La novità di queste ultime settimane è stata la necessità di spostare l’attenzione dall’organizzazione delle iniziative da mettere in campo a settembre per contrastare la “Buona Scuola” di Renzi a ben due quesiti referendari, sottoposti all’opinione pubblica senza mediazione, dialogo, condivisione: insomma, con un atteggiamento arbitrario quasi quanto quello adottato dal premier/segretario nell’imporre la sua “riforma” al Parlamento e al partito di cui è ‘proprietario’, oltre che al Paese, da cui non è mai stato eletto.
Marina Boscaino Insegnante
Occorre innanzitutto ricordare che – prima ancora di affidare ad una qualsivoglia iniziativa abrogatrice una funzione salvifica e risolutoria
rispetto alla situazione configurata con la definitiva approvazione
della legge 107/15 – il compito e la sfida principali sono mantenere
intatto, se non aumentare, il livello di mobilitazione, per tentare di depotenziare la pseudo-riforma attraverso l’azione dei singoli istituti scolastici, oltre che nelle piazze.
Per questo il prossimo 11
settembre è stata indetta la riunione nazionale di tutte le RSU e sono
in preparazione da parte di tutte le forze sindacali delibere e mozioni
da proporre ai collegi dei docenti. L’auspicio è quello di rendere
inattuabile un dispositivo, oltre che autoritario e contrario al dettato
della Costituzione, caotico, pedestre, farraginoso: si tratterà di
mettere in atto una vera e propria disobbedienza civile. Il tutto in
previsione di uno sciopero generale.
Torniamo alla questione dei referendum
che non solo sta sequestrando forze ed energie in questa caldissima
estate, ma rischia addirittura di essere dannosa, dando l’illusione che
si possa soddisfare l’ansia degli insegnanti di fronte alla legge
approvata con improbabili scorciatoie.
I quesiti proposti sulla scuola, infatti, sono addirittura due:uno di Possibile, il nuovo soggetto politico di Pippo Civati, che
vuole sopprimere la parte della norma relativa alla funzione del
dirigente scolastico; l’altro (che chiede invece l’abrogazione
dell’intera legge) di una non meglio identificata costola campana dello
Snals, che agisce prevalentemente su gruppi Facebook e tramite WhatsApp,
sotto l’altrettanto misteriosa denominazione di Leadership alla scuola .
In entrambi i casi siamo di fronte a una sorte di mission impossible, per due motivi fondamentali: assenza assoluta di condivisione da parte di cittadini orientati e consapevoli,
a partire dagli insegnanti che hanno dato vita ad un imponente
movimento di massa che ha contrastato la riforma in tutti i possibili
modi legittimi; necessità che i quesiti proposti siano inattaccabili.
Perché il referendum abbia successo, occorre invece farne elemento
identitario e di lotta comune di tutto il mondo della scuola, nonché di
tutte le forze disponibili a sostenerne gli ingenti costi. I quesiti
devono inoltre – una volta avvenuta la raccolta delle firme necessarie,
almeno 600mila, in tempi proibitivi, perché devono
essere verificate e depositate entro il 30 settembre – superare ben due
giudizi di merito, quello della Corte di Cassazione, che si esprime
sulla loro “legittimità” (loro conformità alle norme della legge) e
quello della Corte Costituzionale, che si esprime sulla loro
“ammissibilità” (limiti di natura costituzionale, impliciti o
espliciti). Un errore determinato dall’approssimazione o dall’ansia di
appendere il proprio esclusivo cappello alla questione scuola solo per
ottenere consensi immediati, parlando alla pancia delle persone,
potrebbe insomma rivelarsi, ammesso che le firme vengano raccolte,
esiziale.
C’è poi la questione del raggiungimento del quorum:
bisogna convincere più del 50% degli aventi diritto ad andare a votare:
poco più di 25milioni di cittadini (almeno) e in una domenica dal 15
aprile al 15 giugno, come previsto dalla legge; a questo scopo potrebbe
risultare opportuno lanciare contemporaneamente più referendum, che
coinvolgano più temi, in modo da interessare la più vasta platea
possibile del corpo elettorale e coinvolgerla così nella partecipazione.
