Penso sarà l’ultima volta
che scrivo sulle vicende interne del Movimento 5 stelle. Non perché non
mi interessi capire le logiche e gli orientamenti di un partito al
governo, ma semplicemente perché il Movimento 5 stelle, nel quale ho
militato per 10 anni, sul programma del quale ho chiesto per varie volte
la fiducia dei cittadini, non esiste più. O forse il movimento 5
stelle non è mai esistito ed è stato tutto un enorme inganno, uno dei
più grandi e fulminei inganni della storia politica italiana.
Nato nel 2009 come aggregazione di istanze territoriali, con la carta di Firenze, e con il presunto obiettivo di incentivare il senso civico italiano con lo slogan “diventa sindaco del tuo metro quadro” in un periodo di profonda crisi economica e insoddisfazione ha effettivamente convogliato il senso di frustrazione degli italiani in obiettivi nobili (acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo), conditi da una profonda aspirazione a una politica nobile, di partecipazione e diffusa.
Nel 2012 il movimento si rifonda ed entra in un Parlamento che si propone di aprire come una scatola di tonno e illuminare tutto quello che vi accade per portarlo all’attenzione dei cittadini. Cittadini che, a loro volta, devono diventare attori protagonisti della politica del loro paese.
Infine ne 2017 diventa, con un nuovo statuto verticistico, un partito di governo con una “classe dirigente” autoproclamata senza nessun tipo di riconoscimento o legittimazione dal basso. Anzi, a ben vedere, la classe dirigente attuale del movimento, quella che occupa le poltrone di governo, probabilmente parzialmente sottesa a tutte le epoche dal 2009 in poi, ha una caratteristica: non ha mai avuto legittimazione territoriale od elettorale e proviene da zone dove i 5 stelle non sono mai decollati.
Una scalata interna tutta di potere e conoscenze che ha selettivamente escluso tutti coloro che reti territoriali ne avevano (da Pizzarotti, a Fucci, sindaci apprezzatissimi dalla cittadinanza). Una classe dirigente, insomma, priva di ideali, programmi e visione nonché di legami con la base.
Base che, volente o nolente, a parte nei momenti elettorali, è fastidiosa nel chiedere interventi concreti sul territorio che magari cozzano con le logiche di potere. Una non-struttura ove si è venuta a selezionare in maniera darwinina un’oligarchia feroce e stalinista che non esita ad epurare chiunque, singolo o gruppo, tenti di legarla a degli impegni precisi. Una dote trasformistica che spesso sento, dagli stessi oligarchi, chiamare “resilienza”, ma che in realtà ricorda molto un racconto della serie del commissario Montalbano, chiamato “la forma dell’acqua”.
Si passa così dallo streaming con Bersani agli stati generali con i grandi imprenditori e le élite europee, a porte chiuse, a villa Pamphili. Dalla raccolta firme per l’acqua pubblica del 2012 e dai proclami di lotta all’evasione fiscale nonché dalla donazione degli stipendi parlamentari al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, al piano Colao che propone i beni pubblici a garanzia di prestiti bancari per le grandi imprese, l’ulteriore privatizzazione dell’acqua, e il condono per i grandi capitali non dichiarati in contanti.
Nato da un comico e da un imprenditore e da vari ideologi scaricati poi nel corso degli anni a seconda della convenienza del momento, evidentemente aveva come nucleo centrale della faccenda l’apparenza e la “recita” convincente per un obiettivo: il potere per il potere. D’altronde negli anni, dal bilancio per i gruppi parlamentari si sono investite cifre enormi per il gruppo comunicazione, spesso uguali o maggiori di quelle assegnate al gruppo legislativo e la comunicazione ha avuto sempre un ruolo centrale nel costruire personaggi e vestire e limare contenuti con l’obbiettivo di tenere insieme anime diverse. Tutto questo al grido del mantra motivazionale “rimaniamo uniti, il nemico è fuori”. O le raccomandazioni del capo comunicazione di turno di dire, alle brutte se non si hanno risposte, “noi siamo onesti” che comunicativamente spacca.
