giovedì 3 marzo 2016

Dissesto idrogeologico, 7 milioni di persone vivono in zone a rischio. Pericolo per 9 comuni su 10.

Secondo i dati del rapporto Ispra, il fenomeno riguarda l’88,2 per cento dei centri e minaccia il 18,1 per cento del patrimonio artistico italiano. Sotto accusa urbanizzazione, incuria e cambiamenti climatici.

Dissesto idrogeologico, 7 milioni di persone vivono in zone a rischio. Pericolo per 9 comuni su 10Continuiamo a chiamarlo rischio idrogeologico, ma ormai in Italia è diventato la normalità. Il rapporto sul tema appena presentato dall’Ispra non lascia spazio a dubbi: nove comuni su dieci, 7.145 su un totale di 8.000, sono esposti al pericolo di frane o di alluvioni, oppure di tutte e due. Aree ad elevata propensione a fenomeni franosi sono presenti sul territorio di 1.640 municipi, quelle a rischio idrico in altri 1.607, mentre in quasi la metà dei comuni italiani (3.898) i cittadini si trovano alle prese con entrambi i pericoli.
In mezza Italia, addirittura, per sfuggire al rischio idrogeologico non basta cambiare comune, e spesso neanche spostarsi nella regione confinante: la Valle d’Aosta, così come il Molise e la Basilicata, e anche la Toscana e le vicine Liguria, Emilia Romagna e Marche, hanno il 100 per cento del territorio a rischio idrogeologico. Poco meglio va in Calabria, provincia di Trento, Abruzzo, Piemonte, Sicilia, Campania e Puglia, dove più del 90 per cento dei comuni è interessato da questi pericoli. “I livelli elevati di pericolosità da frana e quelli medi per la pericolosità idraulica, riguardano il 15,8% del territorio nazionale, per una superficie complessiva di 47.747 km quadrati”, spiegano dall’Ispra. In pratica, più di 7 milioni di cittadini vivono in aree a rischio frane e alluvioni: oltre 1 milione abita in zone classificate tecnicamente come P3 e P4, ossia a pericolosità elevata e molto elevata di frane, e quasi 6 milioni vivono in zone alluvionali a pericolosità idraulica media (P2), quasi 2 milioni abitano nelle aree a rischio idraulico P3.

Imprese e opere d’arte in pericolo
Non solo: il rischio idrogeologico infatti mette a rischio anche il tessuto produttivo italiano e il suo patrimonio culturale. “Quasi 80.000 unità locali di imprese (circa l’1,7%) si trovano in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata per un totale di oltre 200.000 addetti a rischio. Le regioni con il numero più alto di unità locali a rischio sono Campania, Toscana, Emilia Romagna e Piemonte. Esposte, invece, al pericolo inondazione nello scenario medio, 576.535 unità, per un totale di oltre 2 milioni di addetti. Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Liguria e Lombardia, sono le regioni con il numero più elevato di imprese vulnerabili al fenomeno idraulico”, dicono i ricercatori.
Per non parlare di edifici storici, monumenti e siti archeologici, risorse che rappresentano la nostra storia, ma anche una risorsa di prima importanza per la nostra economia. Il 18% del patrimonio culturale totale, secondo l’Ispra, è in pericolo: 34.651 beni, di cui oltre 10.000 si trovano in aree a rischio elevato e molto elevato. In particolare, circa 29.000 si trovano in zone a pericolosità idraulica media, mentre più di 40.000 sono i beni a rischio in caso di eventi meteo estremi P1, meno probabili ma più intensi. Monumenti situati anche in città d’arte come Roma, Venezia, Ferrara, Firenze, Ravenna e Pisa.
Urbanizzazione, incuria, cambiamenti climatici
Sul banco degli imputati, la stessa Ispra mette prima di tutto l’urbanizzazione incontrollata degli ultimi settant’anni, con mezzo milione di ettari cementificati solo tra il 1990 e il 2008. “Attualmente, nelle aree classificate a più elevata pericolosità da frana si trovano 476 kmq di superfici artificiali, pari al 2,7% del totale, mentre oltre 2.000 kmq (11,5%) ricadono nello scenario di pericolosità idraulica media”. Se è vero che, spiega Ciro Gardi, autore di diverse ricerche accademiche sul suolo, “non tutti i fenomeni dipendono direttamente dall’intervento umano”, allo stesso tempo “l’urbanizzazione non pianificata e la cattiva gestione delle aree agricole e forestali svolgono un ruolo di primo piano, così come i sempre più frequenti eventi meteo estremi causati dai cambiamenti climatici”. Alla questione dell’impermeabilizzazione dei terreni si unisce l’incuria delle foreste, che dopo l’esodo dalle aree montane e rurali hanno preso il posto dei campi, ma anche l’affermarsi dell’agricoltura industriale: “Un terreno con ridotte sostanze organiche, lavorato con macchinari pesanti, è meno capace di assorbire l’acqua in caso di esondazioni di fiumi”.
Italia sicura?
L’inverno secco ha per ora garantito un inizio di anno senza nuovi disastri, ma in molti casi pochi giorni di pioggia possono bastare per far scattare l’allarme. Nell’ambito del piano del governo #Italiasicura, si sta lavorando sul Fereggiano a Genova e sul Seveso a Milano, mentre nei prossimi mesi dovrebbero partire gli interventi di messa in sicurezza del Lambro nel capoluogo lombardo e del Bisagno in quello ligure, e poi ancora lavori sul litorale di Cesenatico e nelle aree di Cararra e Pisa. “Entro questa estate – spiega Mauro Grassi, responsabile della Struttura di missione di Palazzo Chigi contro il dissesto – saranno consegnati lavori per circa 254 milioni. Arriviamo a 400 milioni entro il 2016 e poi entro la prossima estate del 2017 l’80-90% del piano sarà in cantiere”. Accanto a questo piano per le città metropolitane da 1,3 miliardi e 132 interventi, di cui 33 già finanziati, aggiunge Grassi, “stiamo preparando il secondo stralcio per intervenire sia nel Mezzogiorno sia nelle altre aree non metropolitane in cui ci sono frane, rischi da alluvione ed erosione costiera”.

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