Come si manipola la storia attraverso le immagini: il #GiornodelRicordo e i falsi fotografici sulle #foibe
1. UN GIORNO A DANE, SLOVENIA, 31 LUGLIO 1942
Guardate questa foto:
Guardate quest’immagine:
E quest’altra:
E questa ancora:
Ce ne sono molte altre simili nei manifesti che pubblicizzano iniziative per il Giorno del ricordo.
A questo punto vi sarete convinti: i fucilati, chiaramente, sono italiani che vengono uccisi dalle truppe jugoslave.
La foto viene messa in onda nella trasmissione Porta a porta condotta da Bruno Vespa per la giornata del ricordo del 2012. Ospiti in studio, tra gli altri, gli storici Raoul Pupo e Alessandra Kersevan.
In quella trasmissione però
emerge, con enorme disappunto di Bruno Vespa, che la foto non mostra la
fucilazione di vittime italiane da parte dei feroci partigiani titini.
Tutt’altro. Alessandra Kersevan fa notare che la foto ritrae la
fucilazione di cinque ostaggi sloveni da parte delle truppe italiane
durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943). Bruno Vespa
attacca furiosamente la signora Kersevan (non si sa perché altri ospiti
vengono definiti professore o professoressa, titolo che spetterebbe di
diritto anche a questa ricercatrice storica); Raoul Pupo interviene
sulla questione solo quando viene interpellato direttamente dalla
Kersevan e conferma che il contenuto dell’immagine è completamente
opposto a quanto viene fatto passare nella trasmissione. Quando è
costretto a prendere atto che la foto ritrae effettivamente ostaggi
sloveni fucilati da un plotone d’esecuzione italiano, il conduttore si
giustifica dicendo che l’immagine è tratta da un libro sloveno.
Bruno Vespa non porgerà mai le proprie scuse alla professoressa Kersevan per il madornale errore.
In
effetti la fotografia è stata scattata nel villaggio di Dane,
nella Loška Dolina, a sudest di Lubiana. Si sa anche il giorno in cui la
foto fu scattata, il 31 luglio 1942, e addirittura i nomi dei fucilati:
Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Come
nella Wehrmacht e nelle SS, anche nell’esercito italiano si
documentavano stragi e crimini, salvo tenerli nascosti negli anni
successivi per confermare il (finto) cliché del «bono soldato italiano».
Il
rullino di cui la fotografia faceva parte viene abbandonato dalle
truppe italiane dopo l’8 settembre 1943 e finisce nelle mani dei
partigiani. Nel maggio del 1946 la foto (insieme ad altro materiale che
testimonia la Lotta di liberazione jugoslava ed i crimini di guerra
italiani e tedeschi in Slovenia) viene pubblicata a Lubiana nel libro Mučeniška pot k svobodi («La travagliata strada verso la libertà»).
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato – stavolta in italiano – un altro libro sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato – stavolta in italiano – un altro libro sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
Da quest’ultimo libro è tratta questa pagina, che riporta la foto con la didascalia: «…e un ufficiale si diletta a fotografare…»
…che
è la continuazione del commento ad un foto pubblicata accanto: «Prima
di venir fucilati devono scavarsi la fossa». Non è la stessa fucilazione
ma sono gli stessi fucilatori, è un’esecuzione di ostaggi nella vicina
Zavrh pri Cerknici, avvenuta quattro giorni prima.
La stessa immagine però è passata sul Tg3 riferita alle vittime delle foibe:
In un’altra pubblicazione – Tone Ferenc, La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942,
Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine
1994 – si trova la didascalia con tutte le informazioni necessarie a
identificare la fucilazione di Dane:
Eppure non basta: si continuano a presentare i cinque ostaggi sloveni della foto come italiani vittime degli slavocomunisti.
In
alcuni casi l’uso della foto nei manifesti della Giornata del ricordo
scatena reazioni internazionali: a protestare contro il clamoroso errore
(ammesso e non concesso che non si tratti di una bufala voluta) è
addirittura il Ministero degli esteri sloveno che segnala al Comune di
Bastia Umbra l’uso improprio della fonte. Altre volte lettere giungono
da storici indipendenti come Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Sandi Volk.
Le reazioni sono spesso di scuse (con la conseguente rimozione del
materiale iconografico da siti on line), ma in alcuni casi – quali
quella dell’assessore alla cultura di Bastia Umbra Rosella Aristei – si
procede ad un’improbabile giustificazione dell’uso della foto come
denuncia simbolica della violenza, esecrabile in tutte le sue varie
forme.
