Dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto del 13%, la metà della Grecia che ha segnato +24%. Non è finita qui: nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174 mila nascite, livello al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l'Unità d'Italia. E per questo il Sud sarà interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili.
La crescita arranca. L'Italia, rivela l'associazione, nel suo complesso è stato il Paese con meno crescita dell'area euro a 18 con il +20,6% a fronte di una media del 37,3%. Ma è al Sud che si registrano dati negativi, drammatici: al sud la crescita è stata inferiore di oltre 40 punti percentuali rispetto alla media delle regioni Convergenza dell'Europa a 28 (+53,6%).
Tsunami demografico. Mentre sul fronte delle nascite, la Svimez prevede che il Sud è quindi destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27,3% sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3%. Questo perché il tasso di fecondità al Sud è arrivato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilità demografica e inferiore comunque all'1,43 del Centro-Nord.
In dieci anni inoltre, dal 2001 al 2014, sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1,6 milioni di persone, rientrate 923 mila, con un saldo migratorio netto di 744 mila persone, di cui 526 mila under 34 e 205 mila laureati. Dal 2001 al 2014 quindi la popolazione è cresciuta a livello nazionale di circa 3,8 milioni, di cui 3,4 milioni al Centro-Nord e 389 mila al Sud. Nascite in calo anche al Centro-Nord e, per la prima volta, anche nelle coppie con almeno un genitore straniero, che in precedenza avevano invece contribuito ad alimentare la ripresa della natalità nell'area.
Pil, la forbice Nord-Sud come 15 anni fa. Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud è alla deriva e scivola sempre più nell'arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%) e il Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, con il 53,7%. Il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui (contro il 28,5% del Centro-Nord)
Di qui l'allarme povertà: una persona su tre a rischio al Sud, una su dieci al Nord, sottolinea ancora il Rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2015.
I DATI SULLA POVERTA'Occupazione ai livelli di 40 anni fa. Anche i dati sull'occupazione non sono per nulla incoraggianti. Nel 2014 gli occupati al Sud toccano livelli di quasi 40 anni fa: "5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977", spiega l'Associazione. Un passo indietro che"testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall'altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro.
"In Italia, negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014 - secondo lo studio - le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Quanto al rischio povertà, nel 2013 in Italia vi era esposto il 18% della popolazione, ma con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). La povertà assoluta è aumentata al Sud rispetto al 2011 del 2,2% contro il +1,1% del Centro-Nord. Nel periodo 2011-2014 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute di oltre 190mila nuclei in entrambe le ripartizioni, passando da 511mila a 704mila al Sud e da 570mila a 766mila al Centro-Nord. A livello di reddito, guadagna meno di 12mila euro annui quasi il 62% dei meridionali, contro il 28,5% del Centro-Nord. Particolarmente pesante la situazione in Campania (quasi il 66% dei nuclei guadagna meno di 12mila euro annui), Molise (70%) e Sicilia (72%)"
"Il Mezzogiorno, tra il 2008 ed il 2014 - si legge - registra una caduta dell'occupazione del 9%, a fronte del -1,4% del Centro-Nord, oltre sei volte in più. Delle 811mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro nel periodo in questione, ben 576mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 70% delle perdite determinate dalla crisi. "Nel 2014 - sottolinea lo Svimez - i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unita', tutti concentrati nel Centro-Nord (133mila). Il Sud, invece, ne ha persi 45mila. Il numero degli occupati nel Mezzogiorno torna cosi' a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello piu' basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell'Istat".
Pagano di più giovani e donne del Sud. Situazione che si ripercuote soprattutto sui giovani e le donne meridionali. In Italia sono 3 milioni e 512mila i giovani Neet, cioè coloro che non lavorano né studiano, in aumento di oltre il 25% rispetto al 2008. Tra i Neet, due milioni sono donne e quasi due milioni sono meridionali. "Si inizia a credere che studiare non paghi più, alimentando così una spirale di impoverimento del capitale umano, determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di disoccupazione e scoraggiamento a investire nella formazione avanzata", sottolinea lo Svimez. Le donne continuano a lavorare poco: nel 2014 a fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell'Europa a 28 in eta' 35-64 anni, il Mezzogiorno e' fermo al 35,6%. Ancora peggio se si osserva l'occupazione delle giovani donne under 34: a fronte di una media italiana del 34% (in cui il centro-Nord arriva al 42,3%) e di una europea a 28 del 51%, il Sud si ferma al 20,8%. Tra i 15 e i 34 anni sono quindi occupate al Sud solo una donna su 5.
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