mercoledì 1 agosto 2018

L'”alta felicità” abbatte le recinzioni e si riappropria della Val Clarea




 dinamopress di Riccardo Carraro
La terza edizione del Festival dimostra concretamente la posizione del movimento davanti alle strumentalizzazioni e le ambiguità gialloverdi. In migliaia arrivano fino al cantiere in Clarea e promettono: non ci fermeremo qui!
Per il terzo anno consecutivo in Val di Susa è stato organizzato il Festival dell’Alta Felicità. L’iniziativa è nata nel 2016 per proporre un modo alternativo per promuovere cultura, socialità e comunità attorno alla lotta No Tav, al tempo stesso per allargare la cerchia di chi sostiene il movimento, includendo anche chi può essere in difficoltà davanti alle necessarie e legittime pratiche di conflitto che i No Tav hanno dovuto attuare negli anni per opporsi alla mega opera.
L’obiettivo anche quest’anno è stato pienamente raggiunto vista la quantità di persone che hanno affollato l’arena e gli stand di Venaus per quattro giorni di musica, dibattiti passeggiate ed iniziative, fino ad arrivare, sabato sera, ai limiti massimi della capienza e della capacità logistica del luogo.

Anche quest’anno il festival è stato interamente gratuito, perché gli organizzatori lo hanno voluto e pensato come un luogo accessibile a tutti, perché conoscere le ragioni del No al Tav e vivere il senso di comunità che la Valsusa trasmette non può avere un prezzo.
Quest’anno il Festival si inserisce in un momento delicato della lotta No Tav, in cui al governo vi è il Movimento 5 Stelle che, essendosi dichiarato storicamente contro la grande opera, gode ancora di ampio sostegno in valle, e vede anche alcuni suoi esponenti locali esplicitamente impegnati contro il Tav. Proprio sul Tav il governo gialloverde sta esprimendo alcune delle sue infinite contraddizioni. Da un lato emergono le posizioni concilianti e al tempo stesso ambigue di Toninelli e Di Maio («Discutiamo con i francesi l’opera», «L’opera è nata male ma possiamo migliorarla», «L’opera non va avanti senza la nostra firma»), dall’altro vi è quella della Lega, che vuole la Tav. Tra le tante ragioni del sostegno del partito di Salvini, un peso lo ha il fatto che la Lega da sempre è vicina agli interessi della media imprenditoria del nord che potrebbe avere guadagni in termini di indotto dall’opera, mentre il grosso del guadagno, oltre che alla ’ndrangheta, andrebbe in mano alle grandi imprese come la “rossa” CMC.
In questo contesto di ormai arcinota ambiguità pentastellata, destinata con tutta probabilità a durare, il movimento ha trovato una sua linea comune già al corteo del 19 maggio, che poi è stata ribadita decine di volte durante il festival. Il movimento fa il suo, i governi faranno il loro, non ci sono governi amici e la lotta continua fino al momento in cui il cantiere sarà definitivamente smantellato.
Ma c’è stata una importante novità in questa edizione 2018. Il movimento No Tav ha voluto anche dimostrare concretamente nei fatti questa sua posizione, e si è scelto di sospendere ogni attività del festival nel pomeriggio di sabato per andare a fare visita al cantiere in Clarea.
Chi è pratico di quelle zone sa che non è per nulla facile muoversi in migliaia di persone da Venaus fino a Giaglione e da qui alla Val Clarea, ma si è voluto scommettere fino in fondo sull’obiettivo e sul suo senso politico. Così alle 13,30 di sabato in decina di migliaia di persone (attivisti consolidati o semplici partecipanti al festival, valligiani e non, senza distinzioni) ci si è mossi in modo festoso e allegro verso Giaglione, occupando la statale e ballando al ritmo di Maracaibo e de La Grande Onda del Piotta. Il meteo non era dalla nostra parte e all’arrivo a Giaglione un primo scroscio di pioggia torrenziale ha colpito il corteo, senza però intimorire i partecipanti. Da Giaglione abbiamo continuato per il sentiero verso la Clarea, mentre il cielo ci regalava sprazzi di sole e poi di nuovo intensi scrosci. A metà sentiero la polizia aveva conficcato nel terreno e nella roccia un enorme cancello circondato da filo spinato, ma nessuno si è fatto intimorire ed è iniziata l’opera di smantellamento dello stesso, continuata, sempre sotto la pioggia, per almeno mezz’ora. Al momento della caduta della recinzione un grido di esaltazione ha percorso tutto il lungo corteo che si snodava per chilometri lungo il sentiero. Abbiamo quindi continuato a camminare tra canti e slogan fino al ponte sulla Clarea, a pochi metri dal cantiere, dove ci aspettavano i carabinieri in assetto antisommossa e dove abbiamo continuato per un’altra mezz’ora a intonare cori, promettendo prossime iniziative ancora più determinate per mettere fine al cantiere della vergogna.