La
vicenda della foto di Dane ha il suo apice in una lettera di protesta
spedita direttamente al presidente Napolitano da parte di Miro Mlinar,
Presidente dell’Associazione dei combattenti per i valori della lotta
di liberazione nazionale di Cerknica (Slovenia), offeso dal fatto che
l’immagine fosse stata addirittura pubblicata impropriamente sul sito
del Ministero degli interni italiano. Purtroppo non abbiamo lo
screenshot del sito del Ministero, tuttavia la lettera di Mlinar è reperibile qui.
Il Presidente dell’Associazione dei combattenti slovena sostiene che è stata proprio la pubblicazione sul sito ufficiale italiano a giustificare in seguito l’uso scorretto della foto, facendola diventare uno strumento improprio per aizzare l’odio verso il popolo sloveno. Per questo suggerisce a Napolitano di spostare la data del Giorno del ricordo al 10 giugno, «data del vero inizio delle tragedie del popolo italiano.» A quanto mi risulta il primo presidente proveniente dal partito italiano che più aveva contribuito alla Resistenza non si è nemmeno degnato di rispondere a Mlinar.
Il Presidente dell’Associazione dei combattenti slovena sostiene che è stata proprio la pubblicazione sul sito ufficiale italiano a giustificare in seguito l’uso scorretto della foto, facendola diventare uno strumento improprio per aizzare l’odio verso il popolo sloveno. Per questo suggerisce a Napolitano di spostare la data del Giorno del ricordo al 10 giugno, «data del vero inizio delle tragedie del popolo italiano.» A quanto mi risulta il primo presidente proveniente dal partito italiano che più aveva contribuito alla Resistenza non si è nemmeno degnato di rispondere a Mlinar.
Per la vicenda delle false attribuzioni della foto di Dane rimando a questo dossier e ringrazio Ivan Serra e lo staff del sito diecifebbraio.info per la minuziosa ricostruzione della bufala e delle sue implicazioni internazionali.
In
qualche modo, tuttavia, la vicenda dell’abuso della foto di Dane arriva
fino ai media nazionali. Finalmente, pochi giorni fa, se ne occupa un
articolo sull’Espresso, grazie ad un post pubblicato proprio qui su Giap:
Si spera che con questo passaggio su un periodico a diffusione nazionale finalmente Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič ed Edvard Škerbec possano avere la giustizia e la collocazione storica che si meritano.
2. FUCILATI MONTENEGRINI SPACCIATI PER «VITTIME DELLE FOIBE»
Le bufale legate alla giornata del ricordo non si limitano alla fucilazione degli ostaggi di Dane. Ecco qui un altro esempio:
ed ancora un altro:
Nell’intento
di chi ha utilizzato queste foto, la prima rappresenterebbe un gruppo
di italiani uccisi dai titini e la seconda un partigiano che prende a
calci un povero prigioniero italiano.
Anche
in questo caso invece la realtà è un’altra (già le divise dei due
militari della seconda immagine non lasciano dubbi che si tratti di un
soldato e di un ufficiale italiano): entrambe le foto fanno parte dello
stesso rullino e documentano la fucilazione di ostaggi e partigiani in
Montenegro, occupato dall’esercito italiano dall’aprile del 1941 all’8
settembre 1943. Ne esiste la sequenza completa (sul sito criminidiguerra.it ), qui le tratteremo una per una perché ogni fotogramma contiene particolari che smentiscono si tratti di italiani.
I
prigionieri montenegrini sono presi a calci da un soldato italiano
riconoscibile dalla divisa mentre vengono portati sul luogo della
fucilazione:
Poi
i prigionieri sono schierati davanti al plotone d’esecuzione. Che non
si tratti di italiani è intuibile dal copricapo del terzo e del quinto
condannato da sinistra che indossano la tipica berretta montenegrina.
Quattro ostaggi alzano il pugno chiuso, evidente testimonianza che –
almeno quei quattro – sono partigiani comunisti. L’uomo al centro della
foto, accanto a quello che mostra il pugno, indossa il berretto
partigiano, la cosiddetta “titovka”.
Parte la scarica (italiana)…
Gli
ostaggi sono morti. E’ la stessa foto che illustra la notizia del
Giorno del ricordo a Cernobbio, ma ora sappiamo che sono vittime
montenegrine degli italiani e non italiani vittime degli jugoslavi.
