martedì 7 agosto 2018

A partire dallo sfruttamento del salario. Il rapporto perverso tra politica, finanza e produzione.

L'attuale modello di accumulazione finanziaria è in crisi poiché continua a precarizzare la condizione salariale.


Alessandro Morselli Professore di Politica economica internazionale
Si è, quindi, evidenziato il limite allo sfruttamento della forza lavoro, come anche quello allo sfruttamento della natura. Infatti, la tesi esaltata oggi del "giusto valore", che deriverebbe dalle leggi di mercato, o da meccanismi autoreferenziali scollegati dai fondamentali dell'economia, viene messa profondamente in discussione.
A seguito dei rapporti di forza parecchio sfavorevoli ai lavoratori, sempre sotto minaccia di licenziamento e disoccupazione, politici e imprese si sono organizzati in varie direzioni.
È stata realizzata la mobilità dei capitali su scala globale, ponendo in concorrenza lavoratori sullo stesso piano (mondiale) con forti pressioni sui salari, sulla fiscalità e sulla protezione sociale. Pertanto, sotto la copertura della lotta all'inflazione, è stato imposto lo scollegamento tra salari e produttività del lavoro. Inoltre, sono stati imposti profondi tagli alla protezione sociale.

Tale svolta neoliberista ha avuto come obiettivo il venir meno di ogni processo di regolazione sui movimenti interni ed esterni di capitali. Fusioni, incorporazioni, delocalizzazioni rappresentano delle tappe verso la concentrazione del capitale.
Tuttavia, poiché la stabilizzazione della domanda non passava tramite una ripartizione del reddito che fornisse vantaggi ai salariati, negli Stati Uniti essa è stata assicurata da una crescita smodata dell'indebitamento e da una forte riduzione del risparmio privato.
Questo scenario, insieme alla valorizzazione 'pompata' dei patrimoni finanziari, ha sostenuto consumi e crescita in America, ma a discapito dei bilanci pubblici.
Ecco che entra in gioco la finanza che si appropria dei profitti realizzati dalle imprese del settore produttivo. Una finanza parassitaria con obiettivi di redditività sempre maggiori, in grado di esercitare pressioni sempre più energiche sulla gestione di impresa e sull'occupazione.
Le grandi trasformazioni del sistema finanziario devono essere analizzate a partire da alcune tendenze apparse dagli anni Ottanta in poi. La caduta degli investimenti a fronte della crescita dei profitti, assieme alla diminuzione della quota di reddito distribuita a favore dei salari. I profitti non investiti sono stati indirizzati verso le rendite finanziarie dando luogo al processo di finanziarizzazione.
Appare evidente come la finanza si sia appropriata della crescita di produttività a sfavore di salari e occupazione. Abbiamo assistito al passaggio da un'economia di indebitamento, entro la quale il credito bancario assicura i finanziamenti alle imprese, ad un'economia finanziarizzata nella quale le imprese hanno sviluppato una loro attività finanziaria. Le esigenze di redditività di questa attività finanziaria hanno portato al brutale sfruttamento della componente lavoro.
Quindi, la finanziarizzazione non è un fenomeno autonomo, ma rappresenta la contropartita logica della caduta dei salari e della diminuzione delle occasioni di investimento a sufficiente redditività. Queste conseguenze della finanziarizzazione diventano più pericolose con l'avanzata del processo di globalizzazione, data anche l'abolizione di ogni frontiera nei movimenti di capitale.
È sufficiente una regolamentazione per risolvere i problemi della finanziarizzazione e della precarizzazione del mercato del lavoro? La risposta sembra essere negativa. È necessaria una grande trasformazione come risposta incisiva a una grande trasformazione.

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