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“Non ricompensate l’Egitto perché tortura gli innocenti” titola lo statunitense The Washington Post. Nell’odierno editoriale la testata lancia un appello
innanzitutto a Casa Bianca e Congresso americano che, nonostante tutto ciò che
accade nella grande nazione araba, pensano tuttora di dotarlo di armi. E’
previsto un finanziamento di un miliardo di dollari per incrementarne gli
arsenali dell’alleato nella sua presunta lotta al terrorismo. E il Congresso
sembra non voler tener conto della clausola che ridurrebbe del 15%
quell’importo in caso di mancato rispetto dei diritti umani. Diversamente
dall’Unione Europea che, il 10 marzo scorso col voto del proprio Parlamento, ha
deciso uno stop a questo genere di finanziamenti per il clima illegale
riscontrato in quel Paese. Parlare di diritti umani nell’Egitto di Sisi è
diventato tabù. I dati, riportati dallo stesso Washington Post, e raccolti dal Centro
El Nadeem parlano chiaro: nel 2015 464 persone sono state prelevate dalle Forze
di sicurezza e sono sparite, 500 risultano uccise, 676 sono stati i casi di
tortura. Diffuse le cifre, nel mese di febbraio l’Ong egiziana è stata
dichiarata fuorilegge dal regime ed è stata chiusa per ragioni di “sicurezza
dello Stato”.
Operava
dai tempi di Mubarak, aveva denunciato i misfatti del raìs ed era sopravvissuta
alle sue ire. Quelle dell’attuale presidente risultano ben più taglienti. Ma
gli stessi dati dei ‘desaparecidos’ d’Egitto lo sono: altre Ong mostrano numeri
più allarmanti che calcolano di media quattro sparizioni al giorno. Il
quotidiano statunitense chiama in causa la vicenda dell’omicidio di Giulio
Regeni e la campagna per la verità sulla sua morte lanciata da Amnesty International. Lo considera un
caso eclatante, poiché colpisce un cittadino straniero presente al Cairo con
funzione di studioso. Se si giunge a
rapire, torturare, assassinare anche queste figure tutto diventa insostenibile,
visti l’azzeramento delle più elementari libertà d’espressione e la
persecuzione degli oppositori. Nonostante il faccione bonario del
generale-presidente, l’alleato risulta impresentabile a ogni tavolo.
Imbarazzato anche il Segretario di Stato Kerry che per due anni s’è speso, in
casa e fuori, nel dipingere Sisi come un costruttore di democrazia. Oltreoceano
s’accorgono che questa favola non regge e, dopo aver scommesso su un governo
della Fratellanza e averne sopportato l’abbattimento
manu militari, constatano le difficoltà
crescenti create dall’uomo forte inadatto a trattare molte questioni.
Sul
fronte sociale diverse categorie sono in agitazione e, nonostante la spietata
repressione, provano a organizzarsi soprattutto nell’area produttiva del Delta
del Nilo. Egualmente fra i professionisti, i medici sono l’ultimo caso,
ribellatisi nelle scorse settimane a diktat e violenze poliziesche. In azione
alcuni sindacati autonomi che Regeni aveva incontrato tramite contatti con
certi attivisti, nonostante parecchi luoghi e persone siano controllati dal
regime che utilizza infiltrati. Un ulteriore controllo sono i servigi resi da soggetti
ambigui, come quel Mohamed Abdallah che ha rappresentanza e occhi sui venditori
ambulanti e che è stato in contatto con lo studioso friulano prima della sua
sparizione e morte. I think thank statunitensi vengono allo scoperto per
sentenziare che Sisi risulta poco efficace anche nella lotta al jihadismo
interno e la sua repressione sembra aver incrementato un reclutamento verso la
lotta armata. Eppure l’uomo forte prosegue, sta facendo preparare dai
magistrati un maxi processo contro 37 gruppi della società civile tutti
accusati di complotto contro lo Stato.
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