Questa mattina la centralissima via dei Fori Imperiali, meta di migliaia di turisti, ha assistito ad un evento del tutto fuori programma.
Una trentina di attivisti degli spazi sociali minacciati di sgombero, si sono arrampicati sulle impalcature a ridosso della Basilica di Massenzio. Una decina sono saliti sopra con striscioni e cartelli come “Roma non si vende”, “Stronchiamo il DUP”, gli altri sono rimasti sotto a protezione degli “ arrampicati”. Il motivo è che oggi pomeriggio ci sarà la riunione del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza a Roma. Sarà soprattutto un vertice di “confronto” tra il Prefetto Gabrielli e il commissario Tronca. Tronca arriva alla riunione con una lista di 48 tra spazi sociali, associazioni etc. che secondo lui andrebbero sgomberati prima delle elezioni. Gabrielli fino ad ora è stato riluttante e talvolta contrario all’uso della forza perché preferirebbe aspettare le elezioni e l’instaurazione di una autorità politica piuttosto che procedere sul piano dell’ordine pubblico. La protesta ha prodotto un primo risultato. Per domani pomeriggio è previsto un incontro tra una delegazione degli spazi sociali sotto sgombero con il Prefetto Gabrielli e il capo di gabinetto. Resta da verificare l’esito del vertice di oggi pomeriggio tra il prefetto Gabrielli e il commissario Tronca, mentre in molti territori continuano ad arrivare le lettere che chiedono di sgomberare i locali e richiedono cifre esose per il passato e il presente. In alcuni casi sono arrivati i sigilli e i vigili urbani a dare seguito ai diktat del commissario Tronca e del suo DUP. Il 19 marzo scorso, una enorme manifestazione aveva mandato chiaro e forte un segnale di resistenza agli sgomberi. La mobilitazione era poi proseguita con una giornata coordinata di azione sui territori sabato scorso 9 aprile. Il braccio di ferro sugli spazi sociali a Roma non si è affatto concluso.
Egregio Prefetto Gabrielli,
siamo la Roma solidale. Siamo le
realtà associative, gli spazi sociali che si fanno carico, in questa
città, della produzione culturale indipendente, della garanzia di tanti
servizi essenziali di cui il pubblico non riesce a farsi carico,
dell’organizzazione delle esperienze di solidarietà e di mutualismo che
sole offrono un’alternativa concreta e tangibile alla precarietà, alla
marginalità, all’abbandono delle periferie, alla guerra tra poveri, alla
solitudine di troppi abitanti di questa città.
Come Lei certamente saprà, da molti
mesi gli uffici amministrativi di Roma Capitale hanno recapitato alle
nostre associazioni e ai nostri spazi una serie di Determinazioni
dirigenziali nelle quali ci viene intimato il rilascio dei luoghi nei
quali (in alcuni casi da decenni) svolgiamo le nostre attività, e ci
viene annunciato il loro reintegro in possesso da parte
dell’amministrazione comunale. Tali atti si riferiscono a quell’insieme
di realtà – diverse centinaia – che, da tempo, avevano trovato un
riconoscimento da parte dell’Amministrazione comunale attraverso
l’applicazione – benché parziale – della delibera 26 del 1995.
Per questa ragione, con lo slogan
“Roma non si vende”, una coalizione eterogenea di realtà territoriali e
associative, lo scorso 19 marzo, ha convocato una manifestazione alla
quale hanno partecipato più di 20mila cittadine e cittadini, con la
richiesta, tra le altre, di una moratoria “giubilare” contro
l’esecuzione di questo piano cieco ed efferato di sgomberi, e
dell’apertura di un’interlocuzione capace di trovare una soluzione –
seppur transitoria – che preservi la continuità di tutte le esperienze
caratterizzate da un alto ed imprescindibile valore sociale per la
città. Contemporaneamente, abbiamo avviato tra i cittadini e gli
abitanti di Roma una consultazione democratica, “dal basso”, per
scrivere una Carta di Roma Comune, una Carta che disegni nuovi principi e
nuovi criteri per una gestione partecipata del patrimonio pubblico. Una
Carta che vuole essere la base per un confronto con la futura Giunta
per una soluzione deliberativa. La scrittura collettiva di questa Carta è
il nostro modo per segnalare la disponibilità al confronto e
all’individuazione di un nuovo dispositivo di riconoscimento giuridico
di queste realtà, ma anche il modo per evidenziare l’ancoraggio ad
alcuni principi conformi alla nostra Carta costituzionale, come quello
del rispetto dell’autonomia e del valore sociale di queste esperienze,
più in generale, della valorizzazione del pluralismo sociale e dei
“corpi intermedi”. Principi ai quali non siamo disposti in alcun modo a
rinunciare.
Pratichiamo
un uso comune del patrimonio pubblico, un uso del patrimonio sottoposto
alla decisione e alla partecipazione democratica e non a presunti
criteri “neutrali” e stabiliti “dall’alto”. Crediamo fermamente nella
possibilità di un “altro modo di possedere”, un modo di possedere non
fondato sulla proprietà ma sull’uso civico, per citare l’eminente
giurista e storico del diritto Paolo Grossi, attuale Presidente della
Corte Costituzionale, così come sappiamo che la nostra Costituzione
afferma la funzione sociale della proprietà privata.
Nelle scorse settimane, siamo
riusciti ad ottenere un tavolo di interlocuzione con alcuni esponenti
dell’Amministrazione commissariale di questa città, in particolare con
il Sub-Commissario al Demanio e al Patrimonio, dott. Bruno Spadoni.
Nonostante la nostra richiesta di tregua rispetto agli sgomberi, tale
interlocuzione, per esplicita volontà dell’Amministrazione, si è
tuttavia limitata ad un approfondimento degli aspetti
“tecnico-giuridici” della vicenda. Un confronto a nostro avviso utile, e
speriamo proficuo, ma che finora non ha preso in considerazione misure
atte a stabilire concretamente una sospensione delle azioni di forza,
affidate in prima istanza alla Polizia di Roma Capitale.
Eravamo abituati a considerare i
tavoli di confronto come la ricerca di una soluzione alternativa all’uso
della forza. In questo caso, il mondo è alla rovescia: ci viene
manifestata la disponibilità a trovare una soluzione “tecnica” ma nel
frattempo l’Amministrazione non si ferma rispetto agli “ultimatum” e
agli “sgomberi”. Un confronto, dunque, paradossale, perché privato ab
origine di quel tenore politico che non può non presiedere all’azione di
governo di una città come Roma. Un confronto, insomma, incapace di
affrontare il tema per le sue connotazioni propriamente sociali, ma solo
come un problema di mera contabilità e di ordine pubblico.
Ci
rivolgiamo dunque a Lei quale garante dell’ordine pubblico, ma anche,
nel vuoto della politica, quale rappresentate delle istituzioni, per
chiederle una risposta e l’apertura di un’interlocuzione che riguardi
l’insieme delle realtà coinvolte da questa situazione a dir poco
emergenziale.
Per questo oggi, mentre nella sede
della Prefettura si riunisce un tavolo ad hoc sulla questione sgomberi,
siamo saliti sulle impalcature della Basilica di Massenzio, all’interno
dei Fori Imperiali, in questo luogo sublime della città, dare visibilità
alla nostra protesta e per comunicare con Lei, con l’Amministrazione
capitolina e con la cittadinanza tutta. Perché gli spazi sociali sono
una ricchezza di questa città, e vogliono continuare a esistere e a
lottare per il cambiamento.
Roma Non Si Vende
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