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lunedì 21 marzo 2016
LIBRO. La crisi economica? Colpa di manager (e politici) psicopatici.
E' la tesi di un libro appena arrivato in libreria. Dove una psicologa, un giurista e uno psichiatra, tutti esperti in criminologia. A causare il peggioramento della situazione economica internazionale è stato in primo luogo un fattore: aziende e società di consulenza sono guidati in molti casi da personalità narcisistiche, spregiudicate e manipolatorie.
L'Espresso di Elisabetta Ambrosi
Non è mai tardi per parlare delle cause che hanno scatenato la più grande crisi economica da decenni a questa parte. Non è mai tardi soprattutto se lo si fa un punto di vista inedito, dimenticato dalle letture economico-sociali e dai dibattiti su spread e debiti sovrani: e cioè da una prospettiva che analizzi non le cause sistematiche ma quelle individuali, soggettive, della crisi.
Isabella Merzagora, Guido Travaini, Ambrogio Pennati (una psicologa, un giurista, uno psichiatra esperti di criminologia), hanno dato alle stampe un libro dal titolo che già dice molto: Colpevoli della crisi? Psicologia e psicopatologia del criminale del colletto bianco (Franco Angeli). Secondo gli autori, una delle ragioni della crisi risiederebbe nel fatto che ai vertici di molte grandi aziende, e in particolare quelle finanziarie, vi fossero persone egocentriche, prive di capacità empatiche e di identificazione negli altri, spregiudicate, manipolatorie, machiavelliche, incapaci di rimorso, narcisiste, menzognere: in pratica veri e propri psicopatici.
Gli autori riprendono una definizione di Edwin Sutherland, criminologo statunitense del secolo scorso, e parlano di White Collar Crimes, crimini commessi dai colletti bianchi, un ambito vastissimo che spazia dalla corruzione ai reati commerciali, dalle frodi commerciali, alle truffe delle assicurazioni, dalle bancarotte fraudolente alle frodi in ambito sanitario. Non vi è inclusa la mafia, “anche se all’interno delle organizzazioni mafiose ci sono professionisti necessari a curare gli aspetti economici e giudiziari dei mafiosi”, però l’attività mafiosa viene considerata nello studio come una criminalità di tipo tradizionale, diversa da quella finanziaria dei colletti bianchi. Quest’ultima è propria di dirigenti e manager, e ovviamente anche di politici visti i reati di corruzione e concussione.
MACHIAVELLI IN AZIENDA
Ma quali sono le caratteristiche dei criminali finanziari che portano al disastro le aziende e in certi casi lo Stato? Difficile elencarli tutti: gli autori parlano anzitutto della cosiddetta Triade Oscura, cioè il narcisismo, la psicopatia, il machiavellismo (l’idea che il fine giustifichi i mezzi e che si possano utilizzare gli altri come strumenti per raggiungere i propri scopi). Altri, e altrettanto salienti, aspetti sono l’assenza di rimorso, la freddezza emotiva, l’egocentrismo, la manipolazione, la mancanza di empatia (il non sapersi identificare nelle sofferenze altrui). Ma ci sono anche un atteggiamento interessato al qui e ora, l’instabilità nei rapporti sentimentali, l’indifferenza, la tendenza alla gratificazione immediata, la scarsa tolleranza alle frustrazioni, la prepotenza, la paura dell’insuccesso, la mancanza di coscienza sociale, l’irresponsabilità, ma anche insicurezza e ansia, ancora la disonestà, l’impulsività, l’incapacità di pianificare, un anticonformismo ribelle, l’esternalizzazione della colpa.
Molto interessante è anche vedere i meccanismi giustificativi che vengono addotti in caso di scoperta: si minimizza il danno provocato, si nega che la vittima sia tale, si condannano coloro che condannano, ci si richiama a ideali più alti, si diluiscono le responsabilità, si adottano frasi come “Nessuno è stato danneggiato o non volevamo danneggiare nessuno”, “È come nella giungla o divori o sei divorati”, “Non sapevo fosse illegale”, “Se non lo avessi fatto io l’avrebbe fatto qualcun altro, “Il mondo è un mercato e ognuno ha un suo prezzo”, “non stavamo proprio mentendo, solo non abbiamo detto tutta la verità”, “Lo facevano tutti”, “ho fatto quello che mi hanno ordinato di fare”.
Il ricorso a queste forme di razionalizzazione (“Che sono le stesse utilizzate anche in chi è accusato di abusi sessuali”, spiega Isabella Merzagora) sono evidenti in tutti i casi presi in considerazione dagli autori: tra gli altri, quelli della Clinica Santa Rita, il caso Moses e il crac della Parmalat. Gli autori notano anche che non c’è categoria immune dalla caduta del crimine (e non lo siamo neppure noi), semplicemente il danno causato dai manager è maggiore perché chi è più in alto può provocare autentiche catastrofi. Le donne psicopatiche sono in misura nettamente inferiore, anche se va detto che i dati sono legati anche al fatto che ve ne sono poche ai vertici. In generale però, mostrano più facilmente rimorso e più facilmente si accollano la colpa.
LE (TANTE) VITTIME NASCOSTE
L’altro aspetto che gli autori mettono in luce – e per il quale i colpevoli non vanno chiamati “manager disonesti” ma “criminali finanziari” – sono le conseguenze delle azioni dei colletti bianchi criminali. Lungi dall’essere reati senza vittime, le loro azioni possono sicuramente uccidere, solo che noi non ne abbiamo percezione. Lo fanno direttamente (basti pensare alla vicenda del Banco Ambrosiamo o alla clinica Santa Rita ancora), o indirettamente, ad esempio immettendo magari sul mercato prodotti alimentari o farmaceutici non sicuri, non usando salvaguardie per l’ambiente: esempi che mostrano le pesanti ricadute letali delle nefandezze compiute dai colletti bianchi criminali.
Ma le condanne di questi crimini sono efficaci, visto che in Italia non si va quasi mai in carcere per reati finanziari? Secondo gli autori, il carcere è importante perché la persona viene tolta di mezzo e non può fare più danni. Inoltre l’arresto ha un valore anche simbolico, che fa capire come questi reati siano reati al pari di quelli che siamo abituati a chiamare crimini, come rapine e violenze sessuali. Dopo di che, anche le pene pecuniari possono essere utili visto che “spesso fa più male il portafoglio che il resto”.
A fronte di tutto questo, però, colpisce l’opacità di molte aziende, rispetto alla prevenzione di questi danni, che potrebbe essere fatta facilmente selezionando persone con punteggi negativi a quelle caratteristiche. Gli autori hanno provato ad esempio a chiedere a molte società dell’area milanese di sottoporre ai loro manager un particolare questionario, lo Psychopatic Personality Inventory-Revised, ma la risposta è stata in maggioranza negativa (tranne per 52 manager, di cui uno solo, anzi una sola donna, è risultata apertamente psicopatica). Un atteggiamento miope, secondo gli autori, visto che fare una selezione accurata comporterebbe un guadagno, “perché si sa, quando vengono fuori, le grane vengono sempre fuori grosse”. E i danni sono spesso incalcolabili.
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