Il movimento, alle elezioni del parlamento nel 2018, ha ottenuto un credito di fiducia enorme , proveniente da ogni settore ideologico, dall’estrema sinistra all’estrema destra, con una capacità di marketing politico eccezionale. Se devo indicare un vincitore delle elezioni politiche del 2018 non posso che pensare a Rocco Casalino. So che molti storceranno il naso, ma la comunicazione è un’arma potentissima.
Detto questo, una volta raggiunto il potere, conquistata la capacità di fare nomine nei luoghi che contano, decidere nella legge di stabilità dove convogliare i flussi di denaro, piazzare gli ex- compagni di scuola in ogni dove nei vari ministeri, è ovvio che un’oligarchia non abbia nessuna intenzione di mettersi in discussione. Men che meno per motivi “ideali” visto che al suo interno ne albergano di ogni genere e non resta che scegliere quello più consono alla scalata del momento.
E veniamo alle battaglie nel Movimento per la cosiddetta leadership. A parte che il termine leadership era una bestemmia per un movimento che proponeva la democrazia dal basso, ma va da sé che in un sistema darwiniano la leadership si ottenga semplicemente facendo morti e feriti con tatticismi ad hoc. Messa nel cassetto la pretesa ideale, da “giorno della marmotta”, come dice Beppe rivolto ad Alessandro Di Battista, di essere stati un gruppo politico e non il cast di uno spettacolo ove gli attori cambiano copione e travestimento a seconda dei gusti del pubblico a cui devono vendere i biglietti, è chiaro che le varie “anime” messe insieme per raccattare consensi da ogni ambito di insoddisfazione si dividano. C’e’ tutta la parte complottista che girava attorno a vari blogger di tendenza (uno è stato pure responsabile dell’ufficio comunicazione Senato) alla quale era stata data una grande sponda in termini di idee no vax, complotti mondiali di vario genere, scie chimiche, Soros, Bilderberg. Questa parte si è raccolta attorno al movimento R2020 capeggiato da Barillari (candidato presidente della regione Lazio nel 2013, mica uno qualunque) e Sara Cunial, esclusa e poi ripescata nelle liste venete per la Camera dei deputati. C’e’ una parte che afferiva agli ideali identitari e sovranisti antieuropeisti che afferisce a Alessandro Di Battista e Paragone. C’e’ un gruppo proveniente dalla sinistra dei beni comuni, dell’universalismo e dei diritti civili. Infine ci sono le associazioni che i sono avvicinate al movimento per temi territoriali specifici (NO TAV, NO MUOS, NO ILVA, Acqua pubblica) che sono quelli immediatamente bastonati e sacrificati sull’altare della governabilità “per il bene degli italiani”. Che poi non si capisce quale sia questo bene visto che siamo tutti italiani e abbiamo idee di “bene“ diverse.
Ora è vero che l’uscita di Dibba, che chiede gli Stati generali di un movimento che non esiste più, è fuori dal tempo. Un movimento che non doveva avere capi politici che si trova con un capo politico pro-tempore, già scaduto da mesi secondo statuto che tuttavia, essendo anche sottosegretario e anche membro del comitato di appello si è prorogato da solo impegnandosi a espellere chi pensa possa mettere in pericolo il governo di cui fa parte e rifiuta i ricorsi di chi contesta l’espulsione, in veste di decisore del comitato d’appello. Un concentrato di disonestà intellettuale, abusivismo politico e interferenza tra poteri dello Stato che poco ha a che far con la democrazia rappresentativa, figuriamoci con la democrazia diretta
Non ha nessuna speranza chiunque voglia aspirare a cariche in una oligarchia di governo, può solo prendersi sonore sberle e sberleffi come è successo ad Alessandro Di Battista.
L’oligarchia non ha interesse a presidi territoriali né a consensi diffusi. Poco aspira, se non come immagine, a impelagarsi nelle questioni regionali, anche perché non ha, tra i fedelissimi, persone adatte ad amministrare. Non esiste una classe dirigente degna di questo nome. Basta quel 10-14% di consensi nazionali ottenuti sulla scia di campagne pubblicitarie efficaci di marketing politico, che consentano di volta in volta di fare, come dicono loro, l ”ago della bilancia” del governo. O, come dico io i “Casini” (nel senso di Pierferdinando) della situazione rimanendo immarcescibili infilati in ogni luogo di potere adattandosi, come l’acqua, alla forma del recipiente che li conterrà nei luoghi che contano.
