Alle dichiarazioni di Piercamillo Davigo – la classe dirigente quando delinque fa più vittime di qualunque delinquente di strada – ha risposto, tra gli altri, Bruti Liberati: “Non esiste una magistratura buona contro un’Italia di cattivi”. Il tema della giustizia si fa rovente. L’argomento è antico, Platone gli dedica il primo (e buona parte del secondo) libro della “Repubblica”.
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micromega di Angelo Cannatà
Il grande ateniese può aiutarci a capire il presente? Credo proprio di sì, più di quanto si possa immaginare. Lo scontro in atto, ormai da molti anni – dicono alcuni – è tra politica e magistratura. Sembra un’ovvietà. La frase contiene, invece, un primo errore. Il magistrato che indaga e processa un politico non commette ingerenza: fa il suo mestiere. È un dato evidente, quanto l’altro: troppi politici odiano essere indagati e provano – con leggi, decreti, stroncature di carriere… – a neutralizzare/bloccare il normale corso della giustizia. Dicono: i giudici parlino con le sentenze (Renzi) ma fanno di tutto affinché non si arrivi a sentenza. Mentono.
Platone giustifica la menzogna (“la nobile menzogna”) se il governante la utilizza a fin di bene. Il bene della Polis, anzitutto: “E se a qualcuno sarà dato il diritto di mentire; questo spetta soltanto a chi ha il governo della città… quando lo esiga l’interesse dello Stato”. Prima di Machiavelli il tema del rapporto tra mezzi e fini è impostato da Platone. Dunque. Dunque, si tratterà di capire, anzitutto, se certi mezzi abbiano o meno come finalità il bene collettivo. Insomma: Renzi, quando difende i banchieri, fa l’utile dei risparmiatori? Quando difende i petrolieri, fa l’interesse della comunità e dell’ambiente?
L’impressione, in verità, è che si schieri sempre coi ceti e le classi e le persone più potenti. Domanda: il Premier considera per caso la giustizia l’utile del più forte? Il tema – ben noto a Platone – è di stretta attualità sia per la posizione lucida e coerente assunta dal presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Davigo, sia per la reazione scomposta che la politica (esclusi i 5Stelle) ha avuto alle sue parole. Molti politici si considerano intoccabili – complice certa stampa –, una vera casta attenta ai propri interessi. È la posizione del sofista nel dialogo con Socrate: dimmi, o Trasimaco, cos’è la giustizia? La giustizia è l’utile del più forte (Repubblica, I, 340 C- 341 C). Troppi fatti vanno in questa direzione: dagli interventi in favore di chi evade; alla depenalizzazione dei reati, alle norme pro impunità: col denaro e buoni avvocati si arriva alla prescrizione (appunto: l’utile del più forte).
E allora: cosa accade davvero quando un uomo integro e capace, Davigo, difende i magistrati? “Dire che devono parlare solo con le sentenze equivale a dire che devono stare zitti”. Accade che le sue parole brucino come “il fuoco della verità sulla pelle putrida della menzogna”. E allora via al contrattacco. Legnini: Davigo “alimenta un conflitto di cui il Paese non ha bisogno”. Ma quale conflitto!? I magistrati devono parlare/dire le condizioni in cui versa la giustizia, difendere la collettività dagli abusi del potere – Montesquieu: “il potere limita il potere”; il Fatto Quotidiano lo ricorda da sette anni; MicroMega da trenta; possibile che Cantone e Legnini l’abbiano dimenticato? –, non si tratta di alimentare conflitti ma d’impedire che certi politici straripino/abusino senza rispetto per il bene pubblico. Bene di tutti, anche degli ultimi. In fondo, è la vecchia questione posta da Platone. Socrate capovolge la tesi di Trasimaco: il giusto governante è chi cerca (anche) l’utile del più debole (342 C – 343 A). Ovvero, del ceto popolare, quello che Renzi deride, schierandosi, contro il sindacato, con Marchionne. Siamo in presenza del capolavoro politico della borghesia imprenditrice orientata a destra: si fa rappresentare dal leader della sinistra.
Può meravigliare, dunque, se i cittadini vedono nei magistrati, come nel ’92, la tutela del diritto e della giustizia? Si dice: è “barbarie giustizialista”. Si delegittima o si deride la magistratura (“brr che paura”). Spesso funziona. Platone racconta la tragica sorte del giusto e la fortuna dell’ingiusto (361 D – 362 D) e i motivi per cui la cultura dell’ingiustizia è dominante (365 A – 366 B). Sono pagine interessanti, vengono dal passato ma parlano di noi. Davigo, con splendido senso del proprio ruolo, ne è l’interprete migliore, smonta, oggi, i sofismi del potere: “I politici non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi.” Il malaffare è aumentato. Ergo: al magistrato il compito di perseguire i reati. Alla filosofia – direbbe Platone – quello di curare l’anima da vizi e corruzione. Insomma, l’etica pubblica. Ma questo è un altro discorso.
(24 aprile 2016)
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