Il filosofo croato ritiene che ci siano già i sintomi di un collasso della Ue, a causa di una crisi senza precedenti e per cui, purtroppo, l'attuale leadership non ha risposte. Ecco come “Democracy in Europe”, il movimento di Yanis Varoufakis pianifica di salvare l'Unione.
E' una delle menti politiche emergenti del movimento Democracy in Europe appena lanciato dall'ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, per riformare l'Europa prima che sia troppo tardi, considerate le crisi economiche, politiche e della sicurezza senza precedenti che l'Europa sta attraversando.L'Espresso di Stefania Maurizi
Il filosofo croato, Srecko Horvat ha contribuito alla nascita stessa di DiEM. Supporter della prima ora di Varoufakis, Horvat è opinionista del “Guardian”, coautore con il filosofo sloveno Slavoj Žižek del libro “Cosa vuole l'Europa” e de “La Radicalità dell'amore”, appena pubblicato in Italia. Mercoledì, Horvat lancerà DiEM a Roma con Varoufakis, Julian Assange, che interverrà in collegamento dall'ambasciata dell'Ecuador dove è rifugiato, Cecilia Strada, presidente di Emergeny, Luciana Castellina, Lorenzo Marsili di “European Alternatives”, e con molte altre personalità. “L'Espresso” ha chiesto a Srecko Horvat di raccontarci come DiEM concretamente pianifica di cambiare l'Europa, prima che l'Unione collassi.
Yanis Varoufakis ha efficacemente riassunto la crisi europea dicendo: “O l'Europa verrà democratizzata oppure si disintegrerà”. Il problema è: da che parte cominciare?
«Da qualunque parte, perché possiamo constatare la mancanza di un processo democratico di decision-making in ogni aspetto. Per arrivare alla possibilità di avere una democrazia, quello di cui i cittadini hanno bisogno è l'informazione. E questa è la ragione per cui la prima campagna pan-europea che lanceremo a Roma è una grande campagna dal titolo: “Trasparenza in Europa ora!”. Noi siamo convinti che se i cittadini dell'Unione non hanno informazioni su cosa davvero accade dietro le porte chiuse del Consiglio europeo, dell'Eurogruppo, degli incontri dell'Ecofin, della Banca Centrale Europea, allora non hanno la possibilità di decidere. Chiediamo subito che tutti gli incontri del Consiglio europeo e dell'Eurogruppo siano trasmessi in streaming, cosa che finora non è accaduta, in modo che i cittadini dell'Unione abbiano l'opportunità di consultare le trascrizioni ufficiali di tali incontri, poi chiediamo tutti i verbali dei consigli della Banca Centrale Europea, che dovrebbero essere pubblicati entro due settimane dalla riunione, e le trascrizioni complete entro due anni. Chiediamo anche una lista completa di tutti i lobbisti che operano a Bruxelles e un registro di tutti gli appuntamenti, sia per i funzionari eletti che quelli non eletti. Queste richieste non sono radicali, perché tutto quello che chiediamo è semplicemente trasparenza, ma la tragedia dell'Europa di oggi è che queste richieste appaiono radicali».
Per lanciare la campagna sulla Trasparenza di DiEM, a Roma interverrà il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange. WikiLeaks ha rivelato documenti cruciali come il “Trade in Services Agreement” (TiSA), un accordo commerciale attualmente in corso di negoziazione a Ginevra. Se non fosse stato per WikiLeaks, questo accordo, che avrà un impatto sulle vite di milioni di lavoratori e cittadini, sarebbe stato negoziato completamente in segreto. Come pensate di cambiare questa situazione?
«Credo che tutte le rivelazini di WikiLeaks, dai documenti sulla crisi dei rifugiati alle email di Hillary Clinton, siamo molto importanti: tutti dovrebbero avere accesso a questi informazioni e abbiamo bisogno di giornali che non abbiano paura di pubblicarle. Questa è la Trasparenza. Il TTP, il TTIP, il TISA formano un nuovo blocco economico di cinquantadue paesi e due terzi del Pil globale: questo “triumvirato” di trattati commerciali segreti cambierà le leggi, rendendo le corporation più potenti degli stati, cosa che già accade nella realtà dei fatti, ma che dopo questi trattati sarà una faccenda perfettamente legittima dal punto di vista della legalità internazionale. Sono accordi che avranno effetti sulla proprietà intellettuale, su internet, sui farmaci. Non è un caso che nel 2012 Hillary Clinton abbia definito il TTIP come “una Nato dell'economia”, perché quello che stanno facendo è esattamente una guerra economica, che avrà effetti sulle vite quotidiane. Solo grazie a WikiLeaks abbiamo avuto un'idea del testo di questi accordi e questa è la ragione per cui Julian Assange sarà presente a Roma. Purtroppo, ci sarà solo attraverso un collegamento video, perché si trova nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, dove ha passato già quattro anni».