Nato nel 2009 come aggregazione di istanze territoriali, con la carta di Firenze, e con il presunto obiettivo di incentivare il senso civico italiano con lo slogan “diventa sindaco del tuo metro quadro” in un periodo di profonda crisi economica e insoddisfazione ha effettivamente convogliato il senso di frustrazione degli italiani in obiettivi nobili (acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo), conditi da una profonda aspirazione a una politica nobile, di partecipazione e diffusa.
Nel 2012 il movimento si rifonda ed entra in un Parlamento che si propone di aprire come una scatola di tonno e illuminare tutto quello che vi accade per portarlo all’attenzione dei cittadini. Cittadini che, a loro volta, devono diventare attori protagonisti della politica del loro paese.
Infine ne 2017 diventa, con un nuovo statuto verticistico, un partito di governo con una “classe dirigente” autoproclamata senza nessun tipo di riconoscimento o legittimazione dal basso. Anzi, a ben vedere, la classe dirigente attuale del movimento, quella che occupa le poltrone di governo, probabilmente parzialmente sottesa a tutte le epoche dal 2009 in poi, ha una caratteristica: non ha mai avuto legittimazione territoriale od elettorale e proviene da zone dove i 5 stelle non sono mai decollati.
Una scalata interna tutta di potere e conoscenze che ha selettivamente escluso tutti coloro che reti territoriali ne avevano (da Pizzarotti, a Fucci, sindaci apprezzatissimi dalla cittadinanza). Una classe dirigente, insomma, priva di ideali, programmi e visione nonché di legami con la base.
Base che, volente o nolente, a parte nei momenti elettorali, è fastidiosa nel chiedere interventi concreti sul territorio che magari cozzano con le logiche di potere. Una non-struttura ove si è venuta a selezionare in maniera darwinina un’oligarchia feroce e stalinista che non esita ad epurare chiunque, singolo o gruppo, tenti di legarla a degli impegni precisi. Una dote trasformistica che spesso sento, dagli stessi oligarchi, chiamare “resilienza”, ma che in realtà ricorda molto un racconto della serie del commissario Montalbano, chiamato “la forma dell’acqua”.
Si passa così dallo streaming con Bersani agli stati generali con i grandi imprenditori e le élite europee, a porte chiuse, a villa Pamphili. Dalla raccolta firme per l’acqua pubblica del 2012 e dai proclami di lotta all’evasione fiscale nonché dalla donazione degli stipendi parlamentari al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, al piano Colao che propone i beni pubblici a garanzia di prestiti bancari per le grandi imprese, l’ulteriore privatizzazione dell’acqua, e il condono per i grandi capitali non dichiarati in contanti.
Nato da un comico e da un imprenditore e da vari ideologi scaricati poi nel corso degli anni a seconda della convenienza del momento, evidentemente aveva come nucleo centrale della faccenda l’apparenza e la “recita” convincente per un obiettivo: il potere per il potere. D’altronde negli anni, dal bilancio per i gruppi parlamentari si sono investite cifre enormi per il gruppo comunicazione, spesso uguali o maggiori di quelle assegnate al gruppo legislativo e la comunicazione ha avuto sempre un ruolo centrale nel costruire personaggi e vestire e limare contenuti con l’obbiettivo di tenere insieme anime diverse. Tutto questo al grido del mantra motivazionale “rimaniamo uniti, il nemico è fuori”. O le raccomandazioni del capo comunicazione di turno di dire, alle brutte se non si hanno risposte, “noi siamo onesti” che comunicativamente spacca.
Il movimento, alle elezioni del parlamento nel 2018, ha ottenuto un credito di fiducia enorme , proveniente da ogni settore ideologico, dall’estrema sinistra all’estrema destra, con una capacità di marketing politico eccezionale. Se devo indicare un vincitore delle elezioni politiche del 2018 non posso che pensare a Rocco Casalino. So che molti storceranno il naso, ma la comunicazione è un’arma potentissima.