È stato un momento potente ed energico, era dal 2013 o addirittura dal 2012 che non si riusciva a portare un corteo così numeroso lungo il sentiero da Giaglione alla Clarea. Dopo quegli anni infatti, vista la repressione che ripetutamente colpiva i manifestanti in un contesto già complesso quale un sentiero di montagna, si iniziò a preferire la passeggiata notturna in un numero ristretto di partecipanti o il grande corteo ma nei paesi di Susa, Bussoleno, Chiomonte o Torino. Sabato invece, sotto piogge torrenziali, eravamo in tantissimi e c’era determinazione, energia, voglia di esserci, di riprendersi collettivamente quel pezzo di montagna violentato e torturato dall’affarismo, dal clientelismo, dalla mafia, dall’arroganza del potere.
Due temi sono stati inoltre al centro dei dibattiti e delle iniziative del Festival, in modo tale da rimarcare ulteriormente la posizione del movimento rispetto all’attuale governo. Da un lato la situazione in Rojava, con i contributi importanti di attivisti come Jacopo e Eddi, da poco rientrati, che non hanno smesso di accusare le politiche internazionali, di cui siamo pienamente complici, che permettono alla Turchia di continuare ad attaccare l’esperienza straordinaria del confederalismo democratico che i curdi portano faticosamente avanti. Dall’altro la situazione alla vicina frontiera con la Francia, che dallo scorso dicembre è al centro dell’attenzione per la presenza di un flusso costante di migranti. Si è quindi parlato di libertà di movimento, di diritti sempre più negati, dei porti che Salvini e Toninelli chiudono, ribadendo la posizione del movimento No Tav che è anche antirazzista e antifascista e non può che opporsi in tutti modi alle politiche nazionalistiche e reazionarie che i gialloverdi stanno mettendo in campo. Perché rimanere in silenzio è semplicemente inaccettabile.
Il festival è stato tutto questo: tanta musica, splendide passeggiate attraverso i luoghi delle tante battaglie che le brigate partigiane hanno combattuto coraggiosamente durante la Resistenza, proprio nei sentieri attorno a Venaus, Bussoleno, Susa; la battaglia di Balmafol e di Grange Sevine, durante le escursioni sono state rievocate e raccontate ai partecipanti. Ma l’Alta Felicità è stata anche semplicemente un momento di incontro e confronto tra gli attivisti del movimento e il mondo che attraversava i prati di Venaus e che non perdeva l’occasione di chiacchierare con chi vive in valle, mentre era in attesa di avere un piatto di pasta, una birra o un turno alla doccia.
Vale la pena ripetere sempre che quello che sta accadendo in Valsusa non è la lotta nimby della popolazione locale contro un’opera inutile, dannosa e costosissima. In Val di Susa si confrontano in modo paradigmatico due sistemi di valori antitetici. Da un lato uno stato mafioso che vuole schiacciare la volontà popolare e l’ambiente con ogni strumento coercitivo al fine di garantire profitti alle proprie clientele. Dall’altra una comunità che lotta, che si organizza, che si fa portatrice di un sistema di valori quali la solidarietà e la socialità,  l’antirazzismo, la tutela dell’ambiente, la memoria storica dell’antifascismo, la tutela del senso più profondo del termine democrazia, la possibilità di vivere nel proprio territorio, e soprattutto la possibilità di viverci felici, difendendolo e curandolo.
Ed è proprio per questo che lo stato fatica così tanto a cedere sul fronte Tav: quel sistema di valori, rappresentato dal movimento, non è compatibile con il sistema economico sociale e politico in cui viviamo. Per tali ragioni non può “passare” la lezione che si può vincere, che un mondo diverso non è solo una utopia, ma una possibilità concreta e realizzabile. Inoltre, se i No Tav semplicemente vincessero, nella visione repressiva di chi ci governa, c’è il rischio di risvegliare dall’anestesia altre lotte e resistenze in tutta la penisola: un fatto che metterebbe in seria difficoltà le élites di potere.
I No Tav sono consapevoli di tutto ciò, pertanto durante il Festival si è ribadito nel modo più chiaro ed esplicito che la lotta va avanti, non solo senza paura dei nuovi ostacoli che si incontreranno, ma con la potenza e l’energia che si respirava nei sentieri della Clarea sabato 28 luglio.

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