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“Non
rompete, siamo stufi di lui. Anzi andasse al diavolo!” dice fra una raffica
di parole e un’altra Ranja Yassen, conduttrice televisiva de “l’evento
quotidiano”, così è definito il canale dal quale lancia il suo sermone laico.
Il soggetto dello sfogo è Giulio Regeni, il fantasma che s’aggira sull’Egitto
torturatore di Al Sisi. Secondo la graffiante opinionista la vicenda
prende una piega inaudita a livello internazionale e lei sbotta: “E’ un complotto! come se Regeni fosse l’unico
omicidio del mondo”. E poi è inutile che italiani e americani si agitino visto
che nei due Paesi “le bande mafiose fanno
di tutto”. L’irritata voce televisiva cairota non tralascia quanto il
governo ha già ripetuto più volte: anche un cittadino egiziano è scomparso
mentre era in Italia, però l’Egitto non ne sta facendo un caso, accusando
poliziotti e politici di Roma. Sicuramente l’incalzante scenata davanti alle
telecamere, oltre a lanciare un provocatorio manrovescio sul desiderio italiano
di verità e giustizia per il ricercatore assassinato, sollecita la rabbia
patriottica del telespettatore di casa. Lo indottrina con la litanìa del regime
e ne distoglie l’attenzione da quel dissenso che ha ripreso ad affacciarsi in
strada.
Infatti, visto che si viene comunque
arrestati, attivisti islamici e laici, della Fratellanza e della sinistra, hanno
manifestato nell’area semiperiferica di Dokki (dove aveva vissuto anche Regeni)
e in quella centrale e borghese di Zamalek. Ieri, anniversario della
liberazione del Sinai dall’occupazione israeliana, accanto a manifestanti
vicini ai militari, si sono infilati centinaia di oppositori. Questi hanno ripetuto
le proteste, già lanciate nei giorni scorsi, contro la cessione delle isole
Tiran e Sanafir alla dinastia saudita. Assieme ad alcuni fermi di giovani,
seguiti a lanci di lacrimogeni e cariche, la polizia ha attuato un meticoloso
arresto di giornalisti, forse una trentina. Si tratta di reporter di varie testate
e nazionalità, evidentemente diversi dalla conduttrice anti Regeni. Parecchi
sono egiziani, della normalizzata Al
Ahram e del Daily News Egypt, ma
anche dell’agenzia Reuters. Alcuni
sono danesi, altri francesi, per i quali la Corte Suprema potrebbe sfoderare
accuse sull’attentato alla ‘sicurezza dello Stato’ che nel 2014 aveva coinvolto
tre giornalisti di Al Jazeera, un
australiano e due egiziani.
Sull’agenzia Reuters ricadono i maggiori addebiti per le informazioni di queste ore, ancora una volta concentrate su Regeni e giudicate anonime e prive di fondamento. Lo Stato egiziano, per tamponare i dubbi nell’opinione pubblica, ripropone lo spettro del pericolo per la nazione che sarebbe sottoposta “ad attacchi concentrici di giornalisti e comunicatori, taluni con funzione di spia”. Anche sul ricercatore friulano la rabbiosa conduttrice ha rinnovato l’insinuazione che aveva trovato eco in qualche commentatore italiano, dietrologo e non solo. Tutto ciò mentre familiari e amici della vittima hanno rigettato la diceria degli untori con dignitosa fermezza, sia a difesa della deontologia scientifica del giovane studioso, sia in base al suo credo ideale, sottolineati in un appassionato intervento materno durante la conferenza stampa tenuta presso una sala di Montecitorio. Ora la memoria di Regeni, maltrattata dagli omertosi inquirenti del Cairo che sono riusciti a irritare anche i colleghi romani, subisce l’oltraggio della speaker televisiva. Fra stridolii vocali, voci alterate, ingiurie e maledizioni. Sono i doni tele diretti ai quali un regime sfrontato non vuol rinunciare
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