L’ufficiale
italiano, la cui mano si intravede in alto a sinistra, spara il colpo
di grazia ai fucilati. Anche in questa foto c’è un particolare che
conferma il fatto che le vittime non sono italiane: uno dei morti calza
le tipiche babbucce serbo-montenegrine, le opanke.
L’ultima foto del rullino:
3. NUMERO D’INVENTARIO 8318
Altra foto che non rappresenta vittime delle foibe, ma che viene fatta passare come tale:
Fin
da subito di questa foto non mi hanno convinto diversi particolari: il
paesaggio non è per nulla istriano o carsico, le divise non sembrano
assolutamente divise “titine” o anche di partigiani non inquadrati in
formazioni regolari, i cadaveri sono troppi e troppo “freschi” per
essere stati estratti da una foiba. Nel caso in cui non si trattasse di
vittime estratte da una foiba ma di un’esecuzione sommaria da parte
degli jugoslavi, colpisce invece il fatto che i morti sembrano essere
tutti maschi e che non ci sia tra loro nemmeno una persona in divisa
(dal momento che, nella vulgata fascista e neofascista sulle foibe, nel
1943 sarebbero stati eliminati tutti coloro che potevano essere
considerati funzionari dello Stato italiano, compresi dunque militari e
pure donne).
Dopo
innumerevoli supposizioni (Katyn? Stragi di ebrei nel Baltico?), grazie
alla solerzia di un giapster, Tuco, troviamo l’originale. Si trova
nell’archivio dell’Armata Popolare Jugoslava a Belgrado. Eccola:
Che
si tratti di una stampa dal negativo è chiaro dalla pulizia e dalla
definizione dell’immagine: in nessuno dei siti italiani che riportano la
foto, questa è così nitida e i dettagli così visibili. Ma ciò che è più
interessante è quel che c’è scritto dietro. Il sito, infatti, riporta
anche il retro della foto, dove ogni archivio fotografico segnala le
note e la descrizione relativa all’immagine.
La
traduzione è la seguente: «Numero d’inventario 8318. Crimine degli
italiani in Slovenia. Negativo siglato A-789/8. Originale: Museo
dell’JNA a Belgrado»
Dunque
non si tratta, nemmeno in questo caso, di vittime delle foibe, ma
piuttosto del contrario: vittime slovene uccise dall’esercito italiano.
Ciò
che è impressionante è la velocità con cui su internet un’immagine
diventa virale (e dunque “vera”): cercando nel web il 10 febbraio alle
otto di sera, quest’immagine – secondo le mie modeste conoscenze
informatiche – appariva sette volte, tutte e sette associata al
descrittore “foibe”. Due giorni dopo (giovedì 12 verso le 23.00) la foto
era reperibile su ben 103 siti, a dimostrazione dell’incredibile
potenza moltiplicativa di Internet, pur trattandosi di una bufala.
4. SI PARLA DEL «DRAMMA DEGLI INFOIBATI» E SI MOSTRA UN UFFICIALE DELLE SS MA FORSE LA STORIA E’ ANCORA PIU’ ASSURDA
Su internet si trova anche la seguente immagine:
Immagine
generalmente associata al massacro degli ufficiali polacchi a Katyn,
alla liquidazione degli Shtetl in Polonia ed Ucraina, alle uccisioni
delle foibe, addirittura ad esecuzioni da parte austro-ungarica di
prigionieri catturati durante la disfatta di Caporetto nel 1917. Non ho
trovato un archetipo, ma escludo tanto Katyn quanto le foibe in quanto
non esistono testimonianze fotografiche delle esecuzioni ed in entrambi i
casi non avrebbe avuto senso spogliare le vittime. L’attribuzione più
plausibile mi sembra quella dell’eliminazione di prigionieri (russi?) in
qualche villaggio dell’est o in un campo di concentramento, vista anche
la divisa del boia, che sembra essere delle SS-Totenkopfverbände (Testa di morto), reparto adibito alla custodia dei campi nazisti.
