Anche gli altri numeri della società sono in calo rispetto al 2014. E intanto Cdp, controllata da Tesoro e Fondazioni bancarie, è in procinto di entrare nella compagine del fondo Atlante, il fondo che sosterra gli aumenti di capitale richiesti dalla Bce agli istituti italiani.
In attesa di partecipare all’impresa di Atlante a sostegno delle banche italiane, Cassa Depositi e Prestiti chiude il 2015 in rosso per 900 milioni. Il dato è ancora più significativo se confrontato con il risultato del 2014, quando il gruppo era riuscito a realizzare profitti per 2,7 miliardi. La società che gestisce 252 miliardi di risparmi postali degli italiani precisa in una nota che la perdita è “riconducibile al risultato d’esercizio di Eni”. Tuttavia gli altri numeri del gruppo non consolano: nel 2015 scendono il patrimonio netto (-4% a 33,6 miliardi) e l’attivo (-1%% a 398 miliardi) con un margine di interesse in calo del 40% a causa dei tassi bassi. Cala anche la liquidità (-6% rispetto ad un anno prima). Segno, insomma, che la Cassa piange. Un tema di cui probabilmente si discuterà nell’assemblea degli azionisti convocata il 25 maggio (il 7 giugno in seconda) per approvare i conti dello scorso esercizio.“Il risultato netto di gruppo è negativo per circa 900 milioni di euro per effetto della perdita di circa 8,8 miliardi di euro conseguita nell’esercizio 2015 da Eni, di cui Cdp possiede il 25,76%”, prosegue la nota, in cui si evidenza che la Cassa conferma il proprio ruolo “a sostegno dello sviluppo del Paese fornendo credito e capitale di rischio al sistema (…) mobilitando 87 miliardi”. Quello che la nota non dice è che però il management di Cdp fa affidamento proprio sui dividendi delle partecipate per far quadrare i conti anche in futuro. Se, infatti, nel 2016 le quotazioni del greggio non dovessero migliorare, nelle casse della Cdp potrebbero mancare all’appello almeno 150 milioni di cedole provenienti proprio dal cane a sei zampe. Denaro che, nel piano industriale al 2018 firmato da Claudio Costamagna e Fabio Gallia, dovrebbe contribuire a creare un utile 2016 da 933 milioni grazie a 1,4 miliardi di dividendi provenienti da Eni, Terna, Snam e Fincantieri.
La situazione in casa Cdp è insomma assai delicata. Tanto più che il gruppo, controllato da Tesoro (80%) e Fondazioni bancarie (18,4%) è in procinto di entrare nel club degli investitori del fondo Atlante, creato per mettere in sicurezza il sistema creditizio italiano e sostenere gli aumenti di capitale chiesti dalla Bce.
Del resto il governo Renzi ha bisogno di ogni mezzo per contrastare una crisi finanziaria senza precedenti. E la Cdp è il suo strumento principe sulla falsariga di quanto accade nel resto d’Europa. Non a caso il governo starebbe anche studiando la possibilità di cedere un pacchetto di azioni Poste proprio alla Cassa Depositi e Prestiti. L’operazione non è stata però accolta con favore dagli operatori di mercato. Secondo quanto riferisce l’Adnkronos, fra gli analisti ci sono “forti perplessità”: “Sarebbe solo un’operazione per fare cassa”, spiegano alcuni esperti interpellati dall’agenzia. Per gli investitori internazionali, meglio sarebbe una seconda tranche di titoli Poste che, svendendo il gestore dei risparmi degli italiani, porti nelle casse dello Stato pochi soldi che non risolveranno certo l’enorme problema del debito pubblico.
Nessun commento:
Posta un commento