L’Unione Europea è un mostro. Ossia, un animale che pretende di essere fantastico (la retorica sul “manifesto di Ventotene”, tradito ogni giorno) pur facendo ogni giorno cose orrende. Peggio ancora: che pretende di dettare regole di comportamento politico-sociale pur non rispettandone nessuna.
Priva di una Costituzione qualsiasi, si è
sagomata nella deriva dei trattati commerciali, inestricabili aggregati
di cavilli, furbizie, dettagli, interessi nazionali e soprattutto delle
imprese multinazionali.
In
questo modo, come si può constatare ormai senza sforzo, ogni decisione è
figlia di calcoli di brevissimo termine spacciati per “manuali di buona
pratica”. Facile, dunque, che il più forte faccia prevalere i propri
interessi a scapito di quelli dei più deboli, sempre sapientemente
divisi tra loro, costruendo alleanze a geometria variabile altrettanto
di corto respiro.
Una
riprova clamorosa la si è avuta in questa settimana ormai conclusa. Un
osceno accordo con la Turchia e un irrituale briefing con i giornalisti
convocato dal presidente della Bce, Mario Draghi, per far capire a tutti
che lui e la sua istituzione – “l’unica che funziona” – chiedono
sopratutto “chiarezza sul futuro dell’Unione”.
Un
presidente di banca centrale non può che riferirsi al suo campo di
attività, il sistema bancario continentale. Dunque, sta in realtà
parlando della faticosa “unione bancaria” senza cui tutte le sue
invenzioni non convenzionali – che appaiono spesso ai mercati
come autentici colpi di genio – non possono suscitare gli effetti
sperati. Ossia un refolo di crescita più avvertibile e il trasferimento
dello stimolo monetario all’economia reale.
E non è più un segreto per nessuno che il completamento dell’unione bancaria consiste essenzialmente nella costituzione di un fondo di garanzia unico sui depositi bancari.
In pratica, come avviene all’interno dei singoli paesi, un fondo che
assicuri i correntisti per cifre fino a 100.000 euro, sottraendoli così –
per questa quota – alle conseguenze di eventuali o prevedibilissimi
fallimenti bancari.
Per
i tedeschi, dotati di un sistema bancario tanto forte quanto
“irregolare” secondo le regole dettate agli altri dalla stessa Germania
sotto la maschera della Ue, questo somiglia a una prima “condivisione
dei rischi finanziari” con i partner europei, specie i disastrati soci
mediterranei. Una prospettiva che riuscirebbe indigesta a qualunque
leader nazionale, figuriamoci a una cancelliera già sotto pressione
xenofoba come Angela Merkel.
E
qui, nel delicatissimo snodo tra scelte politiche e processi reali di
enormi dimensioni, si misura il nanismo istituzionale dell’Unione.
Durissima con i deboli, come ha sperimentato la Grecia di Tsipras, e
morbidissima con qualsiasi infame le possa risolvere o attenuare un
problema urgente.
Qui
si saldano insomma i problemi sul piano finanziario – avvolti nelle
nebbie tecnocratiche spacciate per “razionalità oggettiva” – e quelli
del flusso di profughi in fuga dalle guerre che anche l’Unione ha
determinato. Con una differenza sostanziale: i problemi finanziari si
possono sempre occultare ai piani alti di Bruxelles e Francoforte,
tagliando e cucendo soluzioni inventate alla bisogna, mentre le colonne
di disperati che attraversano i balcani o si accalcano alle frontiere
macedoni (per ora, prima di trovare altre vie) sconvolgono plasticamente
equilibri sociali, politici, culturali malamente costruiti intorno a un
progetto di Unione nato per rideterminarli dall’alto dei cieli
finanziari.
Il
cortocircuito è evidente. Anzi, lo diventa soltanto ora. Di fronte ai
profughi l’Unione è disposta pagare un kapò col kepì, sorvolando su
stragi di curdi e di giornali, ma sperando segretamente che il dittatore
Erdogan si logori da solo. Di fronte agli impegni derivanti da una
“vera unione” (bancaria, fiscale, economica) retrocede invece difendendo
le (poche) isole ancora ricche in un crescendo di impoverimento
generale. Anche all’interno dei paesi economicamente più sviluppati.
Non
è difficile far arrivare a un prefetto-commissario – come a Roma – le
direttive per compatibilizzare i conti di una metropoli con le “buone
pratiche” neoliberiste. Più complicato, molto più complicato, come per
fortuna si è visto ieri a Roma, realizzare quel programma omicida senza
che si sollevi la marea umana che dovrebbe esserne la vittima designata.
L’austerità è un programma col “pilota automatico”, non un incidente di
percorso.
Vista
dai piani alti di Bruxelles, insomma, noi delle periferie urbane e i
disperati in marcia o sui barconi, siamo comunque tutti profughi.
Untermenschen, avrebbero detto un tempo a Berlino. Ma già una volta gli è andata malissimo.
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