[N.d.R. Su questa foto, vedi la discussione qui sotto con intervento di Nicoletta Bourbaki]
5. BRUNO VESPA CI RICASCA: I PARTIGIANI IMPICCATI A PREMARIACCO
Torniamo
ora a Bruno Vespa. Oltre a non essersi mai scusato ufficialmente con
Alessandra Kersevan per l’errore (?) dei fucilati di Dane, nella
trasmissione dedicata alla Giornata del ricordo di quest’anno (2015),
mentre sta parlando di «esecuzioni sommarie a Trieste», manda in onda
questa foto:
Chiaramente
lo spettatore ignaro viene indotto a pensare che si tratti di italiani
impiccati dai partigiani titini. Invece non è così: come nel caso di
Dane, Vespa mostra in un contesto un’immagine che è esattamente
l’opposto. Si tratta infatti di partigiani friulani (più uno goriziano
ed uno sloveno) impiccati a Premariacco in Friuli il 29 maggio del 1944.
Anche i nomi delle vittime di questa strage sono conosciuti:
Sergio Buligan, 18 anni;
Luigi Cecutto, 19 anni;
Vinicio Comuzzo, 18 anni;
Angelo Del Degan, 18 anni;
Livio Domini, 18 anni;
Stefano Domini, 19 anni;
Alessio Feruglio, 19 anni;
Aniceto Feruglio, 17 anni;
Pietro Feruglio, 18 anni;
Ardo Martelossi, 19 anni;
Diego Mesaglio, 20 anni;
Mario Noacco, 20 anni;
Mario Paolini, 18 anni,
tutti di Feletto Umberto.
Inoltre:
Ezio Baldassi di San Giovanni al Natisone, 16 anni;
Guido Beltrame di Manzano, 60 anni;
Sergio Torossi di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Antonio Ceccon di Dogna, 19 anni;
Luigi Cerno di Taipana, 21 anni;
Bruno Clocchiatti di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Oreste Cotterli di Udine, 41 anni;
Agostino Fattorini di Reana del Rojale, 24 anni;
Dionisio Tauro di Chions, 41 anni;
Guerrino Zannier di Clauzetto, 25 anni;
Mario Pontarini o Pontoni;
Luigi Bon di Gorizia, 35 anni;
Jože Brunič di Novo Mesto.
Sergio Buligan, 18 anni;
Luigi Cecutto, 19 anni;
Vinicio Comuzzo, 18 anni;
Angelo Del Degan, 18 anni;
Livio Domini, 18 anni;
Stefano Domini, 19 anni;
Alessio Feruglio, 19 anni;
Aniceto Feruglio, 17 anni;
Pietro Feruglio, 18 anni;
Ardo Martelossi, 19 anni;
Diego Mesaglio, 20 anni;
Mario Noacco, 20 anni;
Mario Paolini, 18 anni,
tutti di Feletto Umberto.
Inoltre:
Ezio Baldassi di San Giovanni al Natisone, 16 anni;
Guido Beltrame di Manzano, 60 anni;
Sergio Torossi di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Antonio Ceccon di Dogna, 19 anni;
Luigi Cerno di Taipana, 21 anni;
Bruno Clocchiatti di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Oreste Cotterli di Udine, 41 anni;
Agostino Fattorini di Reana del Rojale, 24 anni;
Dionisio Tauro di Chions, 41 anni;
Guerrino Zannier di Clauzetto, 25 anni;
Mario Pontarini o Pontoni;
Luigi Bon di Gorizia, 35 anni;
Jože Brunič di Novo Mesto.
Ecco la foto non deturpata dal logo della trasmissione di Vespa:
Dal
momento che in contemporanea ci fu un’esecuzione collettiva anche a San
Giovanni al Natisone e non è perfettamente chiaro quali dei partigiani
elencati sopra siano stati uccisi a Premariacco e quali a San Giovanni,
pubblichiamo qui di seguito anche la foto dei caduti per la libertà di
San Giovanni al Natisone, sperando in questo modo di evitare
preventivamente che si insulti anche la loro memoria (anche considerando
che l’Anpi di Udine, pochi giorni dopo la bufala di Bruno Vespa, ha tolto dal proprio sito foto e riferimenti ai martiri del 29 maggio. Speriamo si tratti di un caso.)
[N.d.R. Nei commenti a questo post viene spiegato l’arcano: «il sito dell’ANPI di Udine ha cambiato non solo server, ma anche piattaforma (da Drupal a WordPress); in ragione di ciò tutti i link interni devono essere editati a mano.»]
[N.d.R. Nei commenti a questo post viene spiegato l’arcano: «il sito dell’ANPI di Udine ha cambiato non solo server, ma anche piattaforma (da Drupal a WordPress); in ragione di ciò tutti i link interni devono essere editati a mano.»]
