Al tempo stesso, le evidenti
contraddizioni aprono straordinarie opportunità di
cambiamento, se solo la sinistra sapesse ritrovare il senso del
proprio esistere, come ha invitato a fare martedì Norma Rangeri sul manifesto del 28 luglio.
Lo scenario europeo in particolare
– dal quale dipendono buona parte dei nostri destini e che non può non
costituire il riferimento principale del nostro agire – va
rivelando drammatici punti di caduta che mettono in discussione la
sopravvivenza dell’idea stessa di Europa. E che comunque rivelano
che così com’è essa non può sopravvivere. Che l’Europa o cambia
o muore.
L’iniziativa politica coraggiosa del
governo greco e del suo popolo ha avuto il grande merito di mostrarlo
a tutti, confermando la portata davvero storica dello scontro che
si sta svolgendo nello spazio europeo. Il fatto che in questi giorni
cruciali la Grecia sia rimasta sola, denuncia tutto il ritardo
e l’inadeguatezza della sinistra europea a svolgere il proprio ruolo
in questo nuovo spazio politico e sociale.
Il mercantilismo liberista dei
Trattati, definiti a misura dell’interesse nazionale tedesco,
è insostenibile. Porta l’eurozona al naufragio. E d’altra parte,
non possiamo nascondercelo, è debole oggi il consenso, non solo al
livello dei governi, per la radicale correzione di rotta necessaria
alla sopravvivenza economica e democratica dell’eurozona.
L’ostacolo immenso lungo la strada non è solo la debolezza delle
leadership politiche ma il deficit, morale e culturale, dei
popoli prigionieri dei divergenti interessi nazionali. Dobbiamo
con urgenza definire insieme come uscire da una trappola che svuota di
senso storico e politico la sinistra.
Non sono, questi, gli unici segnali devastanti che ci arrivano da Bruxelles, Francoforte e Berlino.
Vi si aggiunge l’ostentazione di
“disumanità sovrana” mostrata nella questione dei migranti, la vera
emergenza umanitaria del nostro tempo affrontata come fastidiosa
questione di sicurezza.
La crisi delle culture politiche
democratiche tradizionali, a cominciare da quella socialista,
travolta dalla subalternità culturale al liberismo delle
social-democrazie occidentali, e il simmetrico riemergere di
populismi xenofobi e razzisti, non dissimili da quelli che
caratterizzarono la catastrofe europea degli anni trenta.
La pratica costante di chiedere ai
governi membri – a cominciare dal nostro, e da quelli spagnolo,
portoghese e irlandese oltre che, naturalmente, a quello greco — di
“far male” ai propri popoli, imponendo loro sacrifici dannosi
e particolarmente dolorosi per gli strati più deboli, come prova di
fedeltà a un patto mai siglato da quei popoli e divenuto
insopportabile economicamente, socialmente e moralmente.
In questo quadro il governo italiano
è totalmente subalterno a quella imposizione e a quei dogmi, non
solo incapace di modificarne quantomeno gli aspetti più
penalizzanti ma, anzi, impegnato a portare a compimento con zelo
il mandato ricevuto dall’oligarchia che dirige l’Europa.
Vanno in questa direzione la
manomissione del nostro ordinamento democratico costituzionale;
la tendenziale liquidazione della nostra democrazia
rappresentativa in nome di una forma di governo brutalmente
sbilanciata sul potere esecutivo (una “democrazia esecutiva” o
“esecutoria”); l’imposizione di una legge-truffa destinata
a deformare gravemente le volontà dell’elettorato e di consegnare
al demagogo di turno un potere senza più contrappesi né anticorpi;
la volontà di cancellare le rappresentanze sociali (in primo luogo
quelle sindacali) e l’umiliazione del mondo del lavoro con la
cancellazione dei suoi diritti; l’aggressione volgare al mondo della
cultura e della scuola, con l’umiliazione del sapere in nome di
criteri gerarchici aziendali; la riduzione a merce di ciò che rimane
del nostro patrimonio territoriale e dei nostri beni comuni…
Quella che si configura con il governo
Renzi è una vera “emergenza democratica”. L’azione svolta finora
e quella che si prepara a portare a compimento definiscono il
profilo di un mutamento di sistema che richiede, per essere
contrastato, un’innovazione politica e organizzativa all’altezza
della sfida.
Come mostra la vicenda greca in tutta la
sua drammaticità, oltre al conflitto tra Stati e interessi
nazionali , si profila all’orizzonte un conflitto politico e sociale
di tipo nuovo, tra democrazia e oligarchie finanziarie
e burocratiche transnazionali; tra dominio totalizzante della
forma denaro e affermazione dei principii fondamentali di
giustizia sociale, eguaglianza e solidarietà; tra governo dall’alto
di società sempre più ingiuste e partecipazione consapevole
e diffusa alle scelte collettive, combattuto non più solo
nell’angusto spazio nazionale ma in campo europeo, in cui sarà
fondamentale la capacità di dar vita a formazioni di grandi
dimensioni, credibili, forti, autorevoli, capaci di superare le
distinzioni di nazionalità e le altrettanto asfittiche
frammentazioni identitarie.
Per questa ragione noi oggi riteniamo
non più rinviabile l’impegno di tutte le forze che si pongono in
alternativa a questo quadro drammatico e che ancora si richiamano
ai valori di eguaglianza, autonomia e libertà che furono della
migliore sinistra a porre in campo anche in Italia, nei tempi brevi
imposti dalla gravità della situazione, una forza unitaria,
innovativa nello stile politico e credibile nel proprio
programma, non minoritaria né chiusa in sterili pratiche
testimoniali ma capace, come già è avvenuto in Grecia e in Spagna,
di costituire un’alternativa di governo e di paradigma allo stato di
cose presente. Un soggetto politico dichiaratamente
antiliberista, dotato della forza per competere per il governo del
paese in concorrenza con gli altri poli politici.
Tutte le ultime tornate elettorali
hanno rivelato che senza un progetto unitario a sinistra, capace di
superare l’attuale frammentazione, non c’è speranza di
sopravvivenza per nessuno. Non possiamo continuare a ripetere che
il tempo è ora. Bisogna dare, da subito, un segnale chiaro. Che si
è pronti. E che c’è bisogno di tutte e tutti. Non solo di chi, in
questi mesi, nell’area politica alla sinistra del PD, ha avviato un
fitto dialogo in vista dell’apertura di un “processo costituente”, ma
soprattutto degli altri, che nei “luoghi della vita” continuano
a tessere resistenza, solidarietà, azioni civili, coesione sociale.
A combattere l’imbarbarimento e a sperimentare il bien vivir.
Quelli che aspettano che qualcosa si muova, e che sia credibile,
nuovo, diverso, forte.
Dovranno essere soprattutto loro i protagonisti della grande “casa comune” che di deve iniziare a costruire.
Facciamo sì che sia da subito un
“percorso del fare”. Individuiamo fin d’ora nell’iniziativa
referendaria sui temi più vicini alla vita delle persone un terreno
su cui impegnarsi qui ed ora. Impegniamoci a costruire su ogni tema
la più larga rete di soggetti, che già ci sono, e già sono attivi.
Si lanci, ancor prima della pausa
estiva, un messaggio chiaro e forte: che ci siamo. Che partiamo. Che
possiamo farcela. Lo dobbiamo ai tanti che aspettano da troppo
tempo.
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