Laico è notoriamente il contrario di religioso.
Discutere
con pacatezza di questioni metafisiche, tra credenti di fedi
differenti, soprattutto se seguaci di religioni rivelate, è cosa quanto
mai difficile, poiché ciascun credente è convinto di essere nel giusto,
in quanto la propria fede è depositaria di verità trasmesse direttamente
dalla divinità.
E’ opportuno ricordare che
religioni rivelate sono l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam , spesso
in opposizione tra loro ed i libri di storia sono pieni delle feroci e
sanguinosi contrasti che nei secoli hanno generato i loro seguaci.
Ma cosa centra la religione con le pensioni italiane?
Assolutamente nulla.
Ma
nella laica Europa in generale e nella secolarizzata Italia in
particolare, ormai , discettare di alcune questioni economiche ha
assunto sempre di più la parvenza di contrapposizioni dogmatiche
religiose, al limite del misticismo.
Da un lato
abbiamo i sacerdoti dell’austerità, i neotolemaici, gli interpreti delle
sacre scritture di Bruxelles, che ci propinano mitologie economiche,
per cui esistono solo verità rivelate, come l’infallibilità del libero
mercato nella corretta allocazione delle risorse.
Libero
mercato, assenze di barriere doganali, indipendenza della banca
centrale, stabilità dei prezzi, liberi scambi sono per essi condizioni
imprescindibili per le nostre future magnifiche e progressive sorti ed
hanno la stessa ineluttabilità della legge di gravità.
Secondo
questi sacerdoti tutto deve girare attorno all’euro ed alla sua
artificiale costruzione, che si basa sul rigore dei conti pubblici e sul
taglio del debito sovrano, anche se questo comporta distruzione dello
stato sociale, aumento della povertà e della miseria.
Spacciano per verità assolute teorie che erano già vecchie quando Keynes le confutò illo tempore,
ma ciò non di meno, anche contro quello che è il principio di realtà,
continuano a salmodiare che l’euro è irreversibile , che “ hic manebimus optime, nulla salus extra eclesiam “ . e che se non si sono ottenuti i risultati attesi è perché bisognava liberalizzare di più e fare più tagli, rectius, riforme strutturali.
Non è sbagliato il metodo, ma è sbagliata la realtà.
La
crisi è passata, stiamo tutti meglio e se qualcuno dice il contrario è
perché ha una errata percezione delle cose. Questo affermano i
neotolemaici.
Poi ci sono i neogalileiani come me,
quelli che applicano il metodo sperimentale, detto anche
induttivo-deduttivo, i quali ritengono l’economia non una scienza
esatta, ma una scienza sociale che dovrebbe avere come obiettivo far
stare meglio le persone e non distruggerle per il perseguimento di un
futuro distopico, quale la costruzione di un’Europa senza popoli, senza
tradizioni, senza religione e senza patrie, ma fatta da banche e da
istituzioni finanziarie e politiche internazionali prive di qualsiasi
mandato popolare, ma garanti dei desiderata di lobbies e potentati apolidi.
Fatta
chiarezza sullo spirito che anima questo breve lavoro, lo scrivente
cercherà di proporre alcune considerazioni sul sistema pensionistico
italiano e se la legge Fornero sia riformabile o meno.
I
dati che riporterò sono stati desunti da uno studio della Ragioneria
Generale dello Stato, istituzione quanto mai credibile e degna di
fiducia.
Prima di entrare nel merito, è necessario fornire alcuni concetti di base affinché sia più chiara la trattazione successiva.
La pensione è un salario differito, così come lo stato sociale è un salario diffuso.
Essa svolge per il percipiente sia una funzione assicurativa che previdenziale ed assistenziale.
Il sistema pensionistico garantisce l’erogazione delle pensioni.
E’
un meccanismo redistributivo, che trasferisce risorse correntemente
prodotte dalla popolazione attiva a favore di chi ha cessato l’attività
lavorativa per ragioni di età anagrafica (pensioni di vecchiaia) o di
età contributiva (pensioni di anzianità).
Inoltre,
garantisce un reddito a chi non è più in grado di partecipare al
processo produttivo per una sopravvenuta incapacità lavorativa (pensioni
di invalidità) o, pur non essendo mai stato forza lavorativa, è legato
da rapporti familiari con persone decedute, che hanno fatto parte della
forza- lavoro (pensioni ai superstiti).
Si
interviene, poi, anche in favore di chi è sprovvisto di qualunque forma
di reddito e non è in grado di lavorare (pensioni assistenziali).
Tale
sistema è finanziato dai contributi sociali versati dai lavoratori e
dai datori di lavoro agli enti che erogano prestazioni pensionistiche:
in presenza di squilibrio tra spese pensionistiche ed entrate
contributive, lo Stato interviene ricorrendo alla fiscalità generale.