6. CHE C’ENTRA SREBRENICA CON LE FOIBE?
C’è
poi l’articolo de «Il Piccolo» di Trieste che sarebbe esilarante se non
trattasse di un argomento, anzi due, così macabro e doloroso.
Il
sottotitolo della foto reca la dicitura: «L’esumazione di una parte dei
cadaveri rinvenuti in una foiba». Peccato che la foto sia a colori, gli
esumatori indossino jeans e sia evidente come l’immagine sia di decenni
più recente. Facendo una rapida ricerca su internet si trova
l’originale: è una fossa comune nel villaggio di Kamenica in Bosnia, nel
Cantone di Tuzla, in cui sono stati sepolti musulmani bosniaci dopo la
deportazione da Srebrenica.
L’errore
è così grossolano che il giornale nel giro di poche ore sostituisce la
foto con questa (che si riferisce effettivamente al recupero di corpi
dalla foiba di Vines, 1943):
7. LA «VERA STORIA» CON COPERTINA FALSA
Passiamo
poi ad uno dei taroccamenti più evidenti dell’intera vicenda “foibe”,
che richiama alcuni dei luoghi comuni più triti sulla bestialità dei
partigiani, la sanguinarietà truculenta e la partecipazione delle
partigiane (le terribili “drugarice”) alle azioni più violente. Si
tratta della copertina del libro Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe, di Giuseppina Mellace, edito da Newton Compton.
Nella
copertina si vede un trio (ad occhio: un partigiano e due partigiane)
nell’atto di sgozzare una vittima (presumibilmente un povero italiano).
Anche qui però il taroccamento è palese. La foto originale infatti è
questa:
Anche in questo caso si assiste ad un totale ribaltamento del senso dell’immagine. I carnefici della foto infatti sono una Crna trojka (“Terzetto
Nero”), unità četniche, cioè appartenenti all’esercito nazionalista
serbo. Si trattava di una sorta di tribunale volante che aveva il
compito di eliminare collaborazionisti dell’occupatore. Con l’evolversi
della guerra e con l’avvicinamento di Draža Mihailović ai tedeschi, le Crne trojke si
dedicarono sempre più all’esecuzione sommaria di partigiani comunisti,
di simpatizzanti del movimento partigiano e dei loro familiari. Che si
tratti di četnici e non di partigiani è facilmente deducibile
dall’abbigliamento: anziché la bustina partigiana (la cosiddetta titovka, già citata nel caso dei fucilati montenegrini), gli individui fotografati sul libro della Mellace hanno in testa una šajkača, il tipico copricapo serbo, utilizzato dai nazionalisti serbi.
Qui
di seguito la differenza tra una titovka (che peraltro è sempre ornata
da una stella rossa) e una šajkača (che solitamente ha in fronte uno
scudo con l’aquila serba, decisamente più grande, come si può notare dal
copricapo del četniko in piedi al centro della foto).
Il
fatto poi che siano četnici esclude che le due persone in piedi siano
donne: è noto che i nazionalisti serbi portavano i capelli lunghi alle
spalle.
Inoltre
che la vittima non sia un italiano è nuovamente intuibile dalle
calzature, che sono – come nel caso di alcuni dei fucilati del
Montenegro – opanke, cioè le babbucce tipiche della Serbia e del
Montenegro.
⁂
8. MORTI NEI LAGER NAZISTI E FASCISTI SPACCIATI PER… INDOVINATE COSA?
Per
taroccare le immagini relative alla Giornata del ricordo non si è
disdegnato di utilizzare anche i campi di concentramento e sterminio
nazisti.
Il
Comune di Brisighella (ma a grandi linee mi pare che l’utilizzo della
foto sia più diffuso) commemora le foibe con questa foto:
…che
in realtà è una foto di cadaveri nel campo di Bergen-Belsen; mentre su
alcuni siti e addirittura in un manifesto della Provincia di Foggia
appare quest’altra foto di bambini in un campo nazista…
…spacciata – non si capisce bene in che modo – per una foto relativa alle foibe.
Sempre in tema di campi di concentramento ecco un’altra foto clamorosamente sbagliata:
In realtà si tratta di un deportato croato nel campo di concentramento italiano dell’isola di Arbe. L’immagine è addirittura sulla copertina di un libro di Alessandra Kersevan:
Ancora
una volta le fotografie utilizzate per la Giornata del ricordo girano
la verità storica di 180°, presentando le vittime come aguzzini e
viceversa.
