Nel testo definitivo è saltata l'obbligatorietà della clausola sociale, che impegna l'impresa subentrante a mantenere gli addetti al loro posto. Troppo debole, secondo le sigle sindacali, anche la stretta sui subappalti, che pure è stata fortemente caldeggiata da Raffaele Cantone.
“Da parte del governo nessuna attenzione nei confronti dei lavoratori”. Addetti alle pulizie, operatori di call center, dipendenti delle mense: i sindacati sono sul piede di guerra dopo la pubblicazione del Codice appalti in gazzetta ufficiale. Nel testo definitivo è saltata l’obbligatorietà della clausola sociale, cioè la tutela del posto di lavoro dei dipendenti nel passaggio dell’appalto da un’impresa all’altra. Troppo debole, secondo le sigle sindacali, anche la stretta sui subappalti, che pure è stata fortemente caldeggiata da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Al quadro si aggiunge un altro ritocco in zona Cesarini con la marcia indietro del governo sul tema della trasparenza: resta la procedura negoziata senza bando nelle gare con importi al di sotto di un milione di euro, mentre nella bozza precedente si voleva abbassare la soglia a 500mila euro.“Una vera sorpresa in negativo – commenta Luigi Sbarra, segretario confederale Cisl – che dimostra purtroppo come questo esecutivo non abbia alcuna attenzione per i lavoratori”. L’inserimento di clausole sociali nei bandi di gara, dunque, sarà solo facoltativo.
Nella bozza di Codice appalti entrata in Consiglio dei ministri la scorsa settimana, invece, si stabiliva che per “gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto (…) i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali”. Nella versione definitiva del testo, il verbo “inseriscono” ha fatto posto a un più blando “possono inserire“. La clausola sociale dovrebbe garantire che, al cambio di titolare dell’appalto, i lavoratori dell’impresa uscente siano assorbiti dalla subentrante. Secondo la Uil, questa norma “riaprirà la strada alle gare al massimo ribasso“. Soprattutto nel settore dei call center, che conta 80mila addetti in Italia, sindacati e imprese lamentano da tempo come chi vinca queste gare sono società che offrono importi al di sotto del costo del lavoro, con ricadute anche sulla qualità del servizio offerto.
Sulla questione è intervenuto anche Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, che aveva approvato il testo prevedendo la clausola sociale obbligatoria. Il giorno prima della pubblicazione, quando circolavano le voci sulla modifica della norma, il deputato Pd parlava già di un “fatto grave”: “Scrivere che si “possono inserire” non dà alcuna garanzia per il lavoro, la sua tutela e la sua qualità, e crea situazioni di concorrenza sleale tra imprese. Il parlamento ha delegato il governo a definire i decreti legislativi sulla base di precisi criteri: dovrebbe essere superfluo ricordare che il ruolo delle commissioni parlamentari non è quello di semplici passacarte“, conclude.
L’altro punto caldo riguarda la trasparenza. Nel testo, fa notare Franco Martini, segretario confederale Cgil, “si prevede l’obbligatorietà dell’indicazione in sede di offerta della terna dei subappaltatori solo per gli appalti sopra soglia comunitaria, quando è noto a tutti che l’80% dei contratti riguarda appalti al di sotto del milione di euro”. E questa circostanza, come sottolinea Tiziana Bocchi, segretaria confederale Uil, “lascia ampia discrezionalità incontrollata degli affidamenti”. Non a caso, anche Raffaele Cantone aveva sottolineato l’importanza di una stretta sui subappalti, pur non entrando nel merito delle soglie. Ascoltato in audizione dalla commissione Ambiente, il magistrato aveva puntato il dito contro “il sistema del subappalto, un altro degli strumenti che viene utilizzato nella contrattazione corruttiva per assicurare qualcosa”. E in merito all’obbligo di indicare la terna di subappaltatori, aveva spiegato: “Può essere un limite ma può avere una funzione di moralizzazione. Una terna per imprese di grosse dimensioni non credo rappresenti una impossibilità, imprese che operano sistematicamente in certe zone sanno chi sono gli imprenditori di riferimento e forse indicarli prima può forse evitare il rischio di accordi collusivi dopo, e anche il rischio di imporre all’impresa l’accordo collusivo”.
Infine, c’è stato un altro dietrofront dell’ultimo minuto sul piano della trasparenza. L’obbligo di procedura ordinaria scatterà a un milione di euro e non a 500mila euro, come si leggeva nella bozza entrata in Consiglio dei ministri venerdì scorso. E così, il governo dice addio alla stretta prevista in un primo momento: per gli importi fino a un milione di euro, la stazione appaltante può affidare l’intervento con una procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando. Nel dettaglio, per gli affidamenti tra i 40mila e sotto i 150mila euro con procedura negoziata, bisognerà consultare almeno cinque operatori economici. Per gli importi tra 150mila e sotto il milione (e non 500mila euro) la consultazione dovrà interessare almeno 10 operatori.
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