domenica 26 luglio 2015

Il semplicismo di Renzi ci porta fuori da una visione democratica dell'individuo.


RENZI
Scrive Enrico Rossi su Huffington Post che il "partito post ideologico" non deve essere un problema per la Sinistra poichè esso non è un partito "schiacciato sul pragmatismo e privo di riferimenti sociali".
Nadia Urbinati HeadshotRiferimenti ne ha. Questo partito post ideoligo, aggiunge Rossi, deve “avanzare il proprio progetto di cambiamento del paese” e quindi una “ricostruzione del proprio profilo politico e culturale”. A questo proposito, Rossi cita il mio articolo su Repubblica (24 luglio) come esempio di un “nesso” tra “il tema della riduzione delle tasse e quello dell'individuo, delle sue libertà e ispirazioni, come un tema che la stessa sinistra non deve lasciare all'esclusività della destra”. Poichè la mia intenzione con quell’articolo non era di portare acqua al mulino del Partito di Renzi, credo di dover ritornare sull’argomento e spiegare con più dovizia di parole e di concetti quell’idea.
Ci sono due visioni di individuo: una antisociale e una relazionale (ne ho scritto in Liberi e uguali, Laterza 2011; e ancora prima in Individualismo democratico, Donzelli 1997). Nel primo caso, che è quello del liberalismo classico, l’individuo sta al centro con esigenze non discutibili da parte di altri, e tanto meno della società (ovvero della volontà democratica) poichè si sotiene che quel che è bene per lui è bene per la società (dottrina della mano invisibile). Di qui: la possibilità della crescita dei profitti individuali è bene per la società perchè è bene per l’individuo (in soldoni, era questa la giustificazione dell’abbattimento delle tasse usata da Martaget Thatcher). Alla base di questa filosofia vi è l’idea della libertà come “non interferenza”, la quale presume che la nostra libertà è licenza di fare e decidere quel che vogliamo, fino a quando un ostacolo non si frappone tra la nostra libertà di scelta e la nostra volontaria attuazione. L’ostacolo può essere un’altra volontà privata oppure la legge, la quale ultima anche se legittimata dal consenso e da una costituzione non è per questo meno ostacolo; essa è sempre un ostacolo, e quindi mai buona, anche se necessaria o prudente o pragmaticamente utile.

