranquilli dalla benevolenza dei vari governi che si sono succeduti al comando del paese e come viene documentato con precisione nell’articolo di Anna Donati già citato. Così i pedaggi aumentavano ogni anno anche ad un livello superiore a quello dell’inflazione, mentre gli adempimenti cui il gruppo si era impegnato venivano spesso disattesi o ritardati e mentre comunque gli accordi erano molto favorevoli al gruppo come indica ora, ad esempio, la lettura delle pagine che riguardano l’eventuale revoca della concessione.
Tra l’altro le convenzioni tra l’Anas e Benetton vengono tenute segrete, non si capisce perché; forse soltanto perché i vari governi si vergognano di far sapere cosa c’è scritto dentro.
In ogni caso nel 1997 la scadenza della concessione viene allungata di 20 anni, passando dal 2018 al 2038 e nell’aprile del 2018 viene allungata ulteriormente di quattro anni, sino al 2042.
La generazione di cassa dell’azienda sarà così negli anni imponente, parallelamente ad un’alta redditività operativa.
Noblesse oblige, il gruppo Benetton parteciperà poi, insieme ad un altro eroe delle privatizzazioni, il signor Colaninno, con il gentile inserimento nella locandina di altri illuminati imprenditori – tutti con il solo scopo di salvare un simbolo del made in Italy e sotto l’ala benedicente di Berlusconi-, al grande esperimento dei “capitani coraggiosi” per salvare l’Alitalia; si sa come è poi andata a finire. Oggi siamo ancora in trepida attesa dei nuovi salvatori, che ahimè tardano a venire, non si riesce a capire perché. Che Benetton non sia di nuovo della partita? E perché non fare lo stesso con l’Ilva?
Ma già prima la famiglia aveva partecipato alla madre di tutte le privatizzazioni, quella di Telecom Italia, avviata nel 1997 e alla quale avevano preso parte con il successo che sappiamo prima la famiglia Agnelli, poi il solito Colaninno, poi ancora un altro geniale imprenditore dei nostri, Tronchetti Provera, con corteo di manager tutti illuminati.
L’operazione è così riuscita che oggi l’azienda è sotto le grinfie di un fondo avvoltoio statunitense e per giunta con il plauso del precedente governo e dei soliti media.
Atlantia e Autogrill
Comunque il gruppo Benetton non è oggi soltanto tessile-abbigliamento ed autostrade nazionali.
Così, per quanto riguarda le autostrade il nome attuale della sub-holding relativa è Atlantia, che nel frattempo è cresciuta e si è diversificata.
Oltre a controllare oggi circa 3000 chilometri di autostrade in Italia, più o meno la metà del totale del nostro paese, la società opera anche all’estero, mentre si è inserita anche nel campo della gestione degli aeroporti, un comparto la cui gestione presenta molte caratteristiche simili a quella delle autostrade.
Così nel 2017 il fatturato, che era complessivamente pari a circa 6,0 miliardi di euro, si suddivideva in un 65% relativo alle autostrade italiane, un 11% relativo alle autostrade estere, un 15% agli aeroporti italiani, un 5% a quelli esteri, un 4 % infine alle attività residue.
Ma intanto dentro la gallina dalle uova d’oro Autostrade era anche inserito un comparto di ristorazione autostradale, con la società Autogrill, comparto anch’esso basato sulla formula dei contratti di concessione. Anche in questo caso si tratta nella sostanza di riscuotere dei pedaggi abbastanza sostenuti dagli assetati ed affamati viaggiatori di passaggio e il gioco è fatto.
Le attività di ristorazione vengono privatizzate anche prima di quelle autostradali, nel 1996, ed oggi esse sono la base su cui oggi poggia un gruppo importante nel settore, forse il più importante al mondo, operante in tutti i continenti, con un fatturato nel 2017 di circa 4,6 miliardi di euro e un utile di pressoché 100 milioni, occupando circa 63.000 persone.
La vicenda Abertis e la struttura del gruppo
Nel marzo del 2018, dopo una lunga battaglia a colpi di rilanci tra Atlantia e la spagnola ACS per prendere il controllo di Abertis, azienda spagnola operante grosso modo nello stesso perimetro di attività di Atlantia e con le stesse dimensioni (il fatturato del 2017 si è aggirato sui 6 miliardi di euro e l’utile sugli 1,1 miliardi di euro, con sedicimila dipendenti), i due contendenti hanno capito che era meglio mettersi d’accordo per spartirsi una preda molto appetibile; in ogni caso, Atlantia avrà il 50,1% del capitale ed entrerà anche in posizione di minoranza, con il 25%, nel capitale della tedesca Hochthief, grande impresa di costruzioni controllata da ACS. Le due società insieme controlleranno circa 14.000 chilometri di autostrade nel mondo. Che bella avventura!
Se la citata acquisizione venisse consolidata nei bilanci del gruppo, quest’ultimo farebbe un salto dimensionale non irrilevante, passando dai circa 12 miliardi di euro di fatturato nel 2017 ai circa 18 miliardi.
Nel frattempo, sempre Atlantis ha acquisito una quota rilevante ( il 15,5%) nel capitale di Eurotunnel, la società concessionaria del tunnel sotto la Manica, sborsando 1,1 miliardi di euro e diventandone così il socio più importante. La quota potrebbe crescere nel tempo. Ma chissà se la Brexit rovinerà un poco il sogno.
Oggi in cima al gruppo sta una holding, la Edizione srl, posseduta pariteticamente con il 25% ciascuno dai quattro rami della famiglia. Tale struttura controlla poi il 100% di Benetton Group (tessile-abbigliamento), il 50,1% di Autogrill, che a sua volta possiede il 100% della HMS Host Corporation, il 30,25% di Atlantia, che controlla oggi anche, tra l’altro, il 50,1% di Abertis; ci sono poi delle partecipazioni più o meno di maggioranza nel settore immobiliare ed agricolo in giro per il mondo.
Vanno ricordati infine, oltre all’importante quota in Eurotunnel, le partecipazioni del 3,5% in Generali, del 2,1% in Mediobanca, del 4,7% nella Pirelli, del 5,1% nella RCS, del 2,24 nel gruppo Caltagirone. Questi investimenti sono evidentemente finalizzati a stare nel giro dove si decidono molte delle cose importanti del nostro paese, comprese, almeno in parte, le concessioni più appetibili.
Conclusioni
Il gruppo se ne stava tranquillo a riscuotere pedaggi su pedaggi nel suo vasto impero; molto di recente tale attività, relativamente poco faticosa, prometteva di allargarsi molto con l’acquisizione della spagnola Abertis e l’ottenimento di altri futuri premi con Eurotunnel. L’unico cruccio in questo sereno orizzonte era rappresentato dal non felice andamento di una provincia dell’impero, il tessile-abbigliamento; ma tale cruccio era ormai relativo, visto il suo scarso peso nel gruppo.
Ma ecco che il crollo del ponte di Genova viene a turbare l’armonia del tutto.
Peraltro noi pensiamo, anche se ovviamente potremmo sbagliarci, che alla fine i Benetton, dopo vicende un poco travagliate, ne usciranno con relativamente pochi danni e qualche scalfittura, vista la pochezza anche degli attuali governanti, oltre che di quelli precedenti che hanno contribuito a redigere i contratti di concessione; così essi potranno tra qualche tempo tornare alle loro tranquille operazioni, anche alla ricerca di qualche nuova importante preda nel mondo così interessante delle concessioni, area prediletta di tanta audace imprenditoria nostrana.
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