sabato 30 aprile 2016

Giulio Regeni: cosa racconta il corpo del ricercatore ucciso al Cairo nella perizia del medico italiano.

Il regime di al-Sisi sulla verità tace. Ma il corpo di Giulio Regeni ha parlato, e ciò che ha detto è un atto d’accusa oggettivo che nessun tentativo di insabbiamento o di mediazione potrà affievolire o smentire.



Duecentocinquanta pagine di dati contro una dozzina di cartelle di constatazioni generiche nemmeno tradotte in inglese o italiano, tanto pesa la perizia medico legale svolta a Roma dal professor Vittorio Fineschi rispetto a quella fatta al Cairo. Con la conferma che Giulio è stato torturato “professionalmente” per cinque o sei giorni, contro una relazione che non trae alcuna conclusione e non nomina mai la parola “tortura” per lasciare volutamente aperto un ventaglio di ipotesi: esattamente quelle su cui si è via via esercitato il regime egiziano nel tentativo maldestro di sottrarsi alle proprie responsabilità, dall’incidente stradale fino al pestaggio.

Tanto per cominciare, non è vero che il corpo di Giulio Regeni sia stato lavato prima di essere abbandonato il 3 febbraio di fianco all’autostrada che dal Cairo porta ad Alessandria. E’ vero invece che quando a Roma è stata aperta la bara, quel corpo era nudo, i vestiti spariti e le orecchie del ragazzo erano state recise dall’anatomo patologo cairota durante l’autopsia (in Italia non è possibile perché configurerebbe un reato penale) e ne erano state asportate parti significative. Verosimilmente, tutte quelle che mostravano dei segni evidenti di bruciature: procedura tipica di uno dei vari stadi di tortura, rilevata persino in uno studio egiziano apparso sul Journal of Forensic Pathology, come atto d’accusa contro i metodi feroci praticati dai servizi segreti ai tempi di Mubarak.
Esami strumentali sofisticati (Tac e risonanze magnetiche) hanno dimostrato come per tutti i giorni in cui Giulio è stato nelle mani dei suoi aguzzini nessuna lesione esterna o interna (soprattutto interna) sia stata letale, fino alla torsione del collo che lo ha ucciso.
Questo ha una spiegazione: chi interrogava il ragazzo ha cercato di fiaccarne le resistenze, per costringerlo a rivelare qualcosa che non sapeva ma senza mai renderlo completamente incosciente. Però la progressione delle torture ha anche evidenziato che deve essere arrivato un momento in cui è stato chiaro ai suoi aguzzini che il punto di non ritorno era stato superato, e dal luogo in cui era recluso Giulio non avrebbe mai potuto uscire vivo. Un'agonia documentata e terribile, di fronte alla quale i componenti della delegazione egiziana inviata a Roma per “collaborare” alle indagini (a cui sono state mostrate foto e dettagli di tutti i risultati dell’autopsia) non hanno battuto ciglio.
La dinamica e la progressione delle torture – su cui l’anatomo patologo egiziano in parte ha glissato ma che per gran parte non ha visto, non avendo utilizzato la strumentazione sofisticata servita a Roma – combacia al 70/80 per cento con la descrizione fatta pervenire da un anonimo a Repubblica.
Anche se si tratta di una pratica quasi codificata, quindi facilmente immaginabile. Come ad esempio l’allagamento della cella in cui viene tenuto il prigioniero tra un interrogatorio e l’altro, per poi immettere nell’acqua scariche di corrente a bassa intensità per impedirigli di riposare e recuperare energie. Ma si tratta di un metodo che non lascia tracce riscontrabili sul corpo, al contrario delle bruciature sui padiglioni auricolari (per questo parzialmente asportati, ipotizzano gli investigatori). Non sono stati invece rilevati segni apparenti di violenze sessuali, trattamento che fa parte di un’altra categoria di torture riservate soprattutto ai prigionieri politici.
Dunque, ciò che il corpo di Giulio Regeni ci ha lasciato è un circostanziato atto d’accusa di fronte al quale il regime di al-Sisi non potrà sottrarsi rilanciando ogni giorno voci e controaccuse, corrette, smentite o ritrattate il giorno successivo. Ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “Se qualcuno immaginava che il trascorrere del tempo avrebbe un po’ diminuito l'attenzione dell'Italia e un po' costretto tutti a rassegnarci a un ritorno alla normalità delle relazioni, per noi il ritorno alla normalità delle relazioni dipende da una collaborazione seria”. E meno che seria è stata ieri l’uscita del vice presidente del Parlamento egiziano, Soliman Wahdan che ha nuovamente insinuato che Giulio Regeni fosse “forse” una spia. Non lo era, e forse proprio per questo è stato barbaramente torturato e ucciso.

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