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Mentre i soliti media
danno il via al cerimoniale di commenti e manifestazioni di sorpresa o
di indignazione per il crollo del Viadotto Polcevera, affermiamo senza
mezzi termini che la serie di crolli di infrastrutture degli ultimi
anni, cui oggi si aggiunge un tragico e luttuoso disastro, è una
naturale conseguenza del loro invecchiamento e della consegna del Bel
Paese, ben prima del crac del 2007-2008, anzi da almeno quarant’anni,
alla logica dell’austerità, che prevede giocoforza ilsilenziamento degli
esperti di progettazione, manutenzione e ammodernamento. Il processo
non riguarda soltanto l’Italia, bensì tutta la regione transatlantica,
come ricordano i lettori a proposito di ponti e di inondazioni negli
Stati Uniti, per esempio. Con il “governo del cambiamento” potrebbe in
effetti cessare un trentennio di “inglorioso saccheggio”, l’opposto dei
“trenta gloriosi”, come i francesi chiamano la fase storica di
ricostruzione postbellica. Potrebbe esservi una svolta, dopo questo
lungo periodo successivo al crollo del Muro di Berlino e rispetto a un
condizionamento politico frutto dell’orchestrazione di Mani Pulite, ma
ancora troppi sembrano stare al gioco di chi cade dalle nuvole, per
scoprire che il governo eredita interi ambiti della nostra economica
nazionale lasciati al declino.
Per non parlare di come l’esecutivo si confronti con l’assenza di
settori economici previsti dalla lungimiranza di coloro che, come
dicevano, furono ridotti al silenzio, affinché i tecnocrati potessero
procedere con il saccheggio del capitale nazionale.Casi
emblematici delle due categorie? Maltenute sono le infrastrutture di
gestione delle acque e disattesi i piani di sviluppo concepiti con le
più ampie vedute urbanistiche. Assenti i sistemi di trasporto
avveniristici rimasti tra le pagine di fantascienza o al più delle
riviste di divulgazione scientifica: il treno a levitazione magnetica,
l’aerotreno, gli hovercraft, gli aerei civili supersonici, le navi a
propulsione magnetoidrodinamica, ecc.. In gravissimo affanno il settore
della ricerca nello sfruttamento per scopi pacifici dell’energia
custodita nei nuclei, in primis tramite la fusione nucleare. Quel che si
trova alla “fine del ciclo vitale” non è, tuttavia, soltanto il parco
composto delle numerosissime infrastrutture (a tal proposito approviamo
il riferimento al Piano Marshall nel recente appello del Cnr alla
ricostruzione delle opere obsolete), tra le quali i gioielli
ingegneristici o di armonizzazione con il paesaggio costruiti anche in
anticipo rispetto alle altre grandi potenze occidentali.
I candidati sono stati eletti nel “governo del cambiamento” grazie ad
animati discorsi sull’urgenza di intaccare la Legge Fornero, di
smontare la Buona Scuola, di rivedere il Jobs Act, ma non avrebbero
dovuto trascurare che l’inesorabile legge cronologica del “fine vita”
vige anche per le opere immateriali: essa si applica ai cicli di vita
della società stessa, quelli durante i quali prosperano le nefaste mezze
verità dei sofisti. Sotto sforzi eccessivi non sono soltanto le
strutture progettate dagli ingegneri, ma anche la capacità demografica
della società stessa, che è stata indotta, con la negazione degli
appropriati investimenti, a rinunciare di costruire la propria base di
futuro progresso dei livelli di vita (lo trovate un caso che la vita media
abbia cominciato lievemente a calare?). Altra cosa sarebbe stata,
durante la campagna elettorale, se l’attacco alla Fornero fosse stato
esteso a tutte le “riforme pensionistiche” risalendo sino a Lamberto
Dini; se il male della scuola non fosse stato additato nella sola
“riforma” renziana, ma si fosse aperto un dibattito sull’optimum
raggiunto nei cento-cinquantanni di scuola pubblica (che in sé sono
stati una lunghissima sperimentazione); se sulla questione del lavoro
non si fosse sbandierata un’opposizione limitata al Jobs Act, ma fossero
stati presentati in modo organico gli argomenti a favore di una
rinascita economica, per incidere coordinatamente su altri fattori
(moneta unica, parametri non scientifici di Maastricht, pareggio di bilancio in Costituzione, sovranità nella politica economica delle grandi opere, ecc.) anziché perdurare nella dinamica pluridecennale della depressione dei salari.
Crollano, assieme ai ponti veri, i castelli fiabeschi di sabbia del
sistema venduto come l’unico rimasto a disposizione, quello del
liberismo, che in verità è già una concessione chiamare “sistema
economico”. Siamo alla fine di un ciclo narrativo di menzogne al
servizio degli avvoltoi finanziarii e in questo momento di transizione
occorre tener presente che vi è chi ci consegna colpevolmente un paese
in più modi fallato (non sono esclusi gli inetti o coloro che hanno
preferito credere alla fiabe) e chi rischia di svilire l’impulso degli
elettori, non osando essere di radicale cambiamento, ma accontentandosi
di far appello alla memoria corta delle masse, invece che alla memoria a
lungo termine degli esperti emarginati per decenni. Stiamo parlando di
un’epoca che deve andarsene e della necessità di limitare i dolori del
travaglio. Non è vero che abbiamo troppe infrastrutture: la
rete ferroviaria è poco più di quella di Cavour, mentre la popolazione è
nel frattempo triplicata. Ma anche, non fu mai vero che le pensioni
fossero insostenibili, quando Dini vi mise mano.
Non fu mai vero che la scuola dovesse trasformarsi in bottega e
rafforzare la propria deriva con l’autoritarismo sotto la maschera della
“autonomia” attenta alle “esigenze del territorio”. Non fu mai vero che
il lavoro umano dovesse essere passato nel tritacarne della depressione
dei salari. Se questa dolente epoca deve cedere, dobbiamo riconoscere
altresì che non fu mai vero che la sovranità monetaria fu mal gestita
dal nostro paese. Furono piuttosto certe morti di rilievo politico
(Mattei, Moro, ecc.) ad arrestare la nostra corsa verso il progresso
materiale e spirituale. Bisogna avere il coraggio di far maturare
appieno e in brevissimo tempo il dibattito più strategico, assai mirato
sulla necessità di rivedere quei vincoli che hanno determinato il
disastro e continuano a legare le mani a chiunque sia chiamato a servire
il paese, e non gli speculatori. Questi non staranno a lungo in attesa
prima di sferrare qualche colpo.
(Flavio Tabanelli, “Ponti, pensioni e altri assetti alla prova del governo del cambiamento”, da “Scenari Economici” del 15 agosto 2018).
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venerdì 17 agosto 2018
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