Ottenuto che almeno 25milioni di cittadini vadano a votare, occorre convincerne almeno 12milioni e mezzo a votare Sì; perdere il referendum
vuol dire infatti che la stessa legge non potrà essere oggetto di
referendum abrogativo per i successivi 5 anni (art. 38, L. 352/70).
Nonostante questa gimkana
di condizioni e i tempi ristrettissimi, qualcuno – come abbiamo già
accennato – ha deciso impunemente di perseguire autoreferenzialmente un
proprio obiettivo: Civati, dal suo blog, in un post incredibilmente
intitolato Le leggende metropolitane dell’Impossibile, tratteggia
uno scenario di ascolto e di interlocuzione con i soggetti coinvolti
che davvero ricorda molto da vicino l’”ascolto” di cui hanno cianciato
Renzi, Giannini e Puglisi rispetto alla Buona Scuola. Quello stesso
Civati che, invitato a partecipare all’assemblea nazionale in cui il 12 luglio sono intervenuti numerosissimi attori del movimento per la scuola – che hanno redatto tutti insieme un documento contrario al “referendum subito”,
chiedendo invece reale condivisione e tempi distesi- evidentemente non
dimentico dei metodi che usava quando era sodale di Renzi, ha affermato
per ben due volte che non avrebbe provveduto alla raccolta di firme
sulla scuola, per poi rimangiarsi la parola per altrettante volte.
L’operazione Snals Napoli ha poi del surreale: lavorano sui media,
sono probabilmente strafinanziati, considerando i naturali costi di un
referendum, considerati i costi naturali che un referendum richiede. Il
segretario provinciale dello Snals di NA (che è di Boscoreale e la cui
figlia è una delle promotrici del referendum appena eletta per la
primaria al CSPI in quota SNALS) è indagato per corruzione nell’inchiesta sul concorso a preside truccato.
Infine, non si conoscono i referenti legali del comitato, nonostante
siano stati più volte richiesti, e l’avvocato citato in Gazzetta
Ufficiale come unico referente è stato contattato e dice di non saperne
nulla e ha dato solo il recapito del suo studio. L’unico parere legale
sulla abrogabilità dell’intera legge il comitato l’ha proposto a firma
di una avvocato (di Boscoreale), Anna Cirillo, risultata poi essere praticante e non abilitata alla professione.
Gli autori di questa iniziativa, poi, escludono chiunque entri sulla
loro pagina Facebook formulando domande legittime (per esempio il nome
dei giuristi firmatari del quesito referendario) e hanno ristretto
parossisticamente l’agibilità delle pagine cui fanno riferimento, in
modo che si evitino interventi “scomodi”.
Al giovane Civati (che, promettendo di non
raccogliere le firme, ha aggiunto con squallida ironia che quando il
movimento – non giovane, non veloce, non moderno – avesse raccolto le
firme per un referendum, nel 2035, lo avrebbe firmato) chiediamo invece
di non perseverare nella demagogia della velocità come il suo compagno
di Leopolda.
Allo Snals nazionale di prendere senza
ambiguità le distanze da una propria costola che “ufficiosamente” opera
autonomamente. Questo anche per la dignità di un sindacato che ha fatto
un pezzo di storia di questo Paese.
Abbiamo piuttosto bisogno di parole chiare e
di trasparenza assoluta per poter procedere, a partire
dall’appuntamento del 5 e 6 settembre a Bologna, dove il gruppo di
comitati, associazioni, sindacati riunitosi il 12 luglio proverà a
scommettere su un altro modo di andare avanti tutti insieme, sia
ragionando con tempi distesi sulla reale fattibilità del referendum, sia
cercando di riattualizzare il progetto di Legge di Iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica
che da dieci anni rappresenta l’idea di una scuola coerente con i
principi della Costituzione, pensata da chi nelle scuole vive e lavora
quotidianamente.
Insomma: non distraiamoci rincorrendo
avventurieri ed avveniristi: mentre la disputa referendum sì/no impazza,
il piano assunzioni previsto dalla Buona Scuola sta prendendo pieghe
prevedibili, ma drammatiche, che richiederanno consapevolezza e
mobilitazione articolata.
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