venerdì 18 marzo 2016

Washington Post al Congresso Usa: l’Egitto pratica la tortura

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“Non ricompensate l’Egitto perché tortura gli innocenti” titola lo  statunitense The Washington Post. Nell’odierno editoriale la testata lancia un appello innanzitutto a Casa Bianca e Congresso americano che, nonostante tutto ciò che accade nella grande nazione araba, pensano tuttora di dotarlo di armi. E’ previsto un finanziamento di un miliardo di dollari per incrementarne gli arsenali dell’alleato nella sua presunta lotta al terrorismo. E il Congresso sembra non voler tener conto della clausola che ridurrebbe del 15% quell’importo in caso di mancato rispetto dei diritti umani. Diversamente dall’Unione Europea che, il 10 marzo scorso col voto del proprio Parlamento, ha deciso uno stop a questo genere di finanziamenti per il clima illegale riscontrato in quel Paese. Parlare di diritti umani nell’Egitto di Sisi è diventato tabù. I dati, riportati dallo stesso Washington Post, e raccolti dal Centro El Nadeem parlano chiaro: nel 2015 464 persone sono state prelevate dalle Forze di sicurezza e sono sparite, 500 risultano uccise, 676 sono stati i casi di tortura. Diffuse le cifre, nel mese di febbraio l’Ong egiziana è stata dichiarata fuorilegge dal regime ed è stata chiusa per ragioni di “sicurezza dello Stato”.
Operava dai tempi di Mubarak, aveva denunciato i misfatti del raìs ed era sopravvissuta alle sue ire. Quelle dell’attuale presidente risultano ben più taglienti. Ma gli stessi dati dei ‘desaparecidos’ d’Egitto lo sono: altre Ong mostrano numeri più allarmanti che calcolano di media quattro sparizioni al giorno. Il quotidiano statunitense chiama in causa la vicenda dell’omicidio di Giulio Regeni e la campagna per la verità sulla sua morte lanciata da Amnesty International. Lo considera un caso eclatante, poiché colpisce un cittadino straniero presente al Cairo con funzione di studioso.  Se si giunge a rapire, torturare, assassinare anche queste figure tutto diventa insostenibile, visti l’azzeramento delle più elementari libertà d’espressione e la persecuzione degli oppositori. Nonostante il faccione bonario del generale-presidente, l’alleato risulta impresentabile a ogni tavolo. Imbarazzato anche il Segretario di Stato Kerry che per due anni s’è speso, in casa e fuori, nel dipingere Sisi come un costruttore di democrazia. Oltreoceano s’accorgono che questa favola non regge e, dopo aver scommesso su un governo della Fratellanza e averne sopportato  l’abbattimento manu militari, constatano le difficoltà crescenti create dall’uomo forte inadatto a trattare molte questioni.
Sul fronte sociale diverse categorie sono in agitazione e, nonostante la spietata repressione, provano a organizzarsi soprattutto nell’area produttiva del Delta del Nilo. Egualmente fra i professionisti, i medici sono l’ultimo caso, ribellatisi nelle scorse settimane a diktat e violenze poliziesche. In azione alcuni sindacati autonomi che Regeni aveva incontrato tramite contatti con certi attivisti, nonostante parecchi luoghi e persone siano controllati dal regime che utilizza infiltrati. Un ulteriore controllo sono i servigi resi da soggetti ambigui, come quel Mohamed Abdallah che ha rappresentanza e occhi sui venditori ambulanti e che è stato in contatto con lo studioso friulano prima della sua sparizione e morte. I think thank statunitensi vengono allo scoperto per sentenziare che Sisi risulta poco efficace anche nella lotta al jihadismo interno e la sua repressione sembra aver incrementato un reclutamento verso la lotta armata. Eppure l’uomo forte prosegue, sta facendo preparare dai magistrati un maxi processo contro 37 gruppi della società civile tutti accusati di complotto contro lo Stato.

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