Detto questo, una volta raggiunto il potere, conquistata la capacità di fare nomine nei luoghi che contano, decidere nella legge di stabilità dove convogliare i flussi di denaro, piazzare gli ex- compagni di scuola in ogni dove nei vari ministeri, è ovvio che un’oligarchia non abbia nessuna intenzione di mettersi in discussione. Men che meno per motivi “ideali” visto che al suo interno ne albergano di ogni genere e non resta che scegliere quello più consono alla scalata del momento.
E veniamo alle battaglie nel Movimento per la cosiddetta leadership. A parte che il termine leadership era una bestemmia per un movimento che proponeva la democrazia dal basso, ma va da sé che in un sistema darwiniano la leadership si ottenga semplicemente facendo morti e feriti con tatticismi ad hoc. Messa nel cassetto la pretesa ideale, da “giorno della marmotta”, come dice Beppe rivolto ad Alessandro Di Battista, di essere stati un gruppo politico e non il cast di uno spettacolo ove gli attori cambiano copione e travestimento a seconda dei gusti del pubblico a cui devono vendere i biglietti, è chiaro che le varie “anime” messe insieme per raccattare consensi da ogni ambito di insoddisfazione si dividano. C’e’ tutta la parte complottista che girava attorno a vari blogger di tendenza (uno è stato pure responsabile dell’ufficio comunicazione Senato) alla quale era stata data una grande sponda in termini di idee no vax, complotti mondiali di vario genere, scie chimiche, Soros, Bilderberg. Questa parte si è raccolta attorno al movimento R2020 capeggiato da Barillari (candidato presidente della regione Lazio nel 2013, mica uno qualunque) e Sara Cunial, esclusa e poi ripescata nelle liste venete per la Camera dei deputati. C’e’ una parte che afferiva agli ideali identitari e sovranisti antieuropeisti che afferisce a Alessandro Di Battista e Paragone. C’e’ un gruppo proveniente dalla sinistra dei beni comuni, dell’universalismo e dei diritti civili. Infine ci sono le associazioni che i sono avvicinate al movimento per temi territoriali specifici (NO TAV, NO MUOS, NO ILVA, Acqua pubblica) che sono quelli immediatamente bastonati e sacrificati sull’altare della governabilità “per il bene degli italiani”. Che poi non si capisce quale sia questo bene visto che siamo tutti italiani e abbiamo idee di “bene“ diverse.
Ora è vero che l’uscita di Dibba, che chiede gli Stati generali di un movimento che non esiste più, è fuori dal tempo. Un movimento che non doveva avere capi politici che si trova con un capo politico pro-tempore, già scaduto da mesi secondo statuto che tuttavia, essendo anche sottosegretario e anche membro del comitato di appello si è prorogato da solo impegnandosi a espellere chi pensa possa mettere in pericolo il governo di cui fa parte e rifiuta i ricorsi di chi contesta l’espulsione, in veste di decisore del comitato d’appello. Un concentrato di disonestà intellettuale, abusivismo politico e interferenza tra poteri dello Stato che poco ha a che far con la democrazia rappresentativa, figuriamoci con la democrazia diretta
Non ha nessuna speranza chiunque voglia aspirare a cariche in una oligarchia di governo, può solo prendersi sonore sberle e sberleffi come è successo ad Alessandro Di Battista.
L’oligarchia non ha interesse a presidi territoriali né a consensi diffusi. Poco aspira, se non come immagine, a impelagarsi nelle questioni regionali, anche perché non ha, tra i fedelissimi, persone adatte ad amministrare. Non esiste una classe dirigente degna di questo nome. Basta quel 10-14% di consensi nazionali ottenuti sulla scia di campagne pubblicitarie efficaci di marketing politico, che consentano di volta in volta di fare, come dicono loro, l ”ago della bilancia” del governo. O, come dico io i “Casini” (nel senso di Pierferdinando) della situazione rimanendo immarcescibili infilati in ogni luogo di potere adattandosi, come l’acqua, alla forma del recipiente che li conterrà nei luoghi che contano.
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