giovedì 14 aprile 2016

"Prevedere l'imprevedibile".


CASALEGGIOSe in quei giorni della primavera del 2013 il Movimento 5 Stelle, risultato primo partito italiano alle elezioni politiche, avesse detto sì a Pierluigi Bersani, vincitore nelle urne ma solo per qualche migliaio di voti, avremmo la stessa Italia di oggi? Forse sì, forse no. Con Bersani premier non ci sarebbe stato probabilmente un secondo mandato di Napolitano, e nemmeno forse Mattarella sarebbe oggi al Quirinale. Non ci sarebbe stato un governo Letta, né un governo Renzi - o forse no, entrambi avrebbero avuto ugualmente quel ruolo, ma con percorsi e tempi diversi. E il Pd forse si sarebbe lacerato, o sarebbe rimasto inchiodato, in un'alleanza come quella con i Cinque Stelle, "spuria" rispetto alla sua storia. E il "cambiamento" renziano sarebbe forse arrivato per questa strada invece che quella delle primarie. Di certo Berlusconi e la destra sarebbero andati in minoranza, nessun Nazareno all'orizzonte; ma forse no, forse alla fine, in un eventuale collasso del premier Bersani, il cavaliere avrebbe ritrovato la sua fortuna politica. Se.
E anche se la storia non si fa con i se, il domandarsi oggi cosa poteva essere, è in fondo il modo migliore per capire quanto l'ingresso del Movimento 5 Stelle sulla scena politica sia stato per l'Italia un cambiamento in ogni caso decisivo. Oggi che il loro fondatore è morto, il futuro del M5S avrà, nel bene e nel male, un identico impatto, ancora una volta.

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Casaleggio parlava appoggiato allo spigolo della finestra. Fuori un cortile, delle colonne, un universo ordinato, nelle stanze intorno un'attività intensa ma silenziosa. La "tana" di questo misterioso leader era in realtà un semplice, funzionale interno di azienda milanese. Eccetto per la raccolta di copertine di Tex Willer alle pareti della stanza del Capo, "ma non sono riproduzioni sono state tutte dipinte sul modello originale", spiegava con cenni di contentezza.
Casaleggio parlava, come si fa in attesa di un'intervista che gli avrei fatto, un po' per cortesia, guardando fuori. Voce quieta, frasi staccate. Parlava del futuro. E dei media. Non prediche, nessun comizio, e lo sguardo sempre laterale. Del futuro gli interessava soprattutto "quello che adesso non riusciamo a prevedere", le invenzioni, l'impatto sulle scelte. Parlava di America. Era curioso della Rai e dei giornali. Ma così, in maniera cortese, distaccata. Giusto per riempire il tempo che precede, quale era il caso, una intervista. Difficilissimo immaginarlo in altri panni che non fossero quelli di un signore colto, e piuttosto riservato. Una immagine del tutto opposta a quella con cui negli ultimi anni era stato presentato - un guru, un manipolatore, un minaccioso tiranno, o soltanto un ridicolo ciarlatano - e che veniva brandita in una delle più virulente battaglie politiche degli ultimi anni.
Nell'ora della sua morte, l'establishment del paese ha immediatamente dismesso queste accuse, e lo saluta con "rispetto" come si deve agli avversari. Ma la quasi isteria che ha circondato la sua figura da vivo non va dimenticata, perché è il metro di misura della forza e della diversità di un fenomeno politico che si è affermato quasi malgrado sé stesso.
Le elezioni del 2013, che oggi ricordiamo come "particolari" per molti motivi, portarono in Parlamento un nuovo primo partito, che nessuno aveva visto arrivare. Una scossa che da sola bastava al tran tran istituzionale. Cui si aggiunsero le caratteristiche dei nuovi eletti, un gruppo di deputati e senatori variegati, indefinibili, e sicuramente molto intensi. Al loro arrivo furono oggetto della enorme curiosità con cui si accolgono i diversi: i loro zainetti, gli abiti non sartoriali, le teste non ripassate dal parrucchiere, le gaffe davanti ai tornelli e i disorientamenti nelle stanze parlamentari. Facevano infinite assemblee a porte chiuse, rispondevano con brevi comizietti a ogni domanda, sfuggivano le telecamere e i media, e, soprattutto, inveivano contro tutto e tutti. Erano in sostanza, un gruppo di persone ingenue, ben intenzionate e ostinate, ma fuori dagli schemi comodi della "politologia": niente partito, solo Rete; niente voto ma consultazioni dei cittadini; nessun privilegio, ma anzi restituzione delle indennità parlamentari; e soprattutto nessun patto in quanto nessuna integrazione con il potere, fosse esso di destra o di sinistra, perché tutto inquinato. Insomma, un branco non assimilabile: li si derideva molto, li si sminuiva molto. La singolarità della coppia di leader, un vocalissimo attore Grillo e un silente uomo del web, fece il resto. Un movimento alieno era atterrato in Parlamento. Ma dietro gli attacchi e le ironie, c'era soprattutto paura di questa diversità. Il cui impatto si misurò da subito.
Dal rifiuto in poi di appoggiare Bersani premier, il Movimento 5 stelle, piaccia o meno, ha cambiato corso alla storia italiana. Ne ha cambiato la vicenda umana, ma anche il discorso pubblico. Sdoganando la Rete come luogo, affossando il Partito come istituzione, legittimando l'attacco alla ricchezza (altrui) come rivolta antipolitica, rompendo i limiti del linguaggio ufficiale, e diventando, al contempo, la prima ragione di una santa alleanza contro l'Antipolitica su cui si è poi ricostruito un percorso di riaffermazione delle attuali istituzioni.
Non che i Pentastellati abbiano davvero saputo o capito la loro stessa importanza. Negli anni da quel 2013 la loro presenza soggettiva nelle istituzioni è apparsa alternativamente iperpolitica e impolitica, machiavellica a volte, ingenua o brutale altra. A contatto con compiti infinitamente più grandi della loro stessa anticipazione, spesso il movimento si è involuto, o spaccato, o diviso, in fenomeni di autocannibalizzazione come non si vedevano da anni. In una specie di giostra continua, in cui comunque la sua forza ha continuato a crescere, mantenendolo in una zona di rilevanza politica in i suoi stessi dirigenti hanno spesso dato l'impressione di stentare a credere.
Stentare a credere. Loro forse. Non Gianroberto Casaleggio, uno dei due padri fondatori di M5S, che sapeva fin dall'inizio che potevano aspirare a governare il paese, e sapeva anche che, come disse in una intervista quello stesso anno, "in futuro il movimento farà a meno di me e di Grillo".
Quel momento è arrivato. Proprio mentre il M5s può portare a casa le sue prime vittorie sensazionali in alcune città d'Italia, e può immaginare di poter davvero battere alle politiche il Premier Renzi, Casaleggio ha perso la sua battaglia con la malattia. E il movimento si trova oggi di fronte al momento più difficile della sua vita: diventare adulto di colpo, senza più rete di salvezza, o piani di atterraggio. Con di fronte due strade: quella del consolidamento (cedendo a un certo conformismo di sistema) o della esplosione della diversità di tutte le sue anime. Un eventuale collasso potrebbe ridefinire differentemente la dinamica destra/sinistra/ centro, così come il suo diventare più partito potrebbe costruire la strada verso il governo. In ogni caso, così come per il loro arrivo, anche l'attraversamento di questo guado ridefinirà l'intero quadro politico.

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