domenica 14 giugno 2020

Pensiero in ginocchio.

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ilsimplicissimus Anna Lombroso
Anche perché hanno convinzioni e interessi comuni, a cominciare proprio dalla manutenzione di un antirazzismo di facciata e, speculare ad esso, di una xenofobia propagandistica, come dimostrano i distinguo speciosi sulla regolarizzazione tarocca e “provvisoria” dei  migranti ordita dalla Bellanova che doveva interessare circa un terzo degli ipotetici 600.000 immigrati/e privi di permesso di soggiorno, lasciando fuori gli altri 400 mila, nelle mani di imprese criminali e diversamente criminali a svolgere mansioni servili in condizioni che in questi giorni non è corretto chiamare lavoro “nero” mentre invece non sarebbe lecito denominare morti “bianche” i loro assassinii.

La misura eccezionale in risposta al grido di dolore che saliva dai solchi riarsi e dai campi abbandonati, non ha avuto successo: pare siano state presentate solo 9 mila richieste, a dimostrazione che costa troppo mettersi in regola grazie al caporalato di Stato, farla franca sul piano penale e amministrativo presentando un’istanza entro il 15 luglio e pagando 400 euro e un’altra somma a forfait per i contributi non versati, sanzione che i negrieri autorizzati caricano sugli stranieri grazie al perfezionamento a norma di legge del ricatto e dell’intimidazione.

Ma ha invece successo l’ipocrisia, connotato antropologicamente molto presente nella nostra autobiografia nazionale, tanto che proprio Laura Boldrini con alcuni esponenti del Pd si è fatta interprete della proposta di estendere la portata del provvedimento, ampliando i pubblici interessati, non solo quindi braccianti, lavoratori agricoli, colf e badanti, ma tutti i settori che riguardano l’impiego di migranti attualmente irregolari sul territorio nazionale.

Sono le nuove frontiere umanitarie del progressismo neoliberista, che proprio quando il domicilio coatto ha incrementato la disoccupazione, butta sul mercato una merce lavoro ancora più intimorita e meno tutelata contribuendo ad abbassare il livello di richieste e rivendicazioni, perfettamente coerente con gli altri capisaldi della modernizzazione dello sfruttamento. Che consistono nella penalizzazione di chi non accetta salari inferiori agli standard contrattuali, nella celebrazione del volontariato come percorso formativo premiante, nella disapprovazione per chi percepisce un reddito di cittadinanza invitato a prestare la sua opera per meritare la carità pubblica, nel part time femminile che consente di combinare talento, guadagno, aspirazioni con le mansioni di cura in sostituzione dei servizi sociali. E poi nella digitalizzazione, lo smartworking, la didattica a distanza, promossi, da formule aggiuntive a lavoro e istruzione, la conquista, si,  ma per il padronato che ottiene il risultato di isolare ancora di più i sottoccupati e i precari, di gratificarli con una imitazione della libertà che si realizza  nel regolare da sé il cottimo, di annullare identità e rivendicazioni di “categoria”.

È che certe leggi sono come i monumenti eretti agli “indegni”, bisognava pensarci prima di farli, perché poi rimuoverli, anche psicoanaliticamente, e demolirli non basta a cancellare la vergogna collettiva di averli adottate e permessi. E infatti non si ricorda una reazione popolare all’atto di tirar su la statua del prestigioso pedofilo, meno che mai si è vista quando una giunta “democratica” decide di omaggiare il “macellaio di Fezzan”, criminale di guerra, con sacrario e parco annesso, del quale ci si accorse tardivamente a lavoro fatto e che oggi viene difeso dalle autorità locali in qualità di simbolo del superamento del pregiudizio storico. Così a opporsi alla titolazione di una strada a Bottai c’erano quattro gatti, ricorrentemente spunta la pretesa di commemorare col marmo fascistoni impuniti, mentre popolazioni festanti si prodigano per promuovere la consegna all’immortalità, in bronzo o basalto, delle icone di Mediaset.
Un obelisco, una stele, un busto, vedi caso, non vengono posti in spazi pubblici per “ricordare”,  ma  onorare e glorificare le personalità ritratte e le loro gesta: demolirli non azzera il permesso che abbiamo conferito a perpetuarne la memoria. E ben altro ci vuole per stabilite la verità storica, manomessa e impiegata invece per legittimare la continuità aggiornata alle nuove esigenze ideologiche totalitarie.

Ci vorrebbero i fatti: che ci si inginocchi contro il razzismo non redime della permanenza nella nostra giurisprudenza della Bossi-Fini, della Legge Maroni, della Turco-Napolitano, che non sono state oggetto del ricorso ai pochi strumenti partecipativi e democratici ancora disponibili, raccolta di firme per la loro impugnazione, referendum, delle disposizioni a forma di Minniti, che hanno creato l’edificio, o il monumento, di oltraggio dei diritti del decreto sicurezza di Salvini, che risponde all’esigenza di ampliare il concetto di criminalizzazione dei “diversi” per pelle, religione, uso dell’aglio nelle vivande, aggiungendo alle trasgressioni di rito la critica, il dissenso e soprattutto il reato di povertà, offensivo del decoro.
E d’altra parte cosa si pretende, che dopo tante dichiarazioni, assicurazioni, proclami davvero si dia forma al minimo sindacale del contrasto ai principi irrinunciabili del fascismo, declinazione naturale dei totalitarismi, compreso questo, economico e finanziario, cassando e estinguendo il delitto contro lo stato di diritto?
Proprio quando poi serve da cornice a misure di eccezione, leggi speciali, conferimento di poteri a autorità speciali che aggirano le istituzioni e la superstite “rappresentanza” anche tramite “Stati Generali”?
Proprio quando la brava gente che ha fatto finta di non sapere dell’uso dei gas in guerre coloniali, di deportazioni e stragi, dell’esportazione di sfruttamento e corruzione, si arrende alla fatale inevitabilità del commercio di armi, più favorevole e redditizio perfino dell’imperialismo e della dissipazione di risorse altrui, alla triste ma ineluttabile resa alle leggi del mercato e della realpolitik?
E protesta su Facebook, mentre ha taciuto sulla concessione di estese aree del Paese all’influente alleato che ne ha fatto poligoni di tiro, geografie di sperimentazioni e test venefici, dependance per produzioni belliche ingombranti in patria, trampolini di lancio e magazzini per le salmerie per degli eserciti dei partner che portano morte, fame e distruzione in quei territori dai quali sono costretti a fuggire popolazioni che, per ora, stanno peggio di noi.
Per ora. Perché già da tempo sono iniziati gli esodi, dalle città occupate, dai campi avvelenati. Perché la minaccia della carestia si sta concretizzando. Perché la persuasione che basta la salute non ci risparmia da altri rischi cui siamo costretti ad esporci, la rinuncia alla liberta e all’autodeterminazione, l’abiura da diritti e conquiste in cambio di prestiti, elargizioni arbitrarie, la resa alla servitù, che ci ha già messi, noi si, in ginocchio.

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