I
sistemi pensionistici si dividono secondo le modalità di finanziamento
in sistemi a ripartizione e sistemi a capitalizzazione, questi ultimi
tanto cari all’U.E..
Nel
sistema a ripartizione in ogni periodo il gettito contributivo (somma
dei contributi sociali versati) è destinato al finanziamento delle
prestazioni erogate nello stesso periodo.
Esiste, quindi, un patto intergenerazionale per cui : Ct = Pt ( tutti i contributi versati nell’anno t che indichiamo con Ct vanno a finanziare le pensioni Pt erogate nello stesso anno ).
Nel
sistema a capitalizzazione, invece, i contributi che ogni lavoratore
versa nel periodo di attività lavorativa sono investiti sul mercato dei
capitali.
La
pensione corrisponderà al montante accumulato ( contributi versati più
gli interessi composti maturati) negli anni lavorativi e sarà riscossa
sotto forma di rendita : Pt+1 = Ct ( 1+i).
Si
può facilmente dimostrare che il rendimento implicito per un sistema a
ripartizione ove si versano i contributi al tempo t e si percepisce la
pensione al tempo t+1 è pari a m+n, avendo indicato con m il tasso di crescita della produttività e con n il tasso di crescita dell’occupazione.
Per il sistema a capitalizzazione il rendimento è pari ad i , tasso a cui sono stati investiti sul mercato dei capitali i contributi versati.
Con il sistema a ripartizione esistono
due fondamentali metodi di calcolo della pensione: il metodo
retributivo ed il metodo contributivo che si eviterà di analizzare per
brevità espositiva.
Prime considerazioni di carattere generale: con l’austerità ed il QE entrambi i sistemi vanno in affanno.
Infatti,
con il QE i tassi sono prossimi allo zero e quindi i sistemi a
capitalizzazione, per garantire le pensioni, necessitano di versamenti
contributivi maggiori, essendo il rendimento i prossimo allo zero.
Con
l’austerità entrano in difficoltà anche i sistemi a ripartizione,
poiché scendono drasticamente sia la produttività, che l’occupazione.
Si
può sicuramente affermare che le politiche economiche europee
conseguenti alla crisi del 2008 vanno decisamente contro i sistemi
pensionistici di qualunque tipo essi siano.
Ma
procediamo ad affrontare un tema di grande attualità e che interessa
direttamente anche lo scrivente: è possibile superare la legge Fornero
ed introdurre, ad esempio, una quota 100 quale somma tra l’età
anagrafica ( almeno 64 anni ) e gli anni di contribuzione versati, quale
nuovo limite per il godimento della pensione?
Il Governo ha messo tra i primi punti programmatici questo obiettivo, che è anche particolarmente sentito dagli elettori.
Secondo
Tito Boeri, presidente dell’INPS, non sarebbe possibile realizzarlo,
poiché il sistema nel lungo periodo non sarebbe sostenibile.
Tito Boeri ha ragione oppure dobbiamo inserirlo tra i neotolemaici di cui sopra?
A
leggere quanto è riportato in uno studio della Ragioneria di Stato, la
modifica ventilata dal Governo attuale sembrerebbe invece assolutamente
possibile e allora Boeri è un neotolemaico.
A chiarire meglio questo discorso interviene il grafico di seguito riportato.
Infatti,
come si può evincere dal grafico A, denominato “spesa pubblica per
pensioni in % di PIL, sotto differenti ipotesi normative” nel lungo
periodo, anno 2060, i risultati della legge Fornero ( curva color nero
grassetto) convergono con tutti i risultati garantiti dalle leggi
precedenti, riforma Dini compresa ( curva color marrone ) , che
addirittura sembrerebbe anche meno onerosa di tutte le altre per il PIL
dopo il 2045.
Ergo, la modifica è possibile ed è compatibile nel lungo periodo con i conti pubblici, denatalità compresa.
Allora, perché mai si afferma il contrario?
Sempre
secondo il summenzionato studio della Ragioneria di Stato, la legge
Fornero con riferimento all’anno 2050 garantisce un risparmio di circa
60 punti percentuali di PIL, che possiamo stimare in maniera molto
cautelativa pari a circa 1000 miliardi di euro, 25 miliardi all’anno,
che sono stati, sono e saranno sottratti ai pensionati italiani, me
compreso, e trasferiti ai detentori del debito pubblico oltre ai vari
M.E.S. e salvataggi bancari vari.
Si
può evincere che è solamente una scelta politica di allocazione delle
risorse ed in ogni caso il sistema pensionistico italiano è il più
stabile in Europa, così come sancisce apertis verbis lo studio sopra menzionato.
Concludo citando Mel Brooks ed il suo famoso film Frankenstein Junior: “ Si… può … fare!!!”
Raffaele SALOMONE MEGNA
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