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Cultori sfegatati del nuovo genere letterario di giornaloni, quello
delle fake news sulle fake news, leggiamo e collezioniamo tutto. Non ci
perderemmo una puntata per nessuna ragione al mondo. Lo spettacolo
dell’establishment che prende scoppole in tutto il mondo perché sta
sulle palle ai cittadini e, anziché guardarsi allo specchio, cerca in
Russia la spiegazione dei suoi continui fiaschi, è semplicemente
impagabile. L’establishment ordina agli inglesi di votare no alla Brexit
e quelli votano sì? Dev’essere un complotto dei russi a suon di fake
news. L’establishment intima agli americani di votare Hillary Clinton
contro Trump e quelli eleggono Trump? Sarà per le fake news diffuse da
Putin. L’establishment raccomanda agli italiani di votare sì al
referendum costituzionale e quelli votano no? Ci dev’essere sotto la
congiura delle fake news moscovite. L’establishment diffida gli italiani
dal premiare il populismo sovranista 5Stelle e la Lega e quelli corrono
a votare 5Stelle e Lega? Le solite fake news della propaganda
moscovita. L’establishment beatifica Mattarella che rifiuta il governo
Conte con dentro Savona e subito Facebook e (molto meno) Twitter
pullulano di messaggi contro Mattarella e pro Conte&Savona? La
solita regìa dei troll russi, provenienti stavolta da San Pietroburgo.
Il bello è che i fabbricanti di complotti un tanto al chilo sono gli
stessi che accusano i populisti sovranisti di complottismo. Dopodiché
anche i loro complotti, alla prova dei fatti, si rivelano quello che
sono: balle, bufale, patacche, fake news (al cubo). Memorabile
il caso di “Beatrice Di Maio”, il nickname di Fb additato dalla
“Stampa” come il Grande Vecchio grillin-casaleggiano delle fake news
contro Renzi, Boschi, Lotti & C.: peccato fosse la moglie di
Brunetta. Una storia da manuale del boomerang, che fa il paio con le
accuse di razzismo lanciate dal Pd
al governo Conte perché un gruppo di giovinastri aveva lanciato un uovo
a un’atleta di colore, poi frettolosamente ritirate dopo la scoperta
che un lanciatore era il figlio di un consigliere comunale Pd.
Ora ci risiamo. I giornaloni non riescono proprio a digerire che il 27
maggio, quando Mattarella rispedì a casa Conte per via di Savona, molti
italiani si siano incazzati da soli: se i social tracimavano di commenti
critici o insultanti, non era perché chi aveva appena votato M5S e Lega
si sentisse defraudato e invocasse le dimissioni del capo dello Stato;
ma perché c’era dietro Putin con la sua fabbrica di troll a San
Pietroburgo. Infatti, per un’intera settimana, ci hanno ammorbati con
una cascata di articoloni e titoloni.
Tutti ispirati dal Colle (bastava leggere le firme: quelle dei
quirinalisti), finché il pool Antiterrorismo della Procura di Roma (non è
uno scherzo: è tutto vero), la Dia, la Polizia Postale, i servizi
segreti e il Copasir non hanno aperto inchieste per vilipendio al capo
dello Stato e attentato alla sua libertà. Roba da 20 anni di galera,
come minimo. Poi i servizi hanno subito detto che non c’è una sola prova
sui famosi troll russi. E chi aveva titolato “L’attacco al Colle via
Twitter. Alcune ‘firme’ del Russiagate dietro i messaggi contro il capo
dello Stato”, “Le manovre dei russi sul web e l’attacco coordinato a
Mattarella”, “Interventi sulla politica
italiana dai troll russi che spinsero Trump”, (“Corriere”), “La
questione russa in Italia. Interferenze cyber”, “Interferenze russe sul
voto del 4 marzo” (“La Stampa”), “Dalla propaganda di Putin 1500 tweet
per Lega e 5Stelle”, “Una pioggia sui social in arrivo da San
Pietroburgo”, “Il Pd
nel mirino dei troll russi” (“Repubblica”), che ha fatto? Ha chiesto
scusa per tutte le balle raccontate e lasciato perdere? Macché:
fischiettando con grande nonchalance, ha infilato un paio di righette
qua e là negli articoli – non più nei titoli – per dire che i russi non
c’entrano nulla, o non c’è alcuna prova che c’entrino. Cioè: le critiche
al presidente italiano erano tutte italiane. Dunque su chi si indaga, e
per quale reato? Sui cittadini che,
tutelati dall’articolo 21 della Costituzione, postano sui social il
loro legittimo dissenso sulla massima carica, manco fossimo nella Russia
di Putin?