9. FRANCESI IN FUGA DA HITLER SPACCIATI PER ESULI ISTRIANI
Non
basta, manca l’esodo. Ecco qui una foto che negli ultimi tempi ha
girato parecchio su internet: una bambina e la sua famiglia scappano
dall’occupazione jugoslava di una città istriana.
Ma ecco la sorpresa:
La
didascalia dice: «Bambini fuggono dall’avanzata di Hitler nel 1940». Si
tratta di una foto scattata nel giugno del 1940 quando le truppe del
Reich invasero la Francia. Dunque sbagliata la collocazione (non Istria,
ma Francia), sbagliato l’anno (non 1945-47, ma 1940), sbagliato
l’invasore (non Tito, ma Hitler).
La foto si trova addirittura sulla copertina di questo libro di Hanna Diamond,
storica e francesista, docente all’Università di Bath in Inghilterra,
ma come ben si sa, raramente in Italia si prendono in considerazione gli
studi stranieri…
La
didascalia dice: «Bambini fuggono dall’avanzata di Hitler nel 1940». Si
tratta di una foto scattata nel giugno del 1940 quando le truppe del
Reich invasero la Francia. Dunque sbagliata la collocazione (non Istria,
ma Francia), sbagliato l’anno (non 1945-47, ma 1940), sbagliato
l’invasore (non Tito, ma Hitler).
La foto si trova addirittura sulla copertina di questo libro di Hanna Diamond,
storica e francesista, docente all’Università di Bath in Inghilterra,
ma come ben si sa, raramente in Italia si prendono in considerazione gli
studi stranieri…
10. BRIGANTI INFOIBATI
Appare su un sito la seguente foto di infoibati:
Peccato
che queste vittime delle foibe siano state uccise circa ottant’anni
prima, e non dall’esercito jugoslavo, bensì da quello italiano. Infatti è
una delle tante foto che le armate sabaude scattavano ai cadaveri dei
briganti appena uccisi, nell’intento di dimostrare la semibestialità
delle masse rurali meridionali, di documentarlo con scientificità
lombrosiana e di assecondare il gusto morboso dell’epoca. Al di là
dell’errore marchiano (ma ci siamo abituati) in questo caso è
interessante vedere la genesi dell’errata attribuzione che dimostra la
superficialità assoluta con cui molti scelgono la documentazione
fotografica da allegare agli articoli. L’immagine, infatti, è
evidentemente tratta da quest’altro sito,
in cui appaiono tre foto di briganti uccisi, stigmatizzando il fatto
che esista la Giornata del ricordo per gli infoibati, ma non per le
vittime della lotta al brigantaggio.
11. DOVEROSE RIFLESSIONI
Colpisce
il fatto che, mentre per le foibe manca una documentazione fotografica
delle uccisioni e le immagini relative al recupero dei corpi sono
abbastanza rare (il che potrebbe essere un ulteriore riscontro che le
effettive uccisioni nelle cavità carsiche furono relativamente poche,
nell’ordine di grandezza delle centinaia e non delle migliaia), immagini
dell’esodo sono invece piuttosto diffuse, soprattutto di quello da
Pola, ma in occasione della Giornata del ricordo non si disdegna di
adoperarne di fasulle. Perché?
Una parte di responsabilità va sicuramente attribuita al fatto che spesso queste ricorrenze sono organizzate (o pubblicizzate graficamente) da persone senza una sufficiente preparazione storica, quando non del tutto estranee all’ambito. Mi pare possibile che le foto vengano selezionate in base all’impatto emotivo che possono suscitare su chi le guarda e dunque non si vada troppo per il sottile. La foto dell’esodo “francese” ha in primo piano un’adolescente dall’espressione spaventata, che sicuramente è un elemento di grande presa emotiva e ha l’effetto di rappresentare l’esodo istriano per quello che non è stato: una fuga disordinata da un invasore sanguinario (come invece lo fu quella dei profughi francesi dalla Wehrmacht) invece che un processo migratorio sviluppatosi nell’arco di un decennio abbondante, come i dati statistici permettono di rilevare.
