Da
qualche giorno impazza, sui giornali mainstream e di lì in televisione.
Una notizia che ha dello sconvolgente: un giovane lavoratore precario
“ringrazia” Di Maio perché il “decreto dignità” gli farà perdere il
lavoro che ha attualmente. Si conclude con una battuta ormai famosa:
“tanto io aspetto il suo reddito di cittadinanza, no?”.
I lettori conoscono ormai a memoria il nostro giudizio sul cosiddetto “decreto dignità” e i suoi asseriti effetti benefici sui lavoratori: NULLA. Pura propaganda senza sostanza.
Il giornale più lanciato sulla notizia è Repubblica,
e tanto basta – in genere – a farci insospettire. La tesi dietro la
notizia sarebbe questa: siccome nel “decreto” si riducono da 36 a 24
mesi il periodo di durata continuativa di contratti a termine prorogati
(non più di quattro volte), e in più, al rinnovo, le aziende debbono
dare una motivazione al rinnovo del contratto precario, anziché assumere
con quello “a tutele crescenti”, ne consegue che parecchi lavoratori
precari saranno licenziati quando questo decreto verrà approvato anche
dal Senato.
Il
primo a lanciare l’allarme con questa tesi è stato il sempre sorridente
Tito Boeri, presidente dell’Inps che può vantare la stesura materiale
del Jobs Act e quindi grandi meriti “democratici” (nel senso renziano
del termine) nei confronti delle aziende e dell’Unione Europea. Dichiarò
che le sue stime sugli effetti del “decreto” erano di almeno 8.000
posti di lavoro in meno, subito diventati nelle dichiarazioni dei
piddini e negli articoli di Repubblica “almeno 80.000”.
Vabbeh, direte voi, “è propaganda politica contro il goverbo grillin-leghista, ci può stare…”
Diceva qualcuno che la verità è rivoluzionaria,
quindi sparare cazzate è reazionario. A prescindere dal motivo o
l’avversario (che è già reazionario di suo e può solo avvantaggiarsi
dall’essere attaccato con dei palesi falsi).
Il
sospetto iniziale viene corroborato dall’analisi – brevissima – del
tweet che ha fatto partire la valanga di articoli sul “primo precario
licenziato” a causa di una legge ancora non entrata in vigore (non che
manchi lo spirito di iniziativa, alle aziende, per “anticipare” certe
mosse).
Già
il nick scelto (Tony Nelly) dovrebbe mettere sull’avviso, dato che
sembra una presa per I fondelli dell’omonimo ministro della
infrastrutture, grillino di lungo corso che nella sua vita aveva trovato
lavoro come ufficiale di complemento dei carabinieri (altro brivido per
la schiena, scusateci).
Ma
cosa dice l’anonimo precario? “ci tenevo a far sapere che, grazie anche
al suo ‘decreto dignità’, oggi mi hanno confermato che da settembre
sarò finalmente disoccupato”. Segue la battuta di cui sopra.
Fare
una lunga serie di articoli basandosi su un tweet anonimo non è che sia
una grande prova di giornalismo. Anche se si conosce personalmente il
mittente…
Le
aziende, di fronte ai contenuti del decreto, avevano già anticipato i
propri comportamenti: la sostituzione dei vecchi precari con altri si
sarebbe semplicemente adeguata alla legge, provocando licenziamenti ogni
24 mesi anziché ogni 36; ma ad assumere stabilmente non ci hanno mai
pensato né prima, né dopo questa legge. Semmai hanno gridato al “volete
farci fallire” per dover motivare un rinnovo di contratto precario o –
orrore! – dover pagare un indennizzo leggermente superiore ai licenzati
senza giusta causa.
Insomma,
allarme e ironia sembravano un po’ eccessivi rispetto al fatto. Dando
l’impressione che tutta l’operazione giornalistica fosse una “pensata”
per collegare Boeri (citato nel tweet), il tipo di opposizione che Repubblica e Pd stanno facendo a questo governo. Nulla di più.
Poi viene fuori che il giovane precario è un impiegato di banca,
con un trascorso nel “recupero crediti”, che il suo datore di lavoro
non è affatto un “povero industrialotto” che se gli aumenti l’indennizzo
ai licenziati finisce sul lastrico (ma quando mai se n’è visto uno…). E
anche la banca non è che sia proprio nanerottola: anzi, è un gigante
con 52 milioni di clienti in 50 paesi.
In definitiva, l’impiegato precario ha tutte le ragioni dalla sua parte
per essere incazzato del licenziamento, ma nessuna ragione per
rimpiangere il Jobs Act di Renzi-Boeri.
Insomma,
questo “decreto” – dal punto di vista dei lavoratori – è una cagata
pazzesca, non “restituisce” alcuna “dignità” al lavoro (come dice Di
Maio ogni volta che apre bocca). Ma neanche è quel mostro di garanzie
contro il licenziamento che “ingesserebbe l’azienda”.
Soprattutto
quella del “giovane precario”, che si potrebbe permettere di assumere
in pianta stabile quanta gente vuole, e se non lo fa è perché preferisce
non farlo. Mai.
Quel decreto, ripetiamo, è NULLA. Come l’opposizione di Pd-Repubblica, come sempre dalla parte delle “povere” banche.
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