Il capitalismo sta distruggendo il pianeta e quindi anche noi. Perché, nonostante oggi prevalga l’antropocentrica presunzione di essere degli esseri soprannaturali, siamo noi che apparteniamo alla Terra e non viceversa.
Gianluca Ferrara Saggista e direttore editoriale di Dissensi Edizioni
Al palazzo di vetro dell’Onu, in occasione del vertice sull’ambiente di venerdì scorso circa la tutela del clima ha dichiarato: “La politica è capace di dare speranza alle nuove generazioni“. Meno di una settimana prima aveva invitato gli italiani a non andare a votare al referendum per abrogare l’estensione temporale delle trivellazioni nel mare per estrarre altro petrolio. Quel petrolio che inquina e determina cambiamenti climatici e che, se estratto dal mare, in caso d’incidente, distruggerebbe l’intero Mediterraneo. Ciò che sta succedendo in Liguria dovrebbe far riflettere.
Riflettere soprattutto coloro che non sono andati a votare al referendum (in Liguria solo il 31%) ma poi hanno organizzato marce di protesta allorquando, a Val Polcevera, si è avuto lo sversamento di migliaia di litri di greggio dall’oleodotto Iplom. Purtroppo si è capaci di essere cittadini attivi solo allorquando i problemi bussano alla porta di casa nostra.
Agli apologhi narrati nei mega vertici, il cui costo d’organizzazione potrebbe garantire la sopravvivenza a un villaggio africano per anni, c’è chi, da decenni contribuisce a un’informazione alternativa. Un’informazione libera da finanziamenti e di conseguenza non eterodiretta dai potentati economico finanziari. Mi riferisco al Centro Nuovo Modello di Sviluppo e al suo padre: Francesco Gesualdi. L’ultimo dossier tratta un argomento fondamentale che è l’impronta ecologica. Il punto di partenza da cui poi generano le molteplici conseguenze che poi si declinano in emigrazione, terrorismo e crisi economiche.
L’impronta ecologica è un indice statistico di estrema importanza creato da W. Rees e M. Wackernagel agli inizi degli anni 90 che misura quante risorse vengono consumate con la capacità del pianeta di rigenerarle. Il giorno dell’anno in cui tale limite è superato, è definito overshoot day. In un anno tagliamo più alberi di quelli che crescono, peschiamo più pesci di quelli che si riproducono e inquiniamo più velocemente di quanto la nostra biosfera sia in grado di sopportare. Nel 2015 l’overshoot day si è avuto il 13 agosto, il che significa che da questa data al 31 dicembre siamo stati in debito ecologico.
Consiglio agli insegnati e a tutti coloro che si occupano di formazione di leggere e veicolare questo breve report. E’ gratuito, basta scaricarlo al seguente link. In realtà i primi a leggerlo dovrebbero essere gli economisti, assunti a moderni indovini del potere che con le loro previsioni errate e con la loro incapacità di considerare i limiti di carico del pianeta, sono tra i principali responsabili del vigente disastro ambientale e sociale.
Dallo studio del Centro si evince che se tutti gli abitanti del mondo fossero italiani avremmo bisogno di 2,7 pianeti, se fossero statunitensi 4,8. La domanda da porsi è: come si attinge al surplus? La risposta è semplice: attraverso la colonizzazione economica e militare.
La crisi ambientale è da attribuire al vigente modello capitalista, se non si cambia paradigma e si transita in un nuovo modello che non abbia la crescita come motore, le temperature, le desertificazioni, le inondazioni e i conseguenti profughi ambientali aumenteranno sempre. Se non si avrà una conversione degli stili di vita, l’unica tetra prospettiva che mi sembra scorgere all’orizzonte è la guerra. O meglio più conflitti miranti a garantire a pochi uno stile di vita insostenibile per l’intero pianeta. Questo spiega perché tutte le voci di spesa si tagliano tranne quelle destinate agli armamenti.
La storia ci insegna che nessun potere costituito è capace di riformarsi autonomamente. Nessun potere vuole perdere il proprio privilegio. Spetta ai cittadini pretendere una conversione ecologica e sociale. Una delle frasi più celebri di Martin Luther King è: “La libertà non viene mai concessa volontariamente dall’oppressore, deve essere pretesa dagli oppressi”.
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