global project Lorenzo Fe
29 / 2 / 2016
Il
25 febbraio è trascorso un mese dal rapimento di Giulio Regeni. La
condotta delle autorità egiziane in merito all’assassinio è stata
all’altezza delle nostre più malevole aspettative. Le “probabili piste”
additate ai media sono alquanto disparate e stravaganti: incidente
stradale, rapina finita male, omicidio a sfondo (omo)sessuale, Fratelli
Musulmani, contro-spionaggio. La divergenza tra queste piste – tutte inizialmente presentate come credibili – non sembra scalfire la faccia tosta del Ministero degli Interni egiziano, che solo il 24 febbraio è tornato all’attacco dichiarando che: “L’indagine punta verso molteplici possibilità, comprese attività criminali o il desiderio di vendetta legato a motivi personali, soprattutto perché l’italiano aveva molte relazioni dove viveva e dove studiava” [1]. Insomma, a quanto pare nell’Egitto contemporaneo il solo fatto di avere conoscenze nel proprio quartiere e sul posto di lavoro significa esporsi a probabili vendette. La misura della credibilità delle indagini è data anche dal fatto che l’ufficiale incaricato di far luce sul mistero, Khaled Shalaby, fu condannato nel 2003 per complicità in rapimento, tortura e assassinio del cittadino egiziano Shawqy Abdel Aal [2].
Buona parte dei media mainstream egiziani, servili al regime e complici nel presentare le mobilitazioni sociali come complotti fomentati da spie straniere, hanno riportato acriticamente le varie versioni delle autorità. È interessante notare come anche alcuni giornali italiani, che di certo non devono far fronte allo stesso tipo di costrizioni autoritarie, si siano prestati a questo gioco in alcuni articoli. Ma nonostante tutti i depistaggi è sempre chiaro quale sia la “pista” più probabile: quella che vede implicati gli stessi servizi di sicurezza incaricati di indagare sul caso. È stato già scritto qui come da molti altri; le torture metodiche sotto le quali è morto Giulio sono le stesse che gli agenti dei servizi del regime applicano regolarmente ai propri cittadini. Un regime sostenuto dalle potenze occidentali, per evidenti interessi economici e geopolitici, in nome della laicità e della lotta all’estremismo islamista. Quelle stesse potenze occidentali che sono storicamente alleate regionali delle petrol-monarchie del Golfo, prima fra tutte l’Arabia Saudita, che di certo non brillano per separazione tra stato e religione. Ricordiamo inoltre che gli attentati jihadisti in Egitto sono aumentati e non diminuiti nell’era Sisi.
Alcuni hanno criticato l’accostamento fatto tra la morte di Giulio e quella di Valeria Solesin. A me tuttavia sembra da un certo punto di vista giustificato. Entrambi i ricercatori sono caduti in episodi distinti di un medesimo conflitto incentrato nel Medio Oriente ma avente ampie ramificazioni internazionali, che vede da un lato le mobilitazioni popolari per una società più giusta e democratica e dall’altro i difensori di una configurazione di potere, necessariamente instabile, basata sul dominio regionale delle petrol-monarchie islamiste, le quali hanno direttamente o indirettamente sostenuto sia gli assassini di Valeria sia quelli di Giulio [3]. L’opposizione laico-religioso non è in grado di spiegare perché l’Arabia Saudita supporti sia gruppi fondamentalisti sia il regime “secolare” di Sisi. Solo una più profonda e complessa (ma meno in voga) opposizione tra forze progressiste e forze reazionarie può render conto dell’apparente contraddizione.
L’assassinio di Giulio Regeni ha aperto una breccia nel silenzio sotto cui venivano passati gli abusi del regime egiziano, generando un meritato imbarazzo tra i suoi sostenitori. Visti gli interessi in gioco, è chiaro che il passaggio di una versione di comodo che assolva il regime civico-militare farebbe tirare un sospiro di sollievo a svariati soggetti su entrambe le sponde del Mediterraneo. Solo attraverso la mobilitazione di un’opinione pubblica scioccata ma anche giustamente sdegnata si può tentare di evitare l’insabbiamento.
[1] Articolo di Egypt Indipendent
[2] Articolo di Madamasr
[3] Articolo di Lorenzo Fe per globalproject.info
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