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Il 7 maggio scorso, la Global Commission on Drug Policy (organizzazione internazionale nata nel 2011), ha pubblicato un nuovo rapporto sull’applicazione delle leggi sulla droga nel mondo.
Fondata da ex capi di Stato o di governo, da leader esperti e noti del mondo politico, economico e culturale, la Commissione è senza dubbio tra i più autorevoli soggetti internazionali in sostegno a politiche sulla droga basate su prove scientifiche, diritti umani, salute pubblica e sicurezza.
Fondata da ex capi di Stato o di governo, da leader esperti e noti del mondo politico, economico e culturale, la Commissione è senza dubbio tra i più autorevoli soggetti internazionali in sostegno a politiche sulla droga basate su prove scientifiche, diritti umani, salute pubblica e sicurezza.
Per il podcast antiproibizionista “Stupefatti”, di cui siamo autori, abbiamo analizzato nel dettaglio il rapporto 2020 ed evidenziato come sia focalizzato sulla correlazione tra leggi proibizioniste e criminalità organizzata.
La tesi del documento è schiacciante: dopo cinquant’anni di approccio repressivo e “militarista”, la guerra alla droga ha fallito nel ridurre il consumo di sostanze stupefacenti e nel contrastare efficacemente il narcotraffico internazionale ed ha ulteriormente impoverito ed emarginato le fasce più deboli della popolazione.
“Una guerra che è stata combattuta per mezzo secolo e non è stata vinta, è una guerra persa”, ha commentato Juan Manuel Santos, membro della Commissione, ex Presidente della Colombia e Premio Nobel per la pace nel 2016.
Proibire e comminare pene pesanti per il consumo e lo spaccio non ha quindi sortito l’effetto sperato, ha evidenziato Louise Arbour, già Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU: “nonostante il suo obiettivo, questa guerra, per come è stata concepita e attuata, è stata essenzialmente una guerra alla popolazione civile. Le grandi organizzazioni criminali non sono nemmeno state scalfite.”
Proibire e comminare pene pesanti per il consumo e lo spaccio non ha quindi sortito l’effetto sperato, ha evidenziato Louise Arbour, già Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU: “nonostante il suo obiettivo, questa guerra, per come è stata concepita e attuata, è stata essenzialmente una guerra alla popolazione civile. Le grandi organizzazioni criminali non sono nemmeno state scalfite.”
Le 52 pagine, ricche di dati e analisi, del rapporto si traducono in un appello a tutti gli Stati affinché riconoscano l’inadeguatezza delle leggi repressive sul consumo e il possesso di sostanze e avviino riforme coraggiose in materia. Si invitano inoltre gli Stati a riconoscere la natura transnazionale delle organizzazioni criminali e a dotarsi di adeguati strumenti che consentano alle forze dell’ordine di coordinarsi a livello internazionale. Viene inoltre rilevato come la regolamentazione delle droghe, partendo proprio dai dati che arrivano dai Paesi che hanno legalizzato la cannabis, unitamente ad un approccio che dia priorità a salute, pubblica sicurezza e diritti umani, rappresenti “la via responsabile per indebolire la criminalità organizzata e al contempo per salvaguardare principi più ampi di giustizia, sviluppo e inclusione sociale ed economica”.
La Commissione infrange quindi il tabù sulle conseguenze negative della cosiddetta “war on drugs”, chiedendo agli Stati membri del’ONU, e quindi anche all’Italia, un cambiamento di paradigma affinché si dia priorità alla tutela del cittadino attraverso interventi di riduzione del danno e del rischio nel consumo di sostanze, e si abbandonino leggi repressive che colpiscono esclusivamente i consumatori.
Mentre in Italia migliaia di cittadini hanno deciso di aderire all’iniziativa “IoColtivo”, promossa insieme a Dolce Vita, Radicali Italiani, Meglio Legale e all’Associazione Luca Coscioni, mentre da tempo immemore chiediamo una riforma del Testo unico sugli stupefacenti (che risale al 1990), proponendo la legalizzazione della cannabis e la depenalizzazione del possesso e del consumo di tutte le sostanze, quale primo ma fondamentale passo verso una più efficace azione di contrasto al crimine e di tutela per la pubblica sicurezza e la salute dei consumatori, il prezioso lavoro della Global Commission on Drug Policy non può che rappresentare un ulteriore stimolo anche per il nostro Paese affinché si chiuda questa fase oscurantista, illiberale e poco redditizia di contrasto alla droga, per inaugurarne, finalmente, una nuova più libertaria, più scientifica e conveniente.
È possibile approfondire nel dettaglio i molti altri aspetti rivoluzionari del nuovo documento ascoltando l’episodio numero 15 del podcast “Stupefatti” intitolato “Una pietra miliare” e disponibile gratuitamente su Spotify, Apple, Google Podcast e YouTube.
di Bonvicini, Crivellini, Frega
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