Ho letto che la rana messa in una pentola
d'acqua fredda, si lascia bollire lentamente senza saltare fuori perché
non avverte il graduale cambio di temperatura come pericolo e quando lo
avverte è troppo tardi.
Così stiamo facendo noi con la crisi climatica,
non solo, ma sicuramente anche in Italia.
Scorro i dati (ISPRA, Gli indicatori del clima in Italia nel 2017) e leggo una sequenza impressionante: il 2017 è stato il terzo anno più caldo mai verificato in Italia, con un aumento medio rispetto al trentennio 1961-1990 di 1,3 °C - peggio della media mondiale di 1,2- abbiamo avuto i periodi più lunghi della peggiore siccità dal 1800 a oggi, è stato anche l'anno record degli incendi forestali, con il numero più alto di incendi registrato in Europa.
E quando piove, come all'inizio di quest'anno, pare di essere in un paese tropicale: acquazzoni violenti di breve durata che, come bombe d'acqua, generano allagamenti, frane; venti forti che abbattono alberi e scoperchiano tetti, con una violenza e una frequenza sconosciute fino a pochi decenni anni fa.
Poi mi guardo intorno, leggo qualche giornale, guardo i Tg, scorro alcuni social: qualche riferimento c'è alle giornate torride di questa settimana, agli incendi in Grecia e in California. La crisi climatica, tuttavia, non figura fra le priorità politiche, non è fra le preoccupazioni segnalate come centrali e, soprattutto, è estranea ai provvedimenti prioritari di cui si discute del governo o del Parlamento e pare non riguardare i leader politici protagonisti del dibattito pubblico. Sia ben chiaro: non da oggi, questa disattenzione è una costante da anni. Oggi mi pare solo più evidente perché la crisi climatica si sta aggravando rapidamente.
E smettiamola di dire che l'Italia ha fatto la sua parte per il clima, anzi che avrebbe fatto meglio degli altri Paesi. Fino al 2014 le emissioni di gas serra in Italia, anche per effetto della recessione economica, sono scese di circa il 17% rispetto a quelle del 1990.
Dal 2014, con la ripresa, sia pure lenta, dell'economia, le emissioni di gas serra in Italia non sono più diminuite: negli ultimi 4 anni sono rimaste ferme o sono aumentate, arrivando intorno a 430 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, un valore più alto delle emissioni del 2014. Anche nel 2017, secondo stime fatte dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in attesa dei dati ufficiali, le emissioni in Italia sono aumentate, anche se di poco, tra lo 0,5 e l'1%.
Con il trend degli ultimi anni, anche in presenza di una crescita economica modesta, l'Italia non raggiungerebbe l'obiettivo europeo di riduzione dei gas serra al 2030 e sarebbe ben lontana dall'attuazione dell'Accordo di Parigi per il clima. Cambiare sostanzialmente questo trend e portarlo ad una riduzione intorno al 2% l'anno, è ancora possibile, ma è molto impegnativo. Servirebbe un cambio effettivo di marcia e di priorità.
Scorro i dati (ISPRA, Gli indicatori del clima in Italia nel 2017) e leggo una sequenza impressionante: il 2017 è stato il terzo anno più caldo mai verificato in Italia, con un aumento medio rispetto al trentennio 1961-1990 di 1,3 °C - peggio della media mondiale di 1,2- abbiamo avuto i periodi più lunghi della peggiore siccità dal 1800 a oggi, è stato anche l'anno record degli incendi forestali, con il numero più alto di incendi registrato in Europa.
E quando piove, come all'inizio di quest'anno, pare di essere in un paese tropicale: acquazzoni violenti di breve durata che, come bombe d'acqua, generano allagamenti, frane; venti forti che abbattono alberi e scoperchiano tetti, con una violenza e una frequenza sconosciute fino a pochi decenni anni fa.
Poi mi guardo intorno, leggo qualche giornale, guardo i Tg, scorro alcuni social: qualche riferimento c'è alle giornate torride di questa settimana, agli incendi in Grecia e in California. La crisi climatica, tuttavia, non figura fra le priorità politiche, non è fra le preoccupazioni segnalate come centrali e, soprattutto, è estranea ai provvedimenti prioritari di cui si discute del governo o del Parlamento e pare non riguardare i leader politici protagonisti del dibattito pubblico. Sia ben chiaro: non da oggi, questa disattenzione è una costante da anni. Oggi mi pare solo più evidente perché la crisi climatica si sta aggravando rapidamente.
E smettiamola di dire che l'Italia ha fatto la sua parte per il clima, anzi che avrebbe fatto meglio degli altri Paesi. Fino al 2014 le emissioni di gas serra in Italia, anche per effetto della recessione economica, sono scese di circa il 17% rispetto a quelle del 1990.
Dal 2014, con la ripresa, sia pure lenta, dell'economia, le emissioni di gas serra in Italia non sono più diminuite: negli ultimi 4 anni sono rimaste ferme o sono aumentate, arrivando intorno a 430 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, un valore più alto delle emissioni del 2014. Anche nel 2017, secondo stime fatte dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in attesa dei dati ufficiali, le emissioni in Italia sono aumentate, anche se di poco, tra lo 0,5 e l'1%.
Con il trend degli ultimi anni, anche in presenza di una crescita economica modesta, l'Italia non raggiungerebbe l'obiettivo europeo di riduzione dei gas serra al 2030 e sarebbe ben lontana dall'attuazione dell'Accordo di Parigi per il clima. Cambiare sostanzialmente questo trend e portarlo ad una riduzione intorno al 2% l'anno, è ancora possibile, ma è molto impegnativo. Servirebbe un cambio effettivo di marcia e di priorità.
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