Abbiamo visto le difficoltà che hanno avuto movimenti come il “World Social Forum” e “Occupy Wall Street” a innescare dei veri cambiamenti. Cosa può imparare DiEM da questi movimenti?
«Credo che possa imparare molto e io personalmente ho imparato molto. Ho partecipato per anni al World Social Forum, da Dakar a Tunisi, sono stato a Zuccotti Park per Occupy. La prima cosa che DiEM può imparare è che se viviamo nel capitalismo globale e abbiamo i problemi del capitalismo globale, ovvero grandissima disoccupazione, deindustrializzazione, nuove privatizzazioni, allora le risposte devono essere globali. Prendiamo la crisi dei rifugiati: non è un problema della Croazia o dell'Italia o dell'Ungheria, ma quello che vediamo è che questi paesi costruiscono muri o organizzano referendum. Queste nazioni stanno cercando di spegnere un incendio, ma non vanno a gettare l'acqua dove parte il fuoco. L'origine della crisi dei rifugiati è un problema di geopolitica, di economica, ma anche delle guerre in corso. Se si vuole affrontare, non si può semplicemente costruire muri o dare in gestione alla Turchia: darlo in gestione non risolverà il problema e non risolverà le guerre in Siria e in Libia. La soluzione allo stato di stallo in cui ci troviamo non sta nel ritirarsi nei nostri stati-nazione, perché il potere non risiede più nelle nazioni, e se non siamo in grado di costruire un movimento pan-europeo, e anche un movimento globale, non siamo in grado di uscirne. La seconda lezione che possiamo imparare da movimenti come Occupy, ma anche dagli Indignados, da quello di piazza Sintagma o, per esempio, quello in Bosnia, è che abbiamo bisogno di orizzontalità più che mai, abbiamo bisogno di partecipazione democratica, ma allo stesso tempo, abbiamo bisogno di una struttura, di un sistema per prendere le decisioni in modo da non perdere slancio, come è accaduto a Occupy e ad altri, proprio perché hanno deciso di stare solo in piazza. Noi non staremo solo in piazza e non staremo solo in parlamento: abbiamo bisogno di una combinazione di cose per cambiare la situazione».
Dunque DiEM starà sia nelle piazze che nei parlamenti?
«Non solo: abbiamo bisogno di più. Abbiamo bisogno dei sindacati, di organizzazioni come WikiLeaks, di intellettuali che producano analisi, di grande campagne. Credo che uno dei fallimenti dei movimenti che abbiamo menzionato è che siano andati in una sola direzione: quando si hanno partiti radicali, che vanno in parlamento, poi dimenticano presto la piazza. Oppure quando si hanno movimenti di piazza che non entrano nella democrazia rappresentativa, la loro energia si disperde presto. Quello di cui abbiamo bisogno è di connettere tutti questi metodi ed esperienze politiche».
Dopo la presentazione di DiEM a Berlino, avete optato per Roma: perché? L'Italia non è la piazza più internazionale per questo tipo di iniziative...
«Perché no? DiEM è un movimento pan-europeo e l'Italia è una nazione molto importante nell'Unione Europea, credo che possiamo imparare molto dall'Italia. Basta ricordate il referendum sull'acqua pubblica del 2011, e come l'attuale governo stia ignorando i risultati di tale referendum. O anche un altro importante referendum che avrete il prossimo 17 aprile sulle trivellazioni, che DiEM supporta perché le trivellazioni sono un problema europeo: io vengo dalla Croazia, e noi non abbiamo un tale referendum, ma il nostro governo pianifica le trivellazioni nel Mediterraneo, che cambieranno completamente il Mediterraneo. Io credo che tutti questi aspetti siano interconnessi: quello che accade in Italia non è solo un problema italiano, ma è un problema pan-europeo. Questo è il motivo per cui veniamo a Roma, grazie all'aiuto di “European Alternatives” e di altri che ci hanno invitato. Dopo andremo a Vienna per un incontro sulla crisi dei rifugiati, poi a Madrid e poi parteciperemo attivamente al referendum in Inghilterra. Tutto quello che accade in Europa è interconnesso».
Come guardate ai partiti di sinistra italiani?