Una parte di responsabilità va sicuramente attribuita al fatto che spesso queste ricorrenze sono organizzate (o pubblicizzate graficamente) da persone senza una sufficiente preparazione storica, quando non del tutto estranee all’ambito. Mi pare possibile che le foto vengano selezionate in base all’impatto emotivo che possono suscitare su chi le guarda e dunque non si vada troppo per il sottile. La foto dell’esodo “francese” ha in primo piano un’adolescente dall’espressione spaventata, che sicuramente è un elemento di grande presa emotiva e ha l’effetto di rappresentare l’esodo istriano per quello che non è stato: una fuga disordinata da un invasore sanguinario (come invece lo fu quella dei profughi francesi dalla Wehrmacht) invece che un processo migratorio sviluppatosi nell’arco di un decennio abbondante, come i dati statistici permettono di rilevare.
Tuttavia
ciò che colpisce di più è il fatto che la maggior parte dei falsi che
siamo riusciti a smascherare presenti un totale ribaltamento del
contenuto: sono foto che mostrano vittime slovene (o croate o
partigiane) uccise dagli italiani, ma vengono presentate come l’opposto,
italiani vittime delle violenze slavocomuniste.
Una
spiegazione “tecnica” potrebbe essere quella che gli addetti al
reperimento del materiale si siano limitati a digitare su Google
qualcosa tipo “Jugoslavia”, “crimini” o “vittime” e “italiani” e senza
accorgersi siano capitati in siti dove vengono documentate le violenze
italiane in Jugoslavia: l’utilizzo di quelle immagini sarebbe dunque
semplicemente un errore di superficialità. Se è vero che la cura nella
corretta identificazione delle immagini fotografiche è
significativamente inferiore a quella riservata ad altre tipologie
documentali, nel caso delle immagini delle foibe questa pessima pratica
sembra quasi essere la norma.
Non
mi sento però di escludere che questa totale inversione sia invece
dolosa: che si tratti di un atto volontario nato proprio per instillare
on line confusione e il dubbio che le foto delle vittime della
resistenza siano effettivamente tali (e rendere questo dubbio virale
attraverso l’incredibile forza di replica di internet), o forse più
semplicemente per provocare, offendere e screditare la memoria della
Lotta di liberazione jugoslava.
Un
altro aspetto che salta agli occhi ricercando in questo campo è la
carenza di immagini testimonianti la repressione violenta degli italiani
ad opera dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, se
confrontate alle foto esistenti di violenze italiane in Jugoslavia,
decisamente più numerose e dettagliate. D’altra parte ciò è fisiologico:
i popoli jugoslavi subirono un’invasione che provocò un numero enorme
di vittime. La Jugoslavia ebbe un milione di morti su una popolazione di
quindici milioni (cfr. John Keegan, Atlas of the Second World War);
nella provincia di Lubiana vi furono 30.299 vittime su una popolazione
totale di 336.300 abitanti (9% degli abitanti). Nella Venezia Giulia,
invece, il numero delle vittime “italiane” dell’Esercito Popolare di
Liberazione Jugoslavo arriva a poche migliaia (contando anche coloro che
morirono in prigionia di stenti e malnutrizione, cosa che accadeva
anche nei campi di prigionia angloamericani), tra cui alcune centinaia
di “infoibati”. Non lo dico io ma il rapporto della Commissione storica italo-slovena, che certo non si può accusare di “titoismo”.
A dispetto della risonanza mediatica che viene data alle foibe e alle vicende del confine orientale, si trattò di un episodio minore e periferico in quell’immane catastrofe che fu la seconda guerra mondiale.
A dispetto della risonanza mediatica che viene data alle foibe e alle vicende del confine orientale, si trattò di un episodio minore e periferico in quell’immane catastrofe che fu la seconda guerra mondiale.
L’attribuzione
a sé da parte italiana di questo materiale iconografico potrebbe
semplicemente mascherare la consapevolezza di non averne o di averne
pochissimo e di volersi opportunisticamente appropriare di quello
dell’avversario per colmare le proprie lacune, in un’epoca come quella
odierna in cui le immagini contano di più dei concetti.
