venerdì 16 maggio 2014

Sei proposte per cambiare la finanza. E l’Europa

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Un appello della Federazione delle banche etiche chiede di tassare le transazioni finanziarie, combattere i paradisi fiscali e il sistema bancario ombra
«Cambiamo la finanza per cam­biare l’Europa» è l’appello lan­ciato dalla Fede­ra­zione euro­pea delle ban­che eti­che e alter­na­tive — Febea, la rete di 25 isti­tuti in 14 Paesi euro­pei con oltre 500 mila tra soci e clienti. Un appello indi­riz­zato ai can­di­dati alla Pre­si­denza della Com­mis­sione e che chiede un impe­gno su sei pro­po­ste chiave per «ricon­durre la finanza al ser­vi­zio del bene comune».
La prima riguarda l’introduzione di una tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie per con­tra­stare spe­cu­la­zione ed eccessi quali il tra­ding ad alta fre­quenza. Il Par­la­mento ha votato a larga mag­gio­ranza per una sua intro­du­zione, la Com­mis­sione ha pub­bli­cato ormai due anni fa un’ottima bozza di diret­tiva, 12 Paesi hanno avviato una pro­ce­dura di coo­pe­ra­zione raf­for­zata per acce­le­rare i tempi. Eppure, uni­ca­mente a mag­gio del 2014 l’Ecofin sem­bra avere dato un timido via libera, ancora con mol­tis­sime ombre su quali saranno gli stru­menti sot­to­po­sti a tas­sa­zione e su tempi e moda­lità di intro­du­zione. La seconda verte sulla sepa­ra­zione tra ban­che com­mer­ciali e ban­che di inve­sti­mento. Una misura cen­trale anche secondo il rap­porto Lii­ka­nen, com­mis­sio­nato dalla stessa Ue per capire le prio­rità da affron­tare e gui­dato dal gover­na­tore della Banca Cen­trale fin­lan­dese. Una regola recen­te­mente rein­tro­dotta negli Usa ma ancora in fase embrio­nale nel vec­chio con­ti­nente. La terza chiede di rico­no­scere l’esistenza di diversi modelli ban­cari, e della finanza etica in par­ti­co­lare, anche nell’applicazione dell’accordo di Basi­lea III. Un accordo per ridurre il rischio e aumen­tare quan­tità e qua­lità dei patri­moni ban­cari, ma dura­mente cri­ti­cato anche per­ché pen­sato a “taglia unica” su misura per i gruppi di mag­giore dimen­sione. Nel tra­durre nell’Ue tale accordo (tra­mite la Diret­tiva Crd) sarebbe pos­si­bile rime­diare almeno in parte a tali stor­ture.
La richie­sta suc­ces­siva è per un impe­gno mag­giore nel con­tra­sto ai para­disi fiscali. Qual­cosa è stato fatto negli ultimi anni, ma con tempi spro­po­si­tati rispetto a quelli con cui l’ingegneria finan­zia­ria inventa nuovi truc­chi per elu­dere le poche regole in vigore. È neces­sa­rio ribal­tare l’attuale approc­cio, non pren­den­do­sela con l’isoletta tro­pi­cale di turno ma impe­dendo alle nostre imprese e ban­che di sfrut­tare le scap­pa­toie esi­stenti. Per que­sto ser­vono una ren­di­con­ta­zione Paese per Paese dei bilanci e la fine dell’anonimato sulla reale pro­prietà delle imprese.
Si passa poi al sistema ban­ca­rio ombra, quella ple­tora di società che si com­por­tano come ban­che senza essere sot­to­po­ste a con­trolli e vigi­lanza. È forse la que­stione che meglio mostra l’inaccettabile len­tezza dell’Ue. A set­tem­bre 2013 il Com­mis­sa­rio Bar­nier afferma che «dob­biamo adesso inte­res­sarci dei rischi cau­sati dal sistema ban­ca­rio ombra». Men­tre gli Stati sono sot­to­po­sti a un con­trollo stret­tis­simo, per que­sto gigan­te­sco sistema che si muove al di là di qual­siasi regola, oltre cin­que anni dopo il fal­li­mento della Leh­man Bro­thers, la Com­mis­sione, bontà sua, dichiara che è tempo di mostrare un qual­che inte­resse. In ultimo, l’appello pone una domanda sulla rego­la­men­ta­zione dei deri­vati, a par­tire dagli Otc, ovvero gli stru­menti nego­ziati al di fuori delle Borse valori e che sono uti­liz­zati per oltre il 90% in atti­vità pura­mente spe­cu­la­tive. Come in altri casi, qual­cosa è stato fatto (in par­ti­co­lare con la Diret­tiva Emir e l’introduzione di limiti per i deri­vati sulle mate­rie prime), ma è nuo­va­mente troppo poco per potere seria­mente con­tra­stare gli enormi impatti di tali stru­menti.
Le richie­ste potreb­bero essere anche altre, ma que­ste sei sono tra le più urgenti se non altro per evi­tare che un disa­stro come quello che ha col­pito l’Europa negli ultimi anni possa ripe­tersi. Par­liamo di pro­po­ste note da tempo, ma la cui intro­du­zione è impan­ta­nata tra ritardi, veti incro­ciati e infi­nite discus­sioni. Una situa­zione in cui gioca un peso deci­sivo l’azione delle poten­tis­sime lobby del set­tore. Per que­sto, al di là del merito, col­pi­sce come a lan­ciare l’appello siano 25 ban­che e isti­tuti finan­ziari. Ban­che che chie­dono regole certe e più strin­genti con­tro la finanza spe­cu­la­tiva, e che mostrano con­cre­ta­mente, tra­mite il loro ope­rato quo­ti­diano, come un modello ban­ca­rio net­ta­mente dif­fe­rente sia non solo pos­si­bile, ma fun­zioni anche molto meglio di quello tra­di­zio­nale. Due modi lon­ta­nis­simi di inten­dere la finanza. Da un lato un fine in se stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo pos­si­bile; dall’altro uno stru­mento tra­spa­rente al ser­vi­zio delle per­sone e dell’economia. La finanza come pro­blema o come parte della solu­zione. In ultima ana­lisi, l’appello domanda sem­pli­ce­mente ai can­di­dati alla pre­si­denza della Com­mis­sione da quale lato inten­dano schie­rarsi.

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