C’è poi un’altra visione della libertà individuale che è coniugata insieme all’eguaglianza di considerazione e legale, e che presume cha la libertà individuale deve essere distribuita e goduta cosicchè non diventi privilegio di chi la gode e non sia goduta per quanto possibile a spese degli altri. E’ libertà come non-dominio invece che come semplice non-interferenza, ovvero una libertà che si gode grazie alla buona legge non contro di essa. Se nella libertà come “non interferenza” lo stato è nemico, qui lo stato può e dovrebbe essere usato come sostegno. Se la prima libertà è concepita come buona perché “naturale” rispetto a un intervento “artificiale” del potere (che è sempre potenzialmente cattivo), questa libertà relazionale presume invece che non si dà mai individuo in “natura”, che tutti noi siamo esseri politici e situati in un contesto sociale rispetto al quale conquistiamo (o perdiamo) le nostre libertà. Condorcet coniò il termine “libertà eguali” dal quale il liberalismo sociale di J.S. Mill e di Amartya Sen provengono.
Queste due libertà sono in tensione e in conflitto. Ciò è palpabile nell’Articolo 3 della nostra Costituzione: che si compone del primo comma ispirato alla libertà come “non interferenza” e del secondo comma ispirato al principio relazionale ed egualitario. E’ importante che la nostra Costituzione non sposi un’idea contro o invece di un’altra ma le metta insieme, proprio nello stesso articolo. E’ importante perché presume che su queste visioni ci sarà conflitto; presume un’alternativa tra due visioni di società sulle quali la lotta politica si consuma. Le costituzioni buone sono del resto quelle che non sposano una dottrina ma presumo il conflitto tra visioni e anche dottrine e quindi restano “aperte”. E’ per questo, tra parentesi, che una riforma della nostra Costituzione in senso maggioritarista, come vuole il Partito di Renzi, è pessima: perché “chiude” invece di mantenere aperto l’agone, o meglio lo sigilla su una maggioranza.
Ma torniamo alla libertà e alla ricaduta che la concettualizzazione dell’individuo e della libertà ha sulla politica fiscale. Nel mio articolo ero molto esplicita e riconoscevo l’importanza della Sinistra democratica di riconoscere il valore dell’individuo nell’orizzonte dell’eguaglianza, come appunto l’Articolo 3 stabilisce quando comanda alla repubblica di “rimuovere” gli ostacoli affinché tutti e tutte possano aspirare alla loro realizzazione. Ecco che cosa scrivevo:
“senza sposare l’individualismo egoistico ma interpretando l’individualismo in chiave democratica, come ricettivo rispetto agli altri, cooperatore e disposto a condividere costi e benefici in cambio di solidarietà sociale e contenimento del conflitto. A questa visione emancipatrice dell’individualismo corrisponde una visione di eguaglianza che è proporzionale, e basata sul principio di progressività: a questa visione la politica fiscale dovrebbe essere connessa, come del resto propone la nostra Costituzione. Una visione che respinge la logica liberista del flat tax la quale tratta tutti indistintamente come identici, e che è attenta alle condizioni delle singole persone, per cui chi più ha più contribuisce, non tanto o soltanto perchè questo è quanto l’etica della solidarietà chiede, ma anche perchè chi più ha da perdere chiede anche più in termini di protezione dei diritti alla società e allo stato. Progressività e proporzionalità sono le coordinate di una politica redistributiva che riesce a tagliare le tasse proprio perchè vuole fare giustizia della pressione sproporzionata e ingiusta. Non tutte le prime case sono eguali nel valore e negli oneri che impongono alla società – trattarle come identiche è una semplificazione molto ingiusta. La politica fiscale è quindi una straordinaria opportunità per marcare il territorio ideologico tra destra e sinistra, tra un individualismo radicale che racconta la favola del trickle down (detassiamo chi più ha affinchè investa e porti giovamento a chi meno ha) e un individualismo che ha invece un profondo rispetto per la specificità delle persone, di quel che hanno e producono, che sa essere proporzionale nel valutare obblighi e oneri, che insomma pensa alla società come a un coordinamento di diversi, una grande impresa cooperativa nella quale gli individui non sono identici benchè eguali nei diritti. Non lasciare la questione della diminuzione delle tasse alla destra può quindi essere per la sinistra una grande opportunità per marcare le differenze ideologiche tra due modi di interdere la persona e la società”.
Indubbiamente la libertà di interpretazione è sacra, e ognuno è libero di ricavare da quel che legge la conclusione che vuole – ma sarebbe scorretto fare deduzioni a piacere tirando per i capelli i concetti. Come sosteneva Norberto Bobbio le libertà sono in conflitto e la politica è l’arte di gestire questo conflitto. C’è chi sta da una parte e chi sta dall’altra (nella mia città italana, Bologna, c’è una piazzetta che si chiama ‘Prendiparte’ – un’indicazione che trovo bellissima). E chi sta con l’individualismo del taglio delle tasse sulla prima casa – una visione nostrana del liberismo vetero— non sta dalla parte che il mio articolo proponeva perchè disancora l’individuo e la libertà dal principio di eguaglianza.
A questo punto occorrerebbe dire: “non vogliamo che i neo-liberisti nostrani (che di post-ideologico non hanno proprio nulla) si impossessino dell’individualismo” il quale ha una storia complessa e la democrazia moderna è nata quando è riuscita a prenderlo nel suo seno – lasciarlo ai liberisti è quanto di più sbagliato ci possa essere (e chiamarlo personalismo è un’escamotage che farebbe piacere ai cattolici seguaci di Mounier e Maritain, ma non ai democratici liberali). I diritti di libertà stanno insieme all’eguaglianza di condizione e di opportunità – questo individuo relazionale e cooperatore è l’individuo che deve stare al centro di una cultura politica democratica. Da Mill a Dewey a Sen a Bobbio: questa è la genealogia dell’individualismo democratico. Ora, questa visione non trova facile spazio nel semplicismo del Partito di Renzi il cui obiettivo à avere consensi e prenderli da chiunque: una visione plebiscitaria deve obbligatoriamente essere disattenta alla specificità delle condizioni sociali dei cittadini, ignorare il principio di progressività e trattare tutti come identici. Con il risultato che ci guadagna molto chi ha molto e poco chi ha poco. Quindi la filosofia del Partito di Renzi ci porta fuori da una visione democratica dell’individuo.

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