Senza l’intervento in Iraq del 2003, ha
confessato «scusandosi» lo stesso ex premier britannico Tony Blair,
tanto caro al rottamatore Matteo Renzi, lo Stato islamico nemmeno
esisterebbe. Gli «Amici della Siria», vale a dire tutto lo schieramento
occidental-europeo più Arabia saudita e Turchia, hanno fatto
l’impossibile per fare in tre anni in Siria quel che era riuscito in
Libia, alimentando e finanziando milizie e riducendo il Paese ad un
cumulo di macerie alla mercé di gruppi più o meno jihadisti e con così
tanti errori commessi da permettere alla fine il coinvolgimento in armi e
al tavolo negoziale perfino della Russia di Putin.
I rovesci in Libia tornano addirittura nelle elezioni statunitensi, con il New York Times che, con focus su Hillary Clinton
, ricorda la posizione favorevole alla guerra di fronte ad un
recalcitrante Obama. Senza dimenticare la tragedia americana dell’11
settembre 2012 a Bengasi.
Quando Chris Stevens, l’ex agente di
collegamento con i jihadisti che abbatterono Gheddafi grazie ai raid
della Nato, cadde in una trappola degli integralisti islamici già
alleati e venne ucciso con tre uomini della Cia. Hillary Clinton, allora
Segretario di Stato uscì di scena e venne dimissionato l’allora capo
della Cia David Petraeus. Perché la guerra ci ritorna in casa.
Avvitandosi nella spirale del terrorismo islamista.
Dalle «nostre» guerre fuggono milioni di
esseri umani. Quando partirono i primi raid della Nato sulla Libia a
fine marzo 2011, cominciò un esodo in massa di più di un milione e mezzo
di persone, tante quelle di provenienza dall’Africa centrale che
lavoravano in territorio libico, ne fu coinvolta la fragilissima e da
poco conquistata democrazia in Tunisia. Quell’esodo, con quello da Iraq e
Siria, prova disperatamente ogni giorno ad attraversare la barbarie dei
muri della fortezza Europa.
Tutto questo è sotto la luce del sole.
Come il fatto che l’alleato, il Sultano atlantico Erdogan, da noi ben
pagato, preferisca massacrare i kurdi che combattono contro l’Isis
piuttosto che tagliare gli affari e le retrovie con il Califfato.
Eppure siamo di nuovo in procinto di
innescare un’altra guerra in Libia. Dopo che il capo del Pentagono
Ashton Carter ha schierato l’Italia sostenendone la guida della
coalizione contro l’Isis e per la sicurezza dei giacimenti petroliferi.
Il ministro Gentiloni si dichiara «pronto». In altri tempi si sarebbe
detto che un Paese dalle responsabilità coloniali non dovrebbe esser
coinvolto. Adesso è motivo d’onore: siamo al neo-neocolonialismo.
Motiveremo questa avventura nel più
ipocrita dei modi: sarà una «guerra agli scafisti». Sei mesi fa quando
venne annunciata, Mister Pesc Mogherini mise le mani avanti ricordando,
com’è facile immaginare, che ahimé ci sarebbero stati «effetti
collaterali». Nasconderemo naturalmente il business e gli interessi
strategici ed economici. Ormai siamo alla rincorsa della pacca sulle
spalle Usa e delle forze speciali francesi, britanniche e americane già
sul terreno.
L’Italia ha convocato nei giorni scorsi
il suo Consiglio supremo di difesa e prepara l’impresa libica. Con un
occhio all’Egitto sotto il tallone di Al Sisi, ora in ombra per
l’assasinio di Giulio Regeni. C’è da temere che la giustizia sulla morte
di Giulio Regeni venga ulteriormente ritardata e oltraggiata, e di
nuovo silenziata la verità sul regime del Cairo, criminale quanto
l’Isis. Perché l’Egitto — anche con i suoi silenzi? — resta fondamentale
per la guerra in Libia: è la forza militare diretta o di supporto al
generale Haftar, leader militare del governo e del parlamento di Tobruk
che ancora ieri ha rimandato il suo assenso (che alla fine arriverà) ad
un esecutivo libico «unitario». È una decisione formale utile solamente a
richiedere l’intervento militare occidentale.
Perché la Libia resta spaccata almeno in
tre parti, con Tripoli guidata da forze islamiste che temono che un
intervento occidentale diventi un sostegno alle forze dello Stato
islamico posizionate a Sabratha, Derna, Sirte, già impegnate nella
propaganda anti-italiana prendendo senza vergogna in mano la bandiera e
le gesta di Omar Al Muktar, l’eroe della resistenza al colonialismo
fascista italiano.
Mancano pochi giorni al precipizio. Chi
ha a cuore l’articolo 11 della Costituzione, chi è contro la guerra, una
delle ragioni per ricostruire e legittimare lo spazio della sinistra,
alzi adesso la voce.
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