Mentre il boomerang volteggia all’indietro su chi l’aveva lanciato –
cioè il Quirinale sempre più simile al Cremlino – i quirinalisti
ispirati dall’alto tentano di intercettarlo in tempo con le nude mani:
«Si cerca – scrive ieri il “Corriere” – di far passare Mattarella come
un uomo permaloso che, credendosi un semidio, vorrebbe rianimare almeno
il reato di lesa maestà». Già, l’impressione è proprio questa. «Manca
solo che accusino il Quirinale di istigare i magistrati a recuperare la
cultura greca del delitto di hybris» per «veder marcire in galera
chiunque si pronunci criticamente su di lui». Già, la sensazione è
proprio questa. Invece no: Egli, «nella sua imperturbabilità zen» e
immensa bontà, adora chi lo critica, ma solo «in una dialettica
accettabile in democrazia,
ciò che esclude insulti e minacce». Resta da capire dove siano insulti e
minacce nell’hashtag #MattarellaDimettiti dei tweet sotto inchiesta,
prima made in Russia e ora rientrati nella cinta daziaria (lo “snodo di
Milano”). Ma tutto è bene quel che finisce bene, o quasi.
“Repubblica”, mentre autosmentisce una settimana di titoli sulla
Russia con una sola frasina («gli account utilizzati per le campagne di
influenza dei russi della Internet Research Agency di San Pietroburgo
hanno cessato di operare nell’autunno scorso», dunque solo «mani
italiane»), monta un’intera pagina su una notizia sensazionale: in
Italia i siti dei 5Stelle rilanciano i messaggi di Di Maio e degli altri
5Stelle. Roba forte. Non solo: le critiche a Mattarella furono «un
assalto squadrista» (tipo quelli di “Repubblica” a Leone e Cossiga)
finalizzato nientepopodimenoché a «eccitare la coscienza del paese».
Accipicchia. E chi è stato? «Consolidati network di condivisione di
contenuti para-giornalistici di segno sovranista, piuttosto che
populisti». Mecojoni. E non è mica finita: «Sono evidenti le stimmate e
la regia politica».
Perbacco: le pagine Fb di «quelli che si dicono 5S» chiedevano
l’impeachment di Mattarella. Chi l’avrebbe mai detto? Una addirittura
postava una domanda dal chiaro contenuto eversivo: «Siete d’accordo con
Di Maio che invoca la messa in stato d’accusa di Mattarella?». E
qualcuno osò financo rispondere, non so se mi spiego. Seguono i nomi dei
putribondi mandanti: «Tale Piergiorgio, alias ‘Pierre’ Cantagallo», «Grande
Cocomero classic» (il nostro preferito), «tale Francesco Camillo Soro»
da Las Palmas. E ho detto tutto. Che si aspetta ad arrestarli,
fustigarli, convertirli in appositi campi di rieducazione?
L’Antiterrorismo non ponga altro tempo in mezzo.
E, già che c’è, non trascuri le indagini sulla leggendaria «fabbrica
delle fake news» e sull’inquietante «fiume di denaro che porta a Londra,
a Mosca, in Albania», smascherati mesi fa dai segugi di “Repubblica”,
che ne inseguirono le tracce fino al covo operativo: «Una fabbrica di
manufatti in alluminio a Terni». Lì, «in una sera gelida di novembre,
durante una pausa di cambio turno, Leonardo, un metalmeccanico di 34
anni, ex punk, la terza media
in tasca e i soldi per comprare il primo modem non più di sei anni fa,
apre le porte del Sistema». Roba grossa, di cui però non si seppe più
nulla. Se non che – fu sempre “Repubblica” a rivelarlo, con grave
sprezzo del pericolo – «Leonardo di cognome fa Piastrella», ma quando
diventa un «cavaliere nero dell’intossicazione online», si fa chiamare
“Ermes Maiolica”, molto ricercato dai «broker pubblicitari». Perché voi
non ci crederete, ma «più traffico hai, più soldi prendi dalla
pubblicità». Strano, eh? Infatti «in Rete ha cominciato a fare capolino
un certo Vincenzo Ceramica. Provate a indovinare chi sia». Sono mesi che
tratteniamo il fiato, in attesa che qualcuno sveli l’arcano – se non
“Repubblica”, che abbandonò la pista proprio sul più bello, almeno
l’Antiterrorismo. Se il sor Piastrella c’entra col sor Maiolica,
c’entrerà anche col sor Ceramica? E non è che l’hashtag eversivo
#MattarellaDimettiti era un messaggio in codice per il sor Mattonella?
(Marco Travaglio, “#MattonellaDimettiti”, dal “Fatto Quotidiano” del 9 agosto 2018, ripreso da “Il bene comune newsletter”).
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mercoledì 15 agosto 2018
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