«Nella politica italiana e, in particolare, nella politica di sinistra, come lei sa, tutto è molto complicato. Avete una storia molto interessante, da cui possiamo imparare. Quello che io credo manchi in Italia – ma questo non è un problema italiano, è anche un problema tedesco e anche della Croazia- è esattamente un'unità di questi movimenti sociali, perché ciò di cui avete bisogno è eliminare la malattia più classica e pericolosa della sinistra: il settarismo, per cui ognuno sta nel proprio angolo, e non si coopera perché non piace questo o quello, per cui alla fine non accade nulla. Io considero i movimenti italiani come qualcosa che può arricchire DiEM e dall'altra parte considero DiEM come una possibilità per i movimenti sociali esistenti in Italia per lavorare insieme».
E il movimento Cinque Stelle?
«Quello che vedo è che la Trasparenza e, soprattutto, il TTIP sono importanti per il movimento Cinque Stelle, quindi noi li invitiamo a unirsi alla nostra campagna, perché invitiamo chiunque si occupi di queste cose. Dall'altra parte, però, da quello che capisco, il movimento Cinque Stelle non è molto coerente in materia di Unione Europea, nel senso che a volte si esprimono a favore di un'uscita, altre volte a favore di una democratizzazione dell'Europa. DiEM è molto chiaro: noi non siamo a favore dell'uscita, perché crediamo che, in questo momento di grandissima crisi, ritirarsi negli stati-nazione offrirebbe solo una possibilità di vittoria ai movimenti di estrema destra. Io credo anche che ritirarsi negli stati-nazione, ovvero uscire dall'Unione, non sia la soluzione, ma sia invece parte del problema, perché uscendo, non si esce dal capitalismo globale, e avremmo invece una Germania forte, una Francia forte e i capitali russi, i capitali cinesi. Possiamo già vedere questo in Grecia: il capitale non europeo usa la crisi per penetrare all'interno dell'Unione Europea e comprare aziende. Ritirarsi negli stati-nazione accelererebbe soltanto questo processo».
DiEM è molto critico della risposta europea alla crisi dei rifugiati: pensa che il modello dovrebbe essere quello di Angela Merkel?
«Credo che all'inizio Angela Merkel abbia fatto la cosa giusta, invitando i rifugiati, ma quello che l'Unione Europea sta facendo adesso è completamente inaccettabile ed è una sciagura per gli ideali stessi dell'Unione Europea. Stanno dando in gestione il problema alla Turchia, spendendo sei miliardi di euro, gran parte dei quali non vengono dal budget dell'Unione ma da alcuni stati membri. Perché noi cittadini non veniamo informati di queste negoziazioni? E perché non abbiamo la possibilità di decidere se investire tutti questi soldi nella Turchia o se esiste una qualsiasi altra soluzione? La decisione iniziale di Angela Merkel è stata giusta, perché se qualcuno bussa alla tua porta nel cuore della notte ed è affamato, e scappa dalla guerra, l'unica cosa giusta da fare è aprire la porta, ma io credo che semplicemente aprire la porta non è comunque la soluzione a questa tragedia umana. Per risolverla, dobbiamo fare un passo indietro alla guerra in Libia e alle guerre in Afghanistan e in Iraq. Per risolvere davvero la crisi dei rifugiati, dovremmo farci domande sula politica estera europea, che – se lei me lo chiede - io considero inesistente, e dovremmo anche farci domande sulla Nato, sull'alleanza tra Unione Europea e Stati Uniti».
DiEM crede che l'Europa dovrebbe diventare un salutare contrappeso agli Stati Uniti?
«Credo che le elezioni americane siano importanti non solo per gli Usa, ma anche per l'Europa: hanno un'influenza così grande sull'economia, sulla politica e sulla vita quotidiana dei cittadini europei che anche i cittadini dell'Unione dovrebbero votare il presidente americano! Se vince Hillary Clinton, per esempio, avremmo un'accelerazione dei trend che ho appena descritto: avremo altre guerre. WikiLeaks ha appena pubblicato le email di Hillary Clinton che dimostrano come gli interventi in Libia e in Siria siano stati preparati e dimostrano i rapporti della Clinton con le aziende della Silicon Valley. Dall'altra parte, Bernie Sanders dimostra che c'è la possibilità almeno di creare un contro-discorso per cui, anche se non si vincono le elezioni, qualcosa cambia comunque nella politica americana. DiEM segue da vicino quello che accade negli Usa, e Noam Chomsky ha appena deciso di supportare DiEM: il prossimo passaggio sarà di stabilire contatti migliori non solo negli Stati Uniti, ma anche nei paesi mediterranei che non sono parte dell'Unione e in America Latina. La crisi è globale e quindi abbiamo bisogno di risposte globali: le elezioni americane sono parte del problema, ma forse anche della soluzione».
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