“Un mondo senza droghe, possiamo farcela” era il titolo della Dichiarazione Politica conclusiva approvata nel 1998 a New York dalla Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ( Ungass, United Nation General Assembly Special Session) che fissò l’obiettivo di “eliminare o ridurre significativamente” le coltivazioni di oppio, coca e cannabis in dieci anni.
Vittorio Agnoletto Medico, professore presso l'Università degli Studi di Milano
Nel 2009 l’obiettivo fu confermato, pur posticipando al
2019 la data entro la quale tali risultati avrebbero dovuto essere
raggiunti. Sono stati anni profondamente segnati dalla “guerra alla
droga” che hanno avuto come elemento eclatante l’obiettivo di
distruggere, attraverso interventi armati e attraverso le famose fumigazioni per via aerea, le coltivazioni di sostanze illegali.
Il simbolo di questa stagione è stato il famoso “Plan Colombia” con tutte le conseguenti tragedie che si sono abbattute su migliaia di contadini. Ma tali strategie hanno drammaticamente fallito gli obiettivi dichiarati: il mercato nero delle droghe si è ampliato, così come si sono sempre più globalizzati il ruolo della criminalità organizzata e i fenomeni di corruzione istituzionale dipendenti da tale commercio. Di fronte a simili risultati di anno in anno il dissenso verso la “tolleranza zero” è cresciuto nella comunità scientifica internazionale e ha influenzato le scelte di vari governi.
I principali Paesi europei, con l’eccezione dell’Italia, nell’ultimo decennio hanno infatti assunto posizioni innovative
ed hanno sottoscritto dichiarazioni di supporto alle Strategie di
riduzione del Danno, pratiche che, superando posizioni ideologiche
pongono al primo posto la tutela della salute dei consumatori,
ad esempio attraverso una riduzione del numero dei decessi per overdose
e una diminuzione della trasmissione di patologie quali Hiv ed epatiti.
Proprio seguendo questa logica la Svizzera è giunta ad autorizzare trattamenti con eroina per tossicodipendenti di lunga data
e tale scelta è stata confermata con un referendum popolare che ha ben
colto l’intreccio tra tutela della salute dei consumatori, lotta al
mercato nero e aumento della sicurezza per la popolazione generale
attraverso la diminuzione dei reati. Negli stessi anni in alcuni stati USA hanno vinto i referendum sulla legalizzazione della cannabis.
Il fallimento delle politiche proibizioniste
hanno spinto i presidenti della Colombia, del Guatemala e del Messico a
chiedere e ad ottenere che la prossima assemblea generale dell’Onu,
prevista nel 2019, fosse anticipata di tre anni e si svolgesse dal 19 al
21 aprile 2016. In preparazione di Ungass 2016 centinaia di Ong, da
quelle europee ai cocaleros dell’America Latina, si sono riunite nell’International Drug Policy Consortium (Idpc), e hanno presentato una piattaforma che chiedeva: la disponibilità in tutto il mondo di medicinali essenziali per le cure palliative
e per il contenimento del dolore, farmaci spesso inutilizzati proprio
perché considerati essi stessi parenti prossimi di sostanze considerate
illegali; la fine delle violazioni dei diritti umani e
degli abusi verso le popolazioni tradizionalmente coinvolte ad esempio
nella coltivazione della foglia di coca (prodotto ben differente dalla
cocaina); la sospensione di ogni forma di criminalizzazione dei consumatori: attualmente in tutto il mondo sono migliaia le persone imprigionate per uso personale di sostanze.
I governi dovrebbero inoltre impegnarsi a chiudere i centri di detenzione e riabilitazione forzata per droga e implementare l’accesso volontario ai servizi socio-sanitari nei
quali dovrebbero essere disponibili tutti i trattamenti basati
sull’evidenza scientifica. Il sostegno alle già citate Strategie di
Riduzione del Danno è stato condiviso dalle più importanti agenzie
dell’ONU, dalla Federazione Internazionale della Croce Rossa e dalla
Mezzaluna Rossa Internazionale. L’ Unaids, l’Agenzia di Lotta all’Aids
delle Nazioni Unite, ha calcolato che per il 2015 sarebbero stati necessari 2.3 miliardi di dollari per sostenere la prevenzione da Hiv fra le persone che usano droghe, mentre erano disponibili meno di 0.2 miliardi di dollari. Il budget totale per la lotta contro la droga si aggira attorno ai 100 miliardi di dollari all’anno.
Sarebbe sufficiente una minima parte di queste risorse per
generalizzare le strategie di riduzione del danno e salvare decine di
migliaia di vite.
Il documento conclusivo della Conferenza emerso da un
lungo lavorio della diplomazia mondiale è stato votato all’apertura
della tre giorni di discussione, con una prassi inaccettabile
ma tipica degli incontri intergovernativi. Il documento non contiene
grandi novità e nella forma si inserisce nel solco di quelli approvati
nelle scorse edizioni: ad esempio non chiede esplicitamente l’abolizione
della pena di morte per i reati di droga, né contiene un riconoscimento
della Riduzione del Danno. Ciononostante, diversi governi nei loro
interventi hanno criticato la mediazione raggiunta, hanno chiesto una modifica sostanziale della prassi proibizionista e forme di regolamentazione del mercato della cannabis.
Nelle raccomandazioni pratiche, allegate al documento
finale, si allude, seppure ancora molto timidamente, ai diritti dei
consumatori e si comicia a prendere atto che oltre alle sostanze ci sono
le persone con le loro vite, le loro scelte e i loro diritti. Molti
osservatori, comprese le Ong, pur non condividendo il documento
approvato, sostengono che tra le rappresentanze istituzionali globali si
è preso atto che il tempo del semplice e duro proibizionismo si è chiuso con un fallimento.
È iniziata una pausa di riflessione che, nella speranza di tante Ong e
di non pochi governi, dovrebbe condurre ad un vera e propria inversione
di marcia nel 2019 quando si svolgerà la prossima sessione generale di
Ungass. Raramente, come in questo caso, la sorte di migliaia di vite umane dipende dal tempo che occorrerà alla comunità internazionale per avere il coraggio di compiere nuove scelte.
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