L’idea
che alla base di questi errori vi sia un opportunismo di questo tipo
viene in qualche modo confermata anche dall’analisi di chi sono gli
autori. Se nel caso di singoli utenti di Facebook o di blogger che
arricchiscono con immagini i propri commenti, l’errore in buona fede può
sicuramente starci; nel caso di giornalisti, di grafici o di impiegati
comunali che cercano materiale fotografico per la Giornata del ricordo
l’errore mi sembra possibile, ma abbastanza più grave. Del tutto
ingiustificabile invece risulta un’attribuzione sbagliata quando si
tratta di media a diffusione nazionale e di opinion maker come Bruno
Vespa, oppure di istituzioni pubbliche nazionali, come nel caso del sito
del Ministero degli interni denunciato da Mlinar. Un ultimo caso in
questo senso è stata la foto allegata ai tweet per il 10 febbraio di
quest’anno della Camera dei deputati…
…e del presidente della Camera Laura Boldrini:
L’originale
di questa foto si trova alla Sezione storia della Biblioteca Nazionale e
degli studi di Trieste (Narodna in študijska knjižnica – Odsek za
zgodovino). A quanto ne so è stata pubblicata solo una volta, nel libro
di Jože Pirjevec Foibe. Una storia d’Italia (Einaudi 2009). La foto completa è questa:
Si noti la didascalia presente sotto la foto.
Non
appena alcuni utenti segnalano via tweet la falsificazione, lo staff
comunicazione di @montecitorio e @lauraboldrini si affretta a rimuovere
la foto da twitter scusandosi per l’errore ma, considerando che
quell’immagine è stata pubblicata solo ed esclusivamente con una
didascalia che ne spiega con chiarezza il contesto, è difficile pensare
che il suo utilizzo per raffigurare le foibe sia dovuto soltanto a
un’ingenuità. Ciò che inquieta è che siano le stesse istituzioni dello
Stato a prestarsi a questo gioco, ma dal momento che la Giornata del
ricordo è diventata uno dei pilastri della creazione di una mitologia
collettiva nazionale italiana e della memoria condivisa, non stupisce
che il travisamento della realtà storica e delle immagini venga portato
avanti anche ad alto livello politico.
Il
materiale fotografico è documentazione storica. Dovrebbe essere
utilizzato come tale, con rigore e consentendo a chi lo guarda di avere
tutte le informazioni che gli permettano di utilizzarlo al meglio: che
cosa mostra la foto, dove è stata scattata, quando, da chi, dov’è
conservata. Dovrebbe essere uno strumento per capire meglio gli
avvenimenti storici, per poter comprendere gli eventi non solo
attraverso la lettura, il racconto e la riflessione, ma anche attraverso
la vista. L’utilizzo che invece si è fatto del materiale fotografico
che abbiamo preso in esame è l’opposto di questo. Le immagini sono state
utilizzate (e manipolate) per colpire le emozioni e non la ragione,
sono state usate come santini della vittima di turno, come oggetti
devozionali, reliquie con le quali esprimere e consolidare la propria
fede, sono state manipolate per dimostrare l’esatto opposto di ciò che
rappresentano. E, come buona parte delle reliquie, si sono dimostrate
false.
A
noi il compito di resistere, continuando a segnalare le manipolazioni
della storia e a contrastare l’omologazione e il pensiero unico.
Piero Purini (Trieste,
1968) si è laureato in storia contemporanea all’Università di Trieste
sotto la guida del prof. Jože Pirjevec. Ha poi frequentato corsi di
perfezionamento post laurea presso l’Università di Lubiana e quindi ha
conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Klagenfurt
sotto la guida del prof. Karl Stuhlpfarrer. Si occupa principalmente di
movimenti migratori, di spostamenti di popolazione e di questioni legate
all’identità e all’appartenenza nazionale: il fatto di aver studiato in
Italia, Slovenia ed Austria gli ha permesso di analizzare la storia di
una regione etnicamente complessa come la Venezia Giulia in una
prospettiva più internazionale ed europea. È autore dei libri Trieste 1954-1963. Dal Governo Militare Alleato alla Regione Friuli-Venezia Giulia (Trieste, Circolo per gli studi sociali Virgil Šček – Krožek za družbena vprašanja Virgil Šček, 1995) e Metamorfosi etniche.
I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2010; nuova edizione: 2014). Per Giap ha scritto il saggio Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli «italiani brava gente» e le vere larghe intese (febbraio 2014). Affianca all’attività di storico anche quella di musicista.
I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2010; nuova edizione: 2014). Per Giap ha scritto il saggio Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli «italiani brava gente» e le vere larghe intese (febbraio 2014). Affianca all’attività di storico anche quella di musicista.
Nicoletta Bourbaki è
l’eteronimo usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le
manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una
discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.
(*) il testo è ripreso da https://www.wumingfoundation.com/giap
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per
«scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un
evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna
deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono
essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi.
Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte
post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno.
Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro
“collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”?
Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato
esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà,
correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa
… o anche